In questi giorni è inevitabile, specialmente per noi di sinistra, per noi disillusi, per noi inguaribili pessimisti, guardare a quello che succede in Francia. Sarebbe difficile avere un'idea su quello che avviene davvero in quel paese se ci affidassimo solo all'informazione "ufficiale", a quella cucinata nelle redazioni del regime, dal Tg Uno alla Repubblica, dal Corriere al Tg Cinque: l'unica preoccupazione pare sia lo svolgimento degli europei di calcio, che cominceranno proprio in quel paese tra pochissimi giorni. Quello che sappiamo lo dobbiamo alla rete. Anche in questo caso vediamo come sia importante questo strumento, che insostituibile mezzo di informazione sia diventato. Per questo lo dobbiamo difendere contro ogni attacco, contro ogni tentativo di limitazione. Non è l'argomento di questa riflessione, ma dobbiamo fare attenzione, perché la rete è uno strumento potenzialmente eversivo e quindi prima o poi - ma immagino prima - cercheranno di togliercelo o di lasciarcelo solo per i giochi e per il porno.
Ma torniamo in Francia e a quello che non ci dicono, che non ci vogliono far sapere. Fatte le prove in Italia - e con notevole successo, secondo i loro parametri - i padroni hanno deciso di fare un passo in più, colpendo i lavoratori francesi. Con sempre maggior durezza. Mi pare che, almeno per un aspetto, la Loi travail sia più pericolosa del jobs act renziano, anche se l'impianto è sostanzialmente identico e soprattutto se è identica l'impostazione di fondo: colpire i lavoratori, renderli più precari, abbassare i salari e comprimere i diritti, e quindi far aumentare i guadagni dei padroni. Nella legislazione italiana l'elemento più simbolico è stata l'abolizione dell'art. 18 e, di conseguenza, l'aver concesso ai padroni la libertà - e l'arbitrio - di licenziare i lavoratori. Ma, al di là del valore simbolico altissimo, l'art. 18 era una tutela di cui si avvalevano solo alcuni lavoratori. La legge francese invece, introducendo nell'art. 2 - il cuore di quel testo - la prevalenza della contrattazione aziendale su quella collettiva, colpisce i diritti acquisiti sull'orario di lavoro, in particolare il principio delle 35 ore settimanali.
Noi rischiamo sempre di dare tutto per scontato, ma l'introduzione delle 35 ore è stata una delle vittorie più importanti del movimento operaio, la più legata all'idea di libertà. E proprio per questo i padroni stanno facendo di tutto per tornare indietro, nel paradosso che a fronte dell'aumento della disoccupazione e della precarietà la loro risposta è l'estensione del tempo di lavoro e la progressiva ordinarietà degli straordinari. Mentre l'art. 18 è uno strumento di difesa che si attivava in determinate - e non frequenti - circostanze, valendo più come un elemento di deterrenza, le 35 ore hanno un valore universale, perché riguardano la condizione di vita quotidiana dei lavoratori, il loro tempo di lavoro e di conseguenza quello di non-lavoro, ossia il tempo da dedicare a se stessi, alle proprie famiglie, alla propria affermazione come individui.
Per questo per i padroni è così importante ottenere la vittoria in Francia, dove le condizioni politiche sembravano più favorevoli che in altri paesi. L'Italia e la Francia sono gli unici due grandi paesi europei governati da partiti che appartengono alla famiglia socialista e quindi in questi paesi la sconfitta dei lavoratori ha un valore ancora più alto, perché i sicari ingaggiati dai padroni sono personaggi che sono stati votati da quei lavoratori che adesso tradiscono. In Francia i padroni, ancora una volta, giocano con il fuoco del fascismo, sperano che, avendo come unica alternativa Marine Le Pen, i lavoratori finiranno per scegliere ancora i socialisti, nonostante i continui e ripetuti tradimenti. Non c'è da esserne sicuri. Purtroppo.
