Chi, pron.
"Fassina chi?", chiese polemicamente renzi più di un anno fa, durante una conferenza stampa, quando qualcuno gli chiese di commentare le dichiarazioni critiche dell'allora viceministro del governo Letta. Nelle intenzioni del fantoccio di Rignano si trattava evidentemente di un'offesa e infatti fu presa come tale, tanto che Fassina decise di dimettersi. Però in più di un anno a quella domanda non è mai stata data una vera risposta.
Ci ho ripensato in questi giorni perché - come sapete - Stefano Fassina è finalmente uscito dal pd, per dare il proprio contributo alla nascita di un nuovo soggetto politico a sinistra del partito rimasto in mano a renzi e ai suoi servi. Ovviamente mi fa piacere che anche Fassina abbia lasciato il partito mal nato: io sono un loro fiero avversario e sono contento quando sono in difficoltà, quando perdono le elezioni, perché spero che in prospettiva quel partito cessi di esistere. Probabilmente nei prossimi mesi voterò Fassina, se davvero parteciperà alla costruzione di una nuova forza di sinistra in Italia, ma la domanda posta da renzi rimane lì: chi è Fassina? Così come ci potremmo chiedere chi è renzi, chi è Civati, chi è Serracchiani, chi è Speranza, chi sono tutti questi personaggi che all'improvviso ci siamo ritrovati alla ribalta.
C'è una famosa battuta polemica attribuita a Giancarlo Pajetta che, a proposito di Enrico Berlinguer, avrebbe detto che si era iscritto fin da giovane al Comitato centrale. E certamente, anche nella tanto vituperata prima Repubblica ci sono state carriere politiche molto rapide, forse troppo, ma comunque chi le faceva, sia perché davvero più brillante e più intelligente degli altri, sia perché capace di avere gli appoggi "giusti", era comunque parte di un soggetto, il partito appunto, più grande e che in qualche modo garantiva per lui e lo garantiva.
Io molti anni fa ho fatto politica, ho fatto perfino un po' di carriera in un partito. Ho anche visto nascere politici che negli anni sono andati molto avanti, molto più avanti di me, ma su questo - per decenza - preferirei non parlare. Anch'io ho cominciato in maniera un po' casuale: c'era bisogno di rinnovare il Consiglio comunale del paese in cui vivevo e io ero uno dei ragazzi che aveva cominciato a fare qualcosa nel partito. Quello che però fece la differenza fu il fatto che mio padre era una persona stimata, un compagno che in quel paese aveva dedicato tutta la sua vita all'impegno politico e civile, pur senza mai avere cariche, ero il figlio di Gigi e questo "garantiva" che ero stato educato con certi valori. Ci sarebbero stati altri ragazzi che avrebbero meritato più di me di fare l'assessore a vent'anni? Probabilmente sì, ma in sezione non li conoscevano e quindi è toccato a me. Con tutto quello che ne è seguito.
Scusate la digressione personale, ma mi serve per far capire il concetto. Negli anni io ho continuato a fare politica, guadagnandomi un po' di stima - e non solo godendo di riflesso di quella di mio padre - ma soprattutto facendo parte di un partito, partecipando alla sua vita, a volte anche noiosa. Però in tutti quegli anni mi sentivo di rappresentare qualcuno, le cose buone che ho fatto - e anche quelle sbagliate, di cui ovviamente porto tutta la responsabilità - si iscrivevano in questo contesto politico. Io ero io, ma ero anche e soprattutto il rappresentante del partito, di cui ero militante e, per un periodo, perfino dirigente.
Adesso faccio politica attraverso queste cose che scrivo, dico sostanzialmente tutto quello che penso - a proposito o a sproposito, come pensa qualcuno dei miei ex compagni di allora - rispetto a questo o quell'argomento, ma rappresento davvero solo me stesso. Se renzi rispondesse a una delle critiche che gli rivolgo quotidianamente, dicendo : "Billi chi?" ne avrebbe tutto il diritto, perché io sono soltanto un cittadino che scrive. Poi penso che dovrebbe tenere conto anche dei cittadini che scrivono, ma questo è un altro punto. Se allora qualcuno avesse detto "Billi chi?" gli avrei potuto rispondere, forte del fatto che quello che dicevo non era solo mio, ma il frutto di un'elaborazione comune, più o meno condivisa, e forte del fatto che rappresentavo qualcun altro, pochi o molti non importava. Non ero da solo, ero la parte di un soggetto più complesso.
Ora, specialmente quando osservo il campo che più mi interessa, ma in generale guardando a tutte le diverse forze politiche, faccio fatica a dire che questo o quest'altro - davvero i nomi poco importano, perché in fondo intercambiabili - rappresentano qualcuno. Certo ogni capo - o capetto - ogni leader o supposto tale, ha i propri fans, pronti a far polemica, pronti a difenderlo sui social, pronti a diffondere le sue parole, ma non sono militanti che partecipano alla costruzione politica e a cui quella persona deve in qualche modo rispondere. Fassina mi pare che abbia deciso sostanzialmente da solo di lasciare il pd e da solo è rimasto, un po' come è successo a Tosi nell'altro campo. Anche i passaggi da un gruppo parlamentare all'altro, i cambi improvvisi di casacca, diventano - se non apprezzabili - almeno comprensibili, perché, al netto degli interessi più bassi, una persona può davvero cambiare idea, ma quando è sola il suo cambiare idea non ha alcun significato: è uno che cambia idea e fa notizia, può anche fare opinione, ma sostanzialmente chi rappresenta questa sua decisione, anche sofferta?
Il tema quindi è come selezionare un gruppo dirigente. Se, come avviene adesso, l'unico sistema è la cooptazione, e i criteri sono la fedeltà più o meno cieca verso il capo di turno, l'avvenenza - purtroppo per le donne che fanno politica ormai pare che la bellezza sia una dote indispensabile, al di là delle ironie su ladylike Moretti - la capacità di stare in televisione, magari la vis polemica, siamo destinati a ritrovarci una classe politica debole, anche facilmente manovrabile, perché è più facile comprare una persona piuttosto che comprare un partito. E quindi quando guardiamo questo o quel personaggio non sappiamo esattamente chi sia, come sia arrivato fin lì. A un certo punto lo vediamo in televisione, prima una volta alla settimana, poi sempre più frequentemente, e alla fine ci siamo abituati a considerarlo un leader, qualcuno la cui opinione merita di essere ascoltata. Magari la sua opinione merita davvero, ma chi lo ha deciso? E soprattutto quell'opinione rappresenta l'opinione di altri?
Non voglio fare il nostalgico dei tempi andati, prevengo tutte le vostre critiche: so bene che prima non andava meglio, perché i fenomeni di corruzione c'erano anche allora, perché la selezione avveniva spesso in maniera opaca, perché ci siamo ritrovati a guidare i partiti e al governo persone incapaci. Però la politica era un'altra cosa. Adesso molti dei protagonisti della vita politica sono stati scelti, più o meno volontariamente, da quelli che fanno le scalette e scelgono gli ospiti dei talk show. Non mi convincerete che è meglio adesso.
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