lunedì 14 marzo 2016

Considerazioni libere (408): a proposito di due filosofi...

Se questo blog si intitola i pensieri di Protagora è anche merito di Hilary Putnam, nei cui testi mi sono imbattuto - e spesso gli incontri casuali sono molto fecondi, mi è successo anche con Borges, ma questa è un'altra storia - ai tempi dell'università. Il relativismo di Putnam - morto ieri, il 13 marzo 2016 - mi è stato indispensabile per capire il pensiero di Protagora, per dare un senso a quella sua celebre massima l'uomo è misura di tutte le cose, che fino ad allora mi era sembrata una formula retoricamente efficace, ma sostanzialmente vuota.
Dice Protagora che di ogni cosa si può discutere con pari attendibilità da punti di vista opposti; ed anche di questo stesso principio, se cioè ogni cosa si possa discutere da opposti punti di vista.
sono le parole con cui Seneca condensa per il suo interlocutore il pensiero del sofista di Abdera.
In sostanza tutto il sapere della civiltà greca, la religione, la filosofia, l'etica, il diritto, sono oggetto della tecnica antilogica di Protagora: non c'è nulla che possa resistere di fronte al suo abile argomentare, non c'è verità che possa essere accettata. Quindi la teoria dell'homo mensura ha un deciso senso antidogmatico: la verità non è qualcosa di dato una volta per sempre, non è qualcosa che aspetta di essere rivelato a uomini ignari da una superiore casta di sapienti. Protagora, autore di un libro intitolato Aλήθεια - che significa appunto verità - ci insegna ad avere paura della verità, della verità che diventa dogma, culto, latria. E gli uomini che credono in essa, come quelli che alzano per troppo tempo gli occhi verso il sole, rimangono accecati e non riescono più a vedere nient'altro. La filosofia di Protagora invece è la ricerca di una delle tante verità, che proprio per il fatto di riconoscersi come una in mezzo ad altre, è relativa e tollerante.
La verità allora è sempre in un rapporto dialettico, in una misura che l'uomo, che ogni uomo, trova di volta in volta. La ricerca della verità è lo scopo di ciascuno di noi e pure dobbiamo sapere che quando l'abbiamo raggiunta può essere già cambiata: come il vano e incessante inseguimento della tartaruga da parte di Achille. Per Protagora la saggezza e la felicità non stanno tanto nel possedere una verità, quanto nel cercarla.
Anche tutto il sapere della civiltà contemporanea, in cui la scienza fa progressi strabilianti, tanto da rendere gli uomini così poco coscienti dei propri limiti, può essere messo in discussione. Non esiste una sola verità che possa reggere a una forma raffinata di scetticismo, come ben dimostra Cartesio con il dubbio iperbolico: non si può mai escludere che un genio cattivo, scaltro e mendace quanto potente impieghi la sua sovrumana capacità per illudere e per ingannare gli uomini. Davvero ciascun uomo può dire di sé soltanto che esiste. Questa forma di relativismo, portato alle sue conseguenze più estreme, dà un'immagine drammatica dell'umanità: gli uomini sono come perfette e autosufficienti astronavi in viaggio nell'universo, ciascuna delle quali, avendo perso memoria delle altre astronavi e finanche dell'universo in cui si sta muovendo, immagina di trovarsi in una propria realtà, e anche se le comunicazioni tra le varie astronavi fossero possibili, sarebbero inutili, non essendoci comuni criteri per giudicare le cose. Oppure per dirla con Putnam, tutti gli esseri umani sono cervelli in un'ampolla o lo stesso universo non è null'altro che dei macchinari automatici che badano a un'ampolla piena di cervelli.
Protagora però ci spiega che gli uomini hanno il dono della parola e riescono a comunicare, a fare una breccia in quella sorta di capsula in cui è racchiuso ciascuno di noi: un uomo riconosce, attraverso la forza del logos, che ciò che gli sta di fronte è un uomo come lui e decide che vuole avere una qualche forma di rapporto con quest'altro essere, tanto simile a lui. Protagora accetta, senza dimostrare - e non riuscirebbe a farlo - il fatto che esistono gli altri uomini e che c'è la possibilità di comunicare con essi. E infatti Putnam, approfondendo in qualche modo il pensiero di Protagora, dice
Quando produco le mie parole quel che succede è che gli impulsi efferenti viaggiano dal mio cervello al computer, che fa sì che io "senta" la mia stessa voce che dice quelle parole e "senta" la lingua muoversi, ecc., e anche che voi "udiate" le mie parole, mi "vediate" parlare, ecc. In questo caso, in un certo senso io e voi siamo davvero in comunicazione. Io non mi inganno sulla vostra esistenza reale, ma solo sull'esistenza del vostro corpo e del mondo esterno, cervelli esclusi.
Naturalmente Protagora non lo spiega allo stesso modo, ma in qualche modo accetta questo assunto, quando riconosce una forma di verità legata alla polis, alla comunità in cui vive l'uomo. Per questo Protagora decide di vivere nel suo mondo, e anzi cerca cerca di migliorarlo attraverso l'insegnamento e la politica.
La cosa che mi ha affascinato di Protagora è proprio questa sua capacità, forse perfino non del tutto consapevole, di mettere in evidenza il dramma dell'uomo, la cui ragione lo porta a negare ogni verità, ma che allo stesso tempo non si rassegna a rinunciare alla vita. Proprio il rapporto con gli altri uomini permette a ogni singolo uomo di salvarsi dal relativismo: o amando un'altra persona o sforzandosi di vivere nello stesso posto assieme agli altri, dopo essersi dati delle regole; comunque alla base di ogni rapporto c'è la forza della comunicazione, del logos. Lo scopo degli uomini è quello di fuggire dalla solitudine in cui siamo immersi e di far parte di quella rete di rapporti umani che è il mondo. In questo senso la politica assume un valore alto, di arte della convivenza nella polis.
Ammetto di non aver studiato abbastanza negli anni successivi per sapere se su questa tesi Putnam sarebbe stato d'accordo, perché poi nella vita mi è capitato di fare altre cose, ad esempio la politica. Anche per colpa di Protagora. Comunque ringrazio ancora Hilary Putnam per quell'incontro casuale.

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