giovedì 24 ottobre 2019

Verba volant (722): umanità...

Umanità, sost. f.

Werner Jaeger, uno dei più importanti filologi e studiosi del pensiero antico del ventesimo secolo, per definire il popolo greco inventa l'aggettivo antropoplasta, perché - egli dice - gli altri popoli hanno creato gli dei, i re, gli spiriti, solo i Greci hanno creato gli uomini. Non c'è un ambito della vita greca in cui non sia al centro l'uomo. Le divinità greche sono uomini e donne non solo nell'aspetto - in fondo anche il dio di Michelangelo della Sistina è rappresentato come un uomo - ma soprattutto per come agiscono, per le loro passioni, per le loro grandezze e le loro meschinità. Nella scultura e - per quanto è possibile ricostruire - anche nella pittura di quel popolo l'elemento centrale è quasi dall'inizio la rappresentazione della figura umana, fin quasi ossessiva nella ricerca di un'ideale perfezione. La poesia greca comincia con due lunghi poemi - derivati da una più antica tradizione orale - in cui al centro ci sono due grandi caratteri: Achille e Odisseo. La filosofia greca si concentra sull'uomo, lo studia in maniera sistematica. E l'uomo è al centro della vita politica delle città, in tutti i suoi aspetti, compreso - rilevantissimo - quello della produzione culturale, che ha dato vita al teatro tragico e comico. Dice ancora Jaeger - un'ardita idea creatrice, che non poteva maturare se non nella mente di quel popolo di artisti e di pensatori. L'opera d'arte suprema, di cui si trovò assegnata la realizzazione, fu per esso l'uomo vivente. Jaeger scrive queste parole nel 1932, in uno dei suoi saggi più famosi, intitolato Paideia. Due anni dopo sarà costretto a lasciare la cattedra di letteratura greca all'università di Berlino e il suo paese: sua moglie è ebrea, le sue idee sono apertamente in contrasto con quelle del nazismo. Perché l'umanità può diventare davvero terribile.
Per un paradosso linguistico il popolo che ha creato l'uomo non ha una parola che indichi l'umanità. Ci dovranno pensare i romani a inventare il termine humanitas, perché l'uomo greco vive nella concretezza. I greci non riflettono sull'uomo, sull'idea di uomo, sul sé. Su tutto questo nei secoli successivi altri popoli avrebbero cominciato a riflettere. I greci pensano sempre agli uomini. E comunque anche quando pensano all'uomo, all'idea di uomo, al sé, si concentrano sempre sugli uomini nella loro singolarità e nella loro unicità. I greci inventano non solo l'uomo, ma soprattutto la condizione umana.
Ma chi sono questi uomini che i greci hanno creato? Sono prima di tutto, come dice Omero e poi come dicono tutti gli altri dopo di lui, i βροτοὶ - brotoi - ossia i mortali, in contrapposizione con gli dei, che ovviamente sono immortali. Ma gli dei sono anche beati, in opposizione agli uomini che sono per definizione i δειλοί - deiloi - gli infelici.
Nell'Iliade il momento in cui Omero parla più esplicitamente degli uomini è quando Zeus, rivolgendosi ai cavalli immortali di Achille, dice loro
Miseri, perché mai vi demmo al sovrano Pelèo
mortale, voi che siete immuni da morte e vecchiezza:
forse perché dobbiate soffrir fra gli umani infelici?
Perché davvero, nulla più misero esiste dell'uomo,
fra quanti esseri sopra la terra hanno vita e respiro.
Il greco ha un'altra parola molto antica per indicare gli uomini, μέροπες - meropes - che ha anch'essa il significato di mortali. E' un termine che ha un valore mitologico, perché ci sono miti antichissimi che raccontano che il primo uomo, nato dalla terra, si chiamava appunto Merops, e che la sua sposa era Klymene, che è un appellativo con cui è conosciuta Persefone, la regina degli inferi. Perché l'umanità è sempre collegata alla morte. In un modo misterioso è proprio la terra primigenia che unisce dei e uomini, da lei, madre comune, sono nati mortali e immortali. Come gli animali, che, con una certa ironia, i greci chiamano ζῷα - zoa - ossia i viventi. Gli animali sono i vivi, mentre gli uomini sono i mortali.
Racconta la tradizione che sulla facciata del tempio di Apollo a Delfi, uno dei luoghi di culto più sacri di tutto il mondo greco, dove gli uomini aspettavano gli oracoli della divinità, ci fossero incise le parole γνῶθι σαυτόν - gnothi sauton - che significa conosci te stesso. Francamente un messaggio un po' troppo banale per un luogo così sacro. Forse erano sottintese queste due parole: ἄνϑρωπον ὄντα - anthropon onta - ossia conosci te stesso, che sei un uomo. Conosci che sei mortale e infelice.
Una prospettiva non esattamente esaltante. A cui i greci decidono di resistere attraverso una forma di solidarietà con i propri simili, gli altri la cui caratteristica distintiva è appunto quella di essere mortali e infelici. A cui resistono creando l'uomo.

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