lunedì 1 aprile 2019

Storie (XI). "L'autista..."

Mercoledì 20 marzo. San Donato Milanese. L'autista di un autobus che gestisce il trasporto scolastico ha sequestrato il mezzo che stava guidando, con a bordo cinquantuno tra ragazzi e ragazze che frequentano la scuola media. Nonostante i carabinieri abbiano cercato di fermarlo, ha dato fuoco al pullman: i ragazzi sono tutti morti.
Sono passati pochi minuti e la notizia si sta rapidamente diffondendo. In televisione sono cominciate le dirette dal luogo della strage; i giornalisti iniziano a braccare i genitori, i nonni, qualsiasi altro parente possibile di quei poveri ragazzi, per avere da loro una testimonianza “a caldo"; parte la querelle se mostrare o no i corpi dilaniati delle giovani vittime, cercando comunque di solleticare la curiosità morbosa dei telespettatori. Già nelle prime ore del pomeriggio la tensione è voluttuosamente sviluppata dai media e ingenuamente amplificata e diffusa in maniera incontrollata dai social
Contemporaneamente cominciano ad arrivare le dichiarazioni di tutti quelli che sentono di avere il diritto e il dovere di intervenire di fronte ad avvenimenti del genere; si tratta naturalmente di un diritto e di un dovere che nessuno ha loro concesso o assegnato, ma di cui si sentono, con granitica certezza, i depositari. A dire il vero non sono vere e proprie dichiarazioni - una dichiarazione richiede un minimo di ragionamento - ma battute, cinguettii, frasi a effetto, a uso e consumo della successiva raccolta di like.
Siamo a poche ore dalla strage: la situazione nel paese è già fuori controllo. Il quadro è per tutti chiaro: uno di "loro" ha ucciso cinquantuno "nostri" figli. Nessuno riesce a dire che tra le cinquantuno vittime c'è un ragazzo che si chiama Samir, che è italiano, ma il cui padre è nato in Marocco e c'è Rami, che invece è ancora egiziano, e ce ne sono altri come loro, ma i nomi delle vittime vengono ignorati: conta solo che sono cinquantuno e che sono adolescenti. 
A dire il vero è proprio questa l'unica cosa di cui dovremmo occuparci, dovremmo cercare di conoscere quelle cinquantuno persone, giovani donne e giovani uomini, indipendentemente da dove sono nate, da dove sono nati i loro genitori, ma non è più così ormai. Chi ha parlato per primo, chi ha ha alzato di più la voce, chi ha trovato la parola giusta, ha detto che "loro" hanno ucciso cinquantuno "nostri" figli.
Il governo, riunito in seduta di emergenza, ha deciso che a partire dal giorno successivo tutte le scuole italiane dovranno rimanere chiuse. Riapriranno solo quando le prefetture saranno riuscite a identificare - e rimuovere - le persone straniere che guidano gli scuolabus, che lavorano nei centri di preparazione pasti, che fanno le pulizie nelle scuole. Quando qualcuno fa notare che l'omicida era un cittadino italiano, si decide che saranno identificati quelli che non sono nati in Italia. E quelli che sono nati in un paese dell'Unione europea? Si decide che il controllo andrà fatto sui genitori di tutti questi lavoratori. Si tratta di un esercito di persone e di un controllo che richiede forze e risorse che le prefetture non hanno. 
Il paese è praticamente paralizzato, perché diverse regioni, a partire dalla Lombardia, hanno deciso di sospendere le persone straniere che lavorano nei servizi di trasporto pubblico, in attesa di verifiche da parte delle forze dell'ordine. Nessuno sembra far caso all'assurdità di questi provvedimenti, che stanno mettendo il paese in ginocchio: la priorità per tutti è la sicurezza. 
Intanto si stanno organizzando i funerali: è stato chiesto al papa di officiare la funzione all'interno del duomo di Milano. Sembra che solo a questo punto ci si accorga che delle cinquantuno vittime alcune sono straniere e presumibilmente musulmane. Vengono frettolosamente ridati i corpi ai genitori, la cerimonia religiosa viene trasmessa da tutte le televisioni, vi partecipano molti leader dei paesi dell'Unione europea e anche il Vicepresidente degli Stati Uniti.
In parlamento viene approvata in via d'urgenza la legge sulla legittima difesa, che era comunque già in calendario: i partiti di opposizione di astengono, perché chiaramente questo provvedimento risponde all'inquietudine che c'è nel paese. 
La chiusura delle scuole e la parziale interruzione dei servizi di trasporto pubblico sta provocando seri danni all'economia, tanto più che diverse aziende hanno rescisso i loro contratti con le imprese di pulizia e di servizi che impiegano per lo più lavoratori stranieri. Un cittadino italiano di origine senegalese che da dieci anni guida uno scuolabus nella provincia di Treviso, dove vive insieme alla sua famiglia, si rende conto che sta per perdere il lavoro e che suo figlio difficilmente potrà sostenere la maturità per andare a ingegneria. Si chiude nel "suo" pullman, cercando di attirare l'attenzione degli organi di informazione sulla sua situazione. Mentre sta improvvisando un comizio affacciato dal finestrino, viene raggiunto da un colpo di fucile. I soccorsi sono inutili: muore in ospedale. I carabinieri, quando cercano di arrestare l'uomo che ha sparato, si trovano di fronte un muro di persone che non riescono a disperdere e l'omicida si barrica in casa propria, mentre i suoi concittadini organizzano una forma di "protezione" in giardino.
Il giorno dopo a Ventimiglia un balordo spara su un vecchio camioncino Volkswagen in cui ci sono sei stranieri che cercano di raggiungere il confine francese. Questo non viene protetto dai suoi concittadini, sanno tutti che è un matto e poi perché sparare verso quelli che finalmente se ne vanno.
E' l'alba del dodicesimo giorno dopo la strage. E le scuole non sono state ancora riaperte.

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