Senza dubbio le pene, che si dice vi siano nell’Acheronte
profondo, ci sono riservate tutte in questa vita.
Né Tantalo infelice, come si tramanda, paralizzato da un
inutile spavento, teme l’enorme macigno che incombe
sospeso nell’aria; ma piuttosto nella vita il vano timore
degli dèi incalza i mortali che temono le disgrazie
che a ciascuno possa la sorte arrecare.
Né uccelli penetrano in Tizio, disteso nell’Acheronte,
né davvero possono trovare dentro il suo vasto petto
qualcosa da frugare per un tempo infinito.
Per quanto si dilati con la smisurata estensione del corpo,
da ricoprire con le membra divaricate non solo nove iugeri
ma l’intero globo terrestre,
non potrà tuttavia tollerare eterno dolore né fornire per sempre cibo dal proprio corpo.
Ma Tizio è in noi, prostrato nell’amore, lacerato dagli
uccelli e divorato da una straziante angoscia o sbranato da
una qualunque altra passione o affanno.
Anche Sisifo è qui nella vita davanti ai nostri occhi
ostinato nel chiedere al popolo i fasci e le scuri crudeli
ed è sempre costretto a ritirarsi battuto e afflitto.
Infatti aspirare al potere che è vano e irraggiungibile
e per esso patire di continuo una dura fatica,
ciò è spingere con grande sforzo, lungo l’erta di un monte,
un masso che tuttavia poi di nuovo rotola dalla vetta
e raggiunge precipitosamente la piana del campo.
Infine, alimentare sempre l’ingrata natura dell’animo,
ricolmarla di beni senza saziarla mai
(cosa che fanno per noi le stagioni dell’anno, quando
ciclicamente ritornano e portano i frutti e i diversi
piaceri senza che tuttavia, mai, siamo pieni dei frutti della vita),
questo, io ritengo, è la favola delle fanciulle che nel fiore
dell’età raccolgono acqua in un vaso forato
che in nessun modo può essere riempito.
Cerbero e le Furie poi e le Tenebre e il Tartaro che erutta
dalle fauci orribili vampe: questi non esistono in alcun
luogo, né certo possono esistere.
Piuttosto nella vita è la paura delle pene per le cattive azioni,
ed essa è crudele è proporzionata ai delitti, e l’espiazione
della colpa, il carcere e il terribile lancio giù dalla rupe,
le frustate, i carnefici, la violenza, la pece, le lamine, le
torce; anche se tutti questi mali sono lontani, pure la
mente, consapevole dei misfatti, anticipando il timore,
applica a sé quei tormenti, brucia sotto la sferza dei rimorsi
e intanto non vede quale termine ci possa essere a quei mali,
né quale sia infine l’interruzione delle pene
e per di più teme che queste in morte si aggravino.
Qui infine s’avvera per gli stolti la vita dell’Inferno.
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