sabato 21 marzo 2020

Verba volant (761): risveglio...

Risveglio, sost. m.

È bellissima Smyrna, è ancora una bambina che raccoglie fiori nei giardini del grande palazzo e gioca con le sue compagne, ma ormai il suo corpo è quello di una donna. Sua madre vede lo sguardo con cui il padre osserva le forme di Smyrna, che il peplo non riesce più a nascondere. E sa cosa succederà, perché Cencreide conosce bene suo marito e sa che non si fermerà, che il desiderio sarà più forte di qualunque altra cosa, spezzerà ogni limite, anche il più sacro. Quando la donna lascia il palazzo per partecipare alle cerimonie in onore di Demetra, sa che sarà proprio quella notte. Non ha neppure il coraggio di guardare sua figlia, di salutarla un'ultima volta. Cencreide non si sbaglia. L'uomo ha deciso, ha già trovato la complice, che per paura o per avidità, quella notte porterà Smyrna nella sua camera.
Lo so, né l'autore della Biblioteca, né Igino, né Ovidio raccontano la storia in questo modo. Dicono che è stata Smyrna a innamorarsi del padre, punita da Afrodite perché un giorno si è rifiutata di fare un sacrificio o perché la madre ha peccato dicendo che la ragazza era più bella della stessa dea. E che la nutrice ha propiziato quell'incontro incestuoso per salvare la vita alla giovane, che altrimenti si sarebbe suicidata. E naturalmente che il padre non sapeva: tutto si è consumato al buio. O secondo un'altra tradizione, che è stato fatto ubriacare. Lui credeva soltanto che fosse una giovane della stessa età della figlia: è stato ingannato, poveretto. E infatti, dopo nove notti, quando ha scoperto la verità, si è così infuriato da voler uccidere la figlia colpevole di un tale delitto. No, mi dispiace, non credo a questa versione così rassicurante e comoda per noi maschi, in cui l'uomo è l'unico innocente.
Il mito racconta che alla fine Smyrna muore. Anzi che benignamente gli dei l'hanno trasformata in un albero di mirra. Poco prima che il padre la raggiunga e così l'uomo non può che sfogare la propria rabbia su un tronco. Ma Smyrna è rimasta incinta e da quell'albero nasce un bambino. Come dice Ovidio
at male conceptus sub robore creverat infans
Quel bambino è Adone. Un nome strano per un bambino, perché in tutte le lingue di origine semitica significa signore. E infatti Adonai è il nome con cui più frequentemente ci si rivolge al dio dell'Antico testamento. E ritroviamo la storia di questo giovane bellissimo, amato con incredibile passione dalla potente divinità fecondatrice, in tutto il mondo antico. È una storia di amore e di morte, che gli aedi dell'antica Grecia cantano con la consueta disincantata poesia.
Anche Adone è bellissimo, come la madre, e di quel fanciullo, rimasto orfano e allevato dalle Naiadi, ninfe delle acque dei fiumi e delle sorgenti, si innamora Afrodite. Ma è ancora un bambino, la dea deve aspettare che cresca, ma non può correre il rischio che qualcun'altra lo veda. E così lo chiude in una cassa di legno e manda quel voluminoso bagaglio a Persefone affinché lo custodisca negli Inferi. Sembra un buon piano, nessuno potrà mai andare laggiù. Afrodite però non ha tenuto conto della curiosità della regina delle ombre, che si chiede cosa avrà di così prezioso da nascondere quella dea bella e altezzosa. Quando finalmente apre la cassa e vede Adone naturalmente se ne innamora e decide che non lo restituirà ad Afrodite. Questa va su tutte le furie e invoca il giudizio di Zeus. Il re degli dei non ne vuole sapere di affrontare una grana del genere: non vuole scontentare nessuna di quelle due dee così potenti e così assegna il giudizio a Calliope, una delle nove Muse. 
La musa dimostra saggezza e decide che Adone avrebbe trascorso un terzo dell'anno con Persefone, un terzo con Afrodite e un terzo sarebbe stato libero di scegliere. La dea dell'amore si infuria per l'esito del giudizio e per prima cosa decide di vendicarsi di Calliope. Fa in modo che le Menadi si innamorino di suo figlio Orfeo, che però - come ben sappiamo - vive nel ricordo della scomparsa Euridice; sconvolte per il suo rifiuto, le Menadi lo uccidono. Poi indossa la sua cintura magica e seduce il giovane, che così decide di trascorrere con lei anche il terzo dell'anno che ha a sua completa disposizione. È un ragazzo Adone, dai tratti quasi femminei, neppure un accenno di barba. Francamente non credo sia stata necessaria quell'arma di seduzione per irretire Adone in un gioco di cui poco capisce. Afrodite non è migliore del padre di Smyrna. È solo meno brutale, ma non meno violenta. Anche lei ruba a quel bambino l'innocenza. Adone vivrà senza sapere cosa è davvero l'amore.  
Adone è un mortale e i mortali devono appunto morire. Ares è geloso di quel giovane effeminato per cui Afrodite ha perso la testa. Mentre il giovane è a caccia - o meglio gioca alla caccia - il dio si trasforma in un orrendo cinghiale e uccide Adone. Afrodite è disperata: Zeus a questo punto non può che sancire quello già deciso da Calliope. Adone rimarrà solo per una metà dell'anno nell'Ade, mentre l'altra metà tornerà sulla terra.
E questi giorni che stanno intorno all'equinozio raccontano, ogni anno, il ritorno di Adone. Ci fanno tirare un sospiro, perché il peggio è passato, ma raccontano anche una storia di violenza e di morte.
Ce lo ricorda Ovidio. Afrodite dal sangue di Adone fa crescere dei fiori del colore del sangue.
Ma è fiore di vita breve:
fissato male al suolo e fragile per troppa leggerezza,
deve il suo nome al vento, e proprio il vento ne disperde i petali.

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