sabato 18 marzo 2017

da "Omeros" di Derek Walcott


Ora udiva l’aedo mormorare il suo canto profetico,
grave del dolore del passato. Era una nota prolungata
e senza fine, che serpeggia come la lingua del fiume scuro:

“Eravamo del color delle ombre quando scendevamo
tintinnanti di ceppi per congiungerci alle catene del mare,
le monete d’argento si moltiplicavano all’orizzonte venduto,
e queste ombre sono ristampate ora sulla sabbia bianca
delle coste agli antipodi, i tuoi antenati di cenere
che venivano dal Golfo di Benin, dove finisce la Guinea.

C’erano sementi nel nostro stomaco, negli incrinati baccelli
del nostro cranio, sopra i ponti brucianti, i tuberi
avvizziti in un lampo. Guardammo gli dei del fiume
da serpenti trasformarsi in correnti. Da vicino
i nostri occhi mostravano fronde secche nelle iridi brune,
e dalla spina dorsale ricurva la cassa toracica s’irradiava

come fronde da un ramo di palma. Poi, quando le palme
morte oscillavano fuoribordo, i cadaveri dalle costole scoperte
fluttuavamo, navigando verso la sabbia bianca e che ricordavano,

fino al Golfo di Benin, dove finisce la Guinea.
Così, quando verdi rami bruciati che solcano la corrente,
cercando di trattenere la risacca tra le dita piegate,
dopo una notte di vento forte in un hotel di pietra bianca,
oltre la scia della bianca vela triangolare dei surfisti,
ricordaci al cameriere negro che porta il conto.”

Ma fecero la traversata, sopravvissero. È questa la gloria dell’epica.
Moltiplica le lance della pioggia, moltiplica la loro rovina,
la grazia nata dalla sottrazione mentre la porta di ferro della stiva

si riempiva ai loro occhi come coppe lasciate sotto la pioggia,
e il catenaccio tamburellava la sua eco, come fa il tuono
quando applaudendo perpetua il proprio riverbero.

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