Breve, agg. m. e f.
Leggo che dall'anno scolastico 2018/19 verrà estesa a cento istituti italiani la sperimentazione, già avviata in questi anni in poche scuole, che prevede di ridurre da cinque a quattro gli anni delle superiori, in vista di quello che viene chiamato il liceo breve.
Francamente non ne vedo alcuna utilità pedagogica ed educativa, e mi pare non la vedano neppure quelli che hanno fatto questa proposta, dal momento che l'unico concreto vantaggio di questa ennesima riforma sarebbe quello di far risparmiare al paese circa 1,38 miliardi di euro, una volta che tutte le scuole superiori siano a regime, riducendo il numero degli insegnanti. Ovviamente in una società in cui tutto si misura sul denaro, questo rischia di essere un argomento determinante.
L'altro vantaggio è che i ragazzi sarebbero "maturi" già a diciotto anni, avendo quindi un anno in più in cui essere disoccupati rispetto a quello che avviene adesso. Secondo gli estensori della riforma, che risale al governo Letta, non dovrebbero esserci differenze tra gli istituti e quindi il programma che adesso viene svolto solitamente in cinque anni viene ristretto in quattro e anche l'esame finale rimane lo stesso. Anzi gli studenti "brevi" dovrebbero studiare di più, visto che la sperimentazione prevede che le singole scuole introducano attività innovative, ad esempio l'insegnamento di alcune materie in una lingua straniera.
Non avendo figli non so cosa esattamente succeda adesso, e le mie esperienze scolastiche risalgono alla fine del secolo scorso. Ricordo però già allora una certa qual difficoltà ad affrontare in maniera adeguata il Novecento, sia per quel che riguarda la storia che la letteratura e la filosofia. E da allora un po' di cose sono successe in questi campi, le pagine sono aumentate. Credo sarebbe ora che i nostri figli, a differenza di quel che abbiamo fatto noi, studiassero a scuola quel secolo, perché la conoscenza di quello che è avvenuto in quegli anni è fondamentale per capire il mondo in cui vivono e vivranno. Poi c'è questo fatto che il mondo si è allargato, dovrebbero saperlo anche al ministero. Certo è un limite della nostra impostazione eurocentrica non sapere cosa avveniva in Cina mentre in Italia c'era il Rinascimento o in India quando in Francia scoppiava la Rivoluzione, ma in qualche modo si può anche vivere senza sapere nulla di quelle storie così lontane da noi. Ma è impossibile applicare lo stesso criterio alla storia della seconda metà del Novecento: essere eurocentrici nel Novecento vuol dire semplicemente rinunciare a studiare la storia contemporanea.
Sapete che mi piace studiare l'etimologia delle parole e quella di questo aggettivo è proprio significativa. Nella parola latina brevis, come in quella greca brachys, c'è una radice che nell'antico indoeuropeo significa strappare. Breve quindi non significa solo piccolo, ma anche rotto, lacerato, strappato appunto. Ecco questo liceo breve a me pare proprio che nasca come qualcosa di già rotto, qualcosa a cui è stato strappato a forza qualcosa.
I nostri figli non hanno bisogno di un liceo breve, ma di una scuola che funzioni, di una scuola in cui gli insegnanti siano considerati risorse e non costi, di una scuola che prepari al mondo. Non so quanti anni siano necessari per fare questo, quattro, cinque, sei, o forse è impossibile essere mai davvero pronti per il mondo, però bisognerebbe almeno provarci e anche accettare che avere una scuola che funziona, universale e gratuita, comporta dei costi, a cui tutti noi dobbiamo contribuire. Perché non possiamo continuare a lamentarci che il nostro paese non funziona e non investire nel solo campo che lo può far ripartire.
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