Erodoto racconta che, sventata la congiura di un impostore che, dopo aver ucciso il re, si era finto suo fratello e in questo modo era salito sul trono di Persia, alcuni nobili di quel paese discussero su quale ordinamento dare allo stato. Si tratta del celebre logos tripolitikòs, uno dei testi fondamentali della teoria politica dell'antichità. I tre dignitari illustrano le caratteristiche delle forme di governo allora conosciute, quello di uno, quello dei pochi e quello di tutti, descrivendo per ognuno di essi caratteristiche positive e negative. Nonostante le rassicurazioni dello storico, che pure dice che quei discorsi, per quanto incredibili alle orecchie dei suoi ascoltatori, furono davvero pronunciati, probabilmente le cose non andarono proprio così. La Persia rimase un regno e non poteva essere altrimenti e anzi il nuovo re fu quel nobile che sosteneva la superiorità della monarchia sulle altre due forme di governo. Al di là dell'anacronismo di questo dibattito, c'è un punto importante su cui Erodoto non si sofferma, manifestando in questo modo che si tratta di una discussione sostanzialmente accademica: le persone che parlano sono nobili e un regime democratico non può nascere per impulso di pochi. Evidentemente si tratta di un errore in cui cadiamo ancora, nonostante siano passati molti secoli da quando Erodoto scrisse questa pagina: quante volte in questi anni abbiamo sentito l'espressione esportare la democrazia? quante guerre sono state giustificate in questo modo? e quanti disastri abbiamo compiuto con la pretesa di portare la democrazia in paesi in cui non esisteva una cultura in modo che questa potesse consolidarsi e crescere?
Una democrazia deve nascere dalle donne e dagli uomini, dal loro desiderio di libertà e di partecipazione alla cosa pubblica, dalla crescita della loro consapevolezza politica, dall'affermarsi del sentirsi come individui che fanno parte e compongono un popolo. Si tratta di un percorso lungo, spesso tortuoso, che richiede decenni, se non secoli, e che non è mai davvero compiuto. E per questo credo anche che dovremo accompagnare con pazienza - e con la politica e la cultura - il cammino di quei popoli che hanno intrapreso la stessa strada, guardandoli con meno accondiscendenza, ma riconoscendo in essi, nei loro entusiasmi, come nelle loro titubanze, quelle dei nostri padri e dei nostri nonni.
Oggi festeggiamo un anniversario importante: settant'anni fa le italiane e gli italiani furono chiamati a scegliere se questo paese dovesse rimanere una monarchia o diventare una repubblica e ad eleggere chi avrebbe dovuto scrivere la Costituzione del nuovo stato che stava per nascere sulle ceneri del regime fascista, in mezzo alle macerie della guerra. Il suffragio universale maschile era stato introdotto in Italia nel 1912, ma nel '46 in pochi avevano esercitato questo diritto, perché c'era stato il ventennio fascista e le donne votarono proprio quell'anno per la prima volta, nelle amministrative di marzo e appunto al referendum. A scegliere tra monarchia e repubblica furono quindi persone che solo in un'esigua minoranza aveva votato prima di allora, per moltissimi fu un'esperienza nuova. Però quelle donne e quegli uomini avevano maturato la propria coscienza civile e politica, anche durante il fascismo e specialmente negli anni durissimi della guerra. La Resistenza, la Guerra di Liberazione, servì anche a questo, a far sì che quel voto del giugno 1946 fosse il voto di un popolo che aspettava quell'occasione, che sapeva che era il momento di cambiare la storia, e sapeva anche che quello sforzo era nelle proprie mani, non era qualcosa che sarebbe arrivato da altri. Gli Alleati li avevano liberati, ma adesso toccava a loro. E si assunsero questa responsabilità, anche scegliendo, in maggioranza, la strada più complicata. Ovviamente se avesse vinto la monarchia l'Italia non sarebbe ritornata allo Statuto albertino, ma certamente sarebbe stato un passo meno avventato, avrebbe significato scegliere un sistema che in qualche modo già si conosceva. La repubblica era per molti versi un'incognita, era qualcosa da costruire ex novo e credo, nonostante tutto, che dobbiamo essere grati a chi allora fece quella scelta.
E dobbiamo essere grati a chi costruì questa repubblica, perché nella Costituzione che allora scrissero dissero che non c'è vera democrazia in un paese in cui le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini, in cui le bambine e i bambini non vanno a scuola, in cui la maggioranza della popolazione vive sotto il livello di povertà. L'importanza della prima parte della Costituzione sta proprio nel riconoscimento che diritti dell'uomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico. La repubblica è tutta qui, in questa idea, a suo modo rivoluzionaria.
E adesso tocca a noi. Come tra qualche anno toccherà a quelli che verranno dopo di noi. E nel frattempo, perché le cose cambiano - non sempre in meglio - dobbiamo essere consapevoli che la nostra repubblica è sempre meno quel governo popolare che - come dice Otane - ha il nome più bello di tutti, l’uguaglianza dinanzi alla legge, e diventa ogni giorno di più il governo dei pochi, che non sono i migliori, ma quelli che sfruttano il loro potere contro gli altri, per accrescere i propri interessi, le proprie ricchezze, a scapito di quelli della collettività. La repubblica è un regime faticoso, che richiede un impegno che le altre forme di governo non ci chiedono. Quando comandano i pochi sono loro che decidono per noi, e a volte ci sembra perfino che ci tolgano un peso, che ci diano l'opportunità di dedicarci alle cose che ci piacciono e ci soddisfano di più. E ora infatti tentano di convincerci della bontà di un sistema che ha altre caratteristiche rispetto a quello che abbiamo conosciuto, che certamente è più semplice, in cui le decisioni vengono prese più rapidamente, che forse è più sicuro e stabile, che apparentemente sembra rispondere in maniera migliore alle esigenze dei tempi nuovi. Ma è sempre Erodoto che ci mette in guardia, perché anche il migliore degli uomini, una volta salito a tale autorità, il potere monarchico lo allontanerebbe dal suo solito modo di pensare.
Personalmente - e già lo sapete - io quest'anno onorerò questi settant'anni di democrazia votando NO al referendum di ottobre, perché credo fermamente che le riforme immaginate in questi anni vadano nella direzione opposta a quella che vollero scegliere quelle donne e quegli uomini settant'anni fa. Quelle donne e quegli uomini volevano più democrazia, volevano un sistema in cui riuscire a far sentire la propria voce. Quelle donne e quegli uomini non ebbero paura della complessità e della politica e anzi pensarono che la politica potesse essere lo strumento per eliminare le ingiustizie, per redistribuire le ricchezze, per sconfiggere l'ignoranza. Io ne sono ancora ostinatamente convinto.
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