martedì 7 novembre 2017

Verba volant (454): mortadella...

Mortadella, sost. f.

Sta per chiudere il salumificio artigiano Pasquini & Brusiani. Per chi non è di Bologna questa notizia non è particolarmente significativa - e probabilmente anche per molti bolognesi questa cosa non vuol dire nulla - ma si trattava dell'ultimo salumificio artigiano rimasto nel territorio comunale di Bologna.
E quindi da oggi a Bologna non si produrrà più la mortadella. O meglio la mortadella Bologna, visto che questo insaccato cotto, dall'inconfondibile colore rosa, è diventato nei secoli uno dei simboli della città, tanto da assumerne il nome. Al museo archeologico è conservata una stele funeraria romana di epoca imperiale in cui sono raffigurati sette maialini portati al pascolo, un pestello e un mortaio: la prima testimonianza di un produttore di mortadella, visto che questa parola deriva proprio da mortarium. Poi della mortadella si parla in alcuni testi del Trecento, anche se la sua ricetta viene codificata solo nel 1644 nel trattato dell'agronomo bolognese Vincenzo Tanara intitolato L'economia del cittadino in villa. Qualche anno dopo, nel 1661, il cardinal legato Girolamo Farnese pubblicò un bando in cui si vietava di utilizzare per la mortadella carni che non fossero di maiale: si tratta probabilmente del primo provvedimento legislativo a tutela di una specialità gastronomica.
Quel salumificio era in attività dal 1958, quando Ennio Pasquini lo aprì, insieme al suocero Roberto Brusiani. Quest'ultimo è morto nel '72, mentre Pasquini nell'aprile scorso, a 83 anni. In qualche modo la storia di quel salumificio artigiano era segnata: era destinato a chiudere, nonostante l'impegno dei familiari di Pasquini, che hanno cercato di tenere in piedi l'attività. Ormai la mortadella si produce in altri stabilimenti e con altri ritmi di lavoro. Non c'è praticamente più spazio per un'attività come il salumificio Pasquini & Brusiani, nonostante la molta retorica sulle eccellenze alimentari. Chi detta legge sono i buyers della grande distribuzione.
Quel salumificio era da sempre in via delle Tofane, in quello che un tempo era il cuore industriale della città. A pochi metri c'era la Weber, la fabbrica dei carburatori fondata all'inizio degli anni venti e che è stata per anni uno dei simboli della meccanica bolognese. Due attività molto diverse, per storia e dimensione - e ovviamente per prodotto - ma in fondo anche simili, perché accomunate dalla capacità di saper fare e da una certa etica del lavoro.
La ricchezza di Bologna stava appunto in questo rapporto fecondo tra grandi realtà industriali - a pochi chilometri da lì c'è ancora la Ducati, per dirne una tra le tante - e piccole realtà artigiane. E nella capacità di una classe sociale, vasta e popolare, di affermarsi attraverso il proprio lavoro, le proprie capacità, il proprio ingegno, la propria dedizione. La mortadella di Pasquini era così buona perché lui sapeva scegliere le carni e sapeva come lavorarle, ma anche perché qualcuno aveva saputo costruire, con altrettanta perizia, quella macchina tritacarne - che si chiama significativamente sterminio - che si usa per fare la mortadella. E allo stesso modo i carburatori Weber erano così efficienti perché c'erano tanti operai che li sapevano fare così bene.
Si tratta di generazioni di lavoratori che hanno appreso il lavoro in fabbrica. Ennio aveva cominciato da ragazzo a lavorare nel salumificio Raimondi, dove conobbe il futuro suocero; e quel salumificio artigiano sarebbe diventato negli anni successivi la Felsineo s.p.a., una delle aziende che produce ancora a livello industriale le mortadelle che troviamo nei supermercati. C'è anche un'altra storia curiosa: Brusiani aveva due figlie, una sposò Raimondi e l'altra Pasquini, una il padrone e una il garzone, che poi sarebbe diventato a sua volta padrone del suo salumificio, perché quella era allora la mobilità sociale e tutti lavoravano insieme. Comunque Ennio ha imparato così il mestiere, vedendo quello che faceva Brusiani, che era figlio di un esperto "stufatore", ossia chi doveva cuocere gli impasti. Come generazioni di operai della Weber hanno imparato la meccanica guardando quello che facevano i loro colleghi più vecchi e gli uni e gli altri, i giovani che stavano imparando e i vecchi che insegnavano, proprio per questo erano considerati risorse preziose e insostituibili per quell'azienda, in un'epoca in cui il jobs act era molto lontano e lavorare alla Weber significava avere il posto fisso, per tutta la vita.
Ed era una città in cui, grazie proprio a questa rete di grandi aziende e di realtà artigiane, si creò una forte coscienza di classe, che si manifestava naturalmente nell'adesione di massa al Pci, ma anche in una rete solidale e mutualistica, che toccava praticamente tutti gli aspetti della vita delle persone. Quegli operai e quegli artigiani vivevano spesso nelle case costruite dalle cooperative a proprietà indivisa, erano soci delle cooperative di consumo, erano iscritti all'Arci. Da via delle Tofane arrivavi in dieci minuti a piedi alla Casetta rossa, una storica casa del popolo, dove, tra le molte altre attività politiche, ricreative, sportive, ebbe vita, a partire dagli anni Cinquanta, l'esperienza del Teatro di massa. Quella era la città che per alcuni decenni è stata un fecondo laboratorio politico, in cui i valori del comunismo hanno permesso una crescita economica spettacolare, grazie proprio all'etica del lavoro, a una forte idea di solidarietà e a una cultura diffusa.
Dobbiamo essere tristi per la chiusura del salumificio Pasquini & Brusiani non perché non mangeremo più la mortadella o il salame rosa - un insaccato che sta andando perduto - o le altre loro specialità, ma perché è il segno che quella città non c'è più. E non ci sarà più. La Weber è di proprietà di una multinazionale che ha sede a Londra e che in Italia applica selvaggiamente il jobs act. Nella Casetta rossa c'è la sede del pd e rimane il punto di aggregazione solo per qualche anziano. La Coop vende solo mortadelle prodotte in grandi stabilimenti, perché è l'unico modo in cui riesce a tenere i prezzi più bassi. Molte di quelle fabbriche sono diventate condomini o, peggio, strutture commerciali, tutte con gli stessi negozi, con gli stessi marchi. E ovviamente non c'è più posto per la mortadella di Pasquini; e per molte altre cose.

1 commento:

  1. Una storia così bella, a parte il triste finale, l'avrei voluta scrivere io. Grazie.

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