Graffito, sost. m.
In inglese per descrivere le opere di Banksy e di quelli come lui si usa la parola italiana graffiti, anche se naturalmente l'artista inglese non "graffia" i muri, ma li dipinge con le bombolette. Evidentemente per quella lingua l'arte, così come la musica, si declina ancora in italiano. Nonostante Franceschini. E anche se noi ovviamente, nel nostro irrimediabile provincialismo, per descrivere le stesse opere usiamo una locuzione inglese, street art, che fa tanto moderno.
Naturalmente non voglio intrattenervi su queste piccole quisquilie etimologiche, che pure sono interessanti, e raccontano parecchio di cosa sia l'arte in Italia e nel mondo, ma - come certo immaginerete - voglio dirvi quello che penso sulla decisione del graffitaro italiano Blu di cancellare tutte le opere che ha realizzato nel corso degli anni a Bologna, per impedire che vengano staccate da quelle pareti ed esposte in una mostra che sta per essere aperta in quella città da un importante e prestigiosa istituzione culturale.
Io sto dalla parte di Blu. E credo che stare dalla parte di Blu rappresenti una scelta di campo: o stai con il potere o stai con chi è contro quel potere.
Blu e quelli come lui creano le loro opere in quelle parti di una città dove il potere si manifesta con avida violenza o con inerzia supponente. Blu e quelli come lui creano le loro opere d'arte dove il potere ha fatto costruire brutte case, destinate ai poveri, dove il potere tiene in piedi strutture fatiscenti, fabbriche chiuse perché ormai è più conveniente fare le cose da un'altra parte, dove il potere ha fatto il deserto, magari dopo averci costruito intorno multisale e centri commerciali. Le opere di Blu e di quelli come lui ci fanno scoprire pezzi di città che non vorremmo vedere, consegnati alla rendita finanziaria e immobiliare. A Bologna questo potere ha molti volti - purtroppo anche quelli di persone con cui ho condiviso un pezzo della mia vita politica o quello di tanti cooperatori - ma certamente uno dei più lividi e dei più laidi è quello di Fabio Roversi Monaco, che, tra le molte altre cariche, è anche presidente di quell'istituzione che ora vorrebbe esporre le opere di Blu. Per questo Blu ha fatto bene a ribellarsi, contro Roversi Monaco che da decenni incarna questo potere, che ha fatto più brutta Bologna, perché l'ha consegnata alla rendita, perché ha impedito la riconversione di tanti edifici, perché ne ha snaturato tante parti, creando brutti centri commerciali e brutte aree residenziali, perché ha impedito le occupazioni che cercavano di dare una nuova vita ad alcune di quelle strutture abbandonate, perché per anni ha impedito che gli artisti come Blu potessero esprimersi liberamente, facendo cancellare le sue opere. Quel potere ha occupato la città - spesso con la complicità di una classe politica connivente e di una burocrazia pigra e incapace prima che collusa - l'ha resa una merce. Per questo Blu ha fatto bene a ribellarsi a Roversi Monaco e a tutti quelli come lui, che adesso tentano di "normalizzare" anche la street art, di farne merce, riconducendola all'unico valore che capiscono, ossia il denaro.
Il tema non è dire se le opere di Blu ci piacciano e meno: a me ad esempio spesso non piacciono, ma quelle opere nascono perché la città è ferita e quei segni - in questo caso davvero la parola graffiti acquista tutto il suo senso etimologico - rappresentano l'occasione, forse l'unica, di far vedere il sangue, anche a chi non lo vuole vedere. Il tema non è neppure quello di decidere a chi appartiene un'opera d'arte: è ancora dell'artista, anche se lui l'ha in qualche modo donata alla città? O è piuttosto dei cittadini a cui comunque Blu in questi giorni ha sottratto qualcosa? Qualcuno critica Blu per le conseguenze del suo gesto, nato probabilmente da un moto di rabbia e forse neppure troppo meditato: Bologna da oggi è più povera, perché è più brutta senza quei graffiti, e Roversi Monaco è ancora più ricco, perché il suo museo è l'unico che ha ancora qualche opera di Blu, sottratta prima della "ripulitura" della scorsa notte. Ci sono gesti però che non devono essere valutati dalle conseguenze, ma da quello che è avvenuto prima, e la scelta di Blu racconta quello che è successo prima, ossia che il potere ha stuprato Bologna, come ha fatto con tutte le altre città, e Blu e quelli come lui hanno raccontato, più o meno bene, più o meno efficacemente, quello stupro. Che qualcuno non vuole dimenticare. Quel gesto significa che la nostra memoria non è in vendita. Il gesto di Blu è un segno di ribellione e oggi più che mai Bologna - come tutto il nostro paese, come tutta la nostra supposta civiltà - ha bisogno di ribellione, netta, radicale, senza sconti. Ed è importante - e bello - che si cominci dall'arte. Anche solo con un graffio.
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