La vicenda francese per questi motivi ci preoccupa, perché lo scontro è durissimo, perché i padroni metteranno in campo ogni arma per sconfiggere i lavoratori. ma in qualche modo anche ci rincuora, perché la reazione è stata - ed è - forte. E spero possa insegnare qualcosa anche a noi, che invece non abbiamo saputo reagire a un attacco altrettanto violento. Proprio perché i lavoratori francesi hanno capito che si tratta di un attacco non a questa o a quella norma, ma a loro, a quello che rappresentano, alla storia delle loro lotte e al futuro del movimento operaio, la reazione è stata imprevedibile nella sua radicalità. Come noto, diverse categorie della Cgt hanno proclamato lo sciopero illimitato, in particolare quelle la cui protesta ha un maggior impatto, ossia i lavoratori dei trasporti, quelli delle raffinerie, quelli delle centrali nucleari. Il governo ha tentato di dividere il fronte degli oppositori - naturalmente anche in Francia hanno una Cisl che ha già firmato ogni genere di accordi e che tutto firmerà - ma le categorie stanno resistendo alle sirene di Hollande e dei suoi ministri, perché la riforma del lavoro non riguarda questa o quella categoria, ma il rapporto tra capitale e lavoro.
Io l'ho fatto spesso, ma questa è ulteriore occasione per interrogarci sui limiti della sinistra italiana, soprattutto per quel che riguarda la cultura politica. In Francia la sinistra politica ha un peso elettorale modesto, ma evidentemente c'è una cultura politica di sinistra che tiene nel sindacato. Evidentemente la Cgt non è infetta come la Cgil dai germi della cultura liberista ed è ancora capace di capire certe parole d'ordine, e soprattutto di farsi carico di certi valori. Il problema non è probabilmente in scelte contingenti diverse - anche se sarebbe ora di finirla qui in Italia con il feticcio dell'unità sindacale, che in Francia mi pare non sia così importante - ma in una cultura socialista che purtroppo ormai manca in una larga parte del maggior sindacato italiano. E questa è una delle cause per cui noi non abbiamo fatto - e non faremo - come i francesi.
L'elemento determinante che in Francia sta modificando le forze in campo e che probabilmente potrebbe essere decisivo nella vittoria - e che comunque avrà conseguenze anche se il movimento dovesse essere sconfitto - è la capacità che hanno avuto i giovani francesi - e più in generale il mondo dei precari - di capire che quella lotta è anche loro. In Italia il governo dei padroni è riuscito a far passare l'idea che una fetta crescente dei lavoratori era comunque esclusa dalle tutele e dalla residuale forza contrattuale del lavoro subordinato e quindi ha insinuato un nucleo tra i tutelati - che lo saranno sempre meno - e i non tutelati - che non lo saranno mai.
In Francia i precari di ogni età hanno capito che la flessibilità imposta ai salariati non rappresenterà, al di là della retorica dei servi dei padroni, una possibilità di inclusione per loro, ma sarà un'ulteriore arma contro di loro, che già sono sotto continuo ricatto dei padroni.
La vicenda francese inoltre ha messo in evidenza un aspetto di cui spesso abbiamo parlato, ma forse senza riuscire a essere convincenti. Il governo Valls ha imposto la legge, impedendo di fatto al parlamento di discuterla, temendo che, sotto la pressione delle proteste, una parte dei parlamentari socialisti avrebbe ceduto. Ha sfruttato una clausola prevista dalla loro Costituzione per i casi di emergenza - e comunque mai utilizzata in un caso del genere - per approvare la legge senza il voto del parlamento. A quel punto l'unico strumento del parlamento sarebbe stato quello di votare la sfiducia, ma ovviamente la protesta dei loro dissidenti è rientrata, perché altrimenti si sarebbe andati al voto. I padroni non vogliono la democrazia, la temono, hanno bisogno che le leve dell'amministrazione siano in mano a poche persone, che loro siano in grado di controllare. Per questo anche qui in Italia i padroni sostengono con tale convinzione il sì al referendum di ottobre, perché sanno che questo darà loro maggior potere, attraverso i servi che di volta in volta decideranno di utilizzare.
La Cgt ha proclamato una serie di scioperi illimitati. I lavoratori francesi hanno scelto lo scontro. E hanno fatto bene, perché contro i padroni e contro i loro servi al governo c'è solo questa possibile opzione. Ma uno scontro impone sacrifici, e uno sciopero illimitato è un sacrificio molto forte per lavoratori che già soffrono la crisi.
Gli antichi romani chiamavano limites quelle pietre che segnavano i confini, pietre che erano considerate sacre e non dovevano essere spostate. Il limes però non era solo una linea che tracciava un confine, era anche - e anzi questo è il suo primo significato etimologico - la strada, il segno di un cammino. Non poniamo confini alla lotta del movimento dei lavoratori, anzi abbattiamo quei confini che i nostri nemici vogliono imporci e continuiamo sulla strada che i nostri padri e quelli che hanno lottato prima di loro hanno tracciato. Senza limiti.
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