Il 25 ottobre dell'anno scorso abbiamo riempito le strade di Roma. E' stata una bellissima manifestazione: c'eravamo, in tanti, in tantissimi, c'era la Cgil, tutta la Cgil, c'erano le nostre bandiere, c'era l'orgoglio della sinistra italiana e c'era la voglia di costruire un'opposizione, costruttiva, consapevole, entusiasta. Io sono uno di quelli che, grazie a quella manifestazione, è tornato in piazza, dopo tanti anni in cui non mi sentivo più a casa in una piazza. E come me erano tanti, ci siamo ritrovati, provenendo ciascuno da una strada diversa. Pensavamo di esserci ritrovati, finalmente, di aver ripreso un cammino insieme, che per troppo tempo avevamo interrotto. E' passato un anno, ma l'opposizione non è nata, né da quella piazza né da altre parti.
In un anno qualcosa in Europa è successo. Un anno fa non avremmo realisticamente creduto che la sinistra radicale avrebbe vinto le elezioni in Grecia - due volte - che due donne di sinistra sarebbero diventate sindaco di Madrid e di Barcellona, che uno come Jeremy Corbyn sarebbe diventato il leader del Labour, che i partiti della sinistra, uniti dopo quarant'anni, sarebbero stati in grado di offrire un governo diverso al Portogallo, un governo che non è ancora nato perché c'è stato un colpo di stato orchestrato dal presidente della Repubblica di quel paese (evidentemente Napolitano ha fatto scuola nella peggior destra europea).
In Italia non abbiamo neppure cominciato o, quando lo abbiamo fatto, con troppa timidezza. Leggo che tra le forze - per usare un eufemismo - che stanno a sinistra del pd si sta ragionando di dar vita a un soggetto comune, almeno a una sorta di coordinamento parlamentare, ma pare che la discussione sia tutta incentrata - e forse arenata - sull'opportunità o meno di fare delle alleanze locali con il pd nelle prossime elezioni amministrative di primavera. Con tutto il rispetto per le amministrazioni di quelle città, non possiamo pensare che la sinistra possa rinascere così, in un dibattito che coinvolge - quando va bene - soltanto un po' di ceto politico. Di fronte a una crisi che coinvolge la sinistra europea da almeno vent'anni e che riguarda temi fondanti, come l'identità, i valori, l'idea stessa di socialismo, non possiamo perdere tempo su un pugno di assessorati tra Milano, Bologna e Napoli. La nostra agenda, almeno per qualche anno, non può essere dettata dalle scadenze elettorali. Per noi l'unico appuntamento fondamentale nel 2016 dovrà essere il referendum sulla riforma costituzionale Gelli-Napolitano, a cui dovremo rispondere convintamente NO, convincendo la maggioranza degli italiani a bocciare questo vero e proprio attentato alla Costituzione. Per il resto dovremo occuparci di altre questioni, a partire dalla critica radicale al modello economico e politico in cui viviamo, in una prospettiva che io credo debba essere autenticamente rivoluzionaria.
Io sono uno di quelli che - forse ingenuamente - ha sperato che la Cgil saltasse il fosso, decidesse di diventare opposizione a questo governo, a questo regime. Evidentemente c'è una discussione all'interno dell'organizzazione, qualcuno pensa che sia possibile, qualcuno ha anche provato a mettere in fila alcune idee, alcune proposte, in un percorso che avrebbe coinvolto necessariamente lo stesso modo di essere sindacato, ma la maggioranza della Cgil pensa ad altro. Ha pensato ad altro nel corso di tutto questo anno, che abbiamo sostanzialmente perso, ha pensato che la cosiddetta minoranza pd avrebbe avuto il coraggio e ha investito su di loro in un'attesa che ormai rischia di essere vana e inconcludente come quella di Godot. Forse non manca intelligenza in qualcuno di quelli della minoranza - partire da Bersani - ma certamente fa loro difetto il coraggio, e un anno fa era già evidentissimo, dal modo in cui si erano ripetutamente piegati a una serie di atti incostituzionali portati avanti dalle maggiori cariche istituzionali del paese. Da uno come Bersani, che ha accettato, senza fiatare, tutto quello che lui stesso ha subito, quando gli fu impedito di presentarsi alle camere, pur avendo vinto le elezioni, non possiamo adesso sperare nulla. Anche perché loro hanno ormai fatto una scelta di campo e purtroppo non a sinistra, hanno scelto l'altra parte, hanno scelto il liberismo, hanno scelto i padroni, è una scelta legittima, ma non può essere la nostra. E spero non sia neppure quella della Cgil, che però non riesce ad affrancarsi da questa zavorra.
Personalmente in questo anno ho smesso di credere che la Cgil possa essere il motore di questo nuovo inizio. Con tanti compagni della Cgil certamente faremo quel cammino, certamente sosterremo battaglie importanti che il sindacato condurrà, a partire da quella per abolire la controriforma dello Statuto dei lavoratori, ma dobbiamo cominciare un percorso dal basso che purtroppo prescinde dalla Cgil che rischierebbe a questo punto di essere soltanto un elemento di freno.
Evidentemente sarà un percorso diverso da quello fatto dagli inglesi non solo perché non esiste un Corbyn italiano, ma soprattutto perché il pd ormai non è più scalabile, è in mano a renzi e ai suoi complici e con loro morirà. Né possiamo sperare, come è successo in Spagna e in Portogallo, in un'alleanza tra la sinistra radicale e quella moderata. In Italia, proprio perché la sinistra moderata non esiste più, anche il senso della definizione di sinistra radicale ha perso di senso. Personalmente continuo a pensare che per l'Italia l'unico modo di ricostruire la sinistra sia quello di ripartire da zero, da qualcosa di simile alle società di mutuo soccorso, alle leghe dei lavoratori, ovviamente alla luce di come il mondo è cambiato in questo secolo. Nella solidarietà tra gli ultimi, tra gli oppressi, tra i vinti della storia, rinascerà una storia diversa. Qualcuno di noi che era in piazza il 25 ottobre di un anno fa non avrà la fortuna di vedere questa storia nuova, ma non per questo bisogna smettere di lottare.
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