venerdì 3 luglio 2020

Verba volant (774): corte...


Corte, sost. f.

È domenica il 27 gennaio del 1901. A Milano muore Giuseppe Verdi. In quello stesso giorno, in una grande corte della campagna parmense lungo gli argini del Po, poco distante da dove ottantotto anni prima è nato il Maestro, nascono due bambini, Olmo Dalcò e Alfredo Berlinghieri. State tranquilli, non voglio raccontarvi Novecento: già qualcuno mi accusa di essere prolisso e di scrivere post troppo lunghi, e poi è meglio che il film di Bertolucci lo vediate da soli, senza qualcuno che ve lo spieghi.
Invece vi voglio raccontare cosa sia una corte, dal momento che si tratta di una tipologia architettonica abitativa che è presente solo in questa parte della pianura padana. Anch'io, che pure sono nato e cresciuto in campagna, soltanto a un centinaio di chilometri da qui, non la conoscevo, se non attraverso i film - oltre a Novecento c'è lo splendido L'albero degli zoccoli di Ermanno Olmi - perché nel bolognese ci sono case coloniche in cui normalmente abitava una sola famiglia di contadini, per quanto numerosa e stratificata nelle generazioni.
La corte - o cascina, come molti la chiamano, ma in Toscana la cascina è una casa semplice, per una sola famiglia - è un complesso di edifici che si sviluppa in forma quadrangolare intorno a un grande cortile: alcuni di questi edifici sono utilizzati come abitazioni, mentre gli altri sono stalle, fienili, magazzini, ricoveri per attrezzi. Nelle corti molto grandi ci può essere anche una chiesa e un'osteria, perché le corti sono in genere lontane dai paesi e un tempo muoversi per questa pianura, attraverso le nebbie, non era affatto agevole: meglio stare dove si è al sicuro. Per lo più si accede alla corte da un unico portone e quindi queste strutture assumono un po' l'aspetto di fortificazioni che spuntano in mezzo alla pianura. Naturalmente cambiano le dimensioni, ci sono corti in cui abitavano cinque o sei famiglie e altre, specialmente nelle aree più vicine al Po, che potevano arrivare a ospitarne anche venti. E ovviamente non erano le piccole famiglie a cui siamo ormai abituati. Quasi mai il proprietario abitava nella corte, ma ci viveva il fittavolo, in una casa che naturalmente si distingueva da quelle dove vivevano tutti gli altri contadini. Questo sistema sociale prima che urbanistico è il modo che gli uomini che vivevano secoli fa questa parte della pianura, tanto ricca quanto potenzialmente pericolosa a causa della presenza del Po e dei suoi affluenti, hanno sviluppato per renderla il più produttiva possibile. La ricchezza della nostra pianura nasce anche dalle corti e, proprio come ci spiegano i film di Olmi e Bertolucci, anche la solidarietà e le lotte sociali così forti in queste terre nascono nella vita, spesso molto dura, di queste comunità. Anche chi di voi è nato in città è in qualche modo figlio di queste corti.
Lo spunto di queste riflessioni è stata una felice idea degli amici che organizzano il Teatro di Ragazzola. Ragazzola è una piccola frazione di un comune di nemmeno tremila abitanti che si chiama Roccabianca. E in questo sperduto angolo della pianura ci sono due teatri e una ricca stagione, che può rivaleggiare con quelle delle grandi città. Naturalmente anche il Teatro di Ragazzola ha dovuto fermarsi per la "peste", ma appena è stato possibile, ha deciso di riprendere, organizzando due spettacoli all'aperto nella Corte Le Giare, che è esattamente una corte come ho descritto sopra.  
Osservando quei vecchi edifici ho pensato che anche i miei nonni, Carmelo e Sofia, Vincenzo e Lalla,  sono nati all'inizio del Novecento, più o meno coetanei di Olmo e di Alfredo. Non è passato molto tempo, ma né i nipoti di Olmo né quelli di Alfredo vivono più in quella corte. Sono probabilmente la prima generazione da secoli a non essere nata laggiù. Così come io sono della prima generazione della mia famiglia a essere nato in un ospedale e non a casa, a essermi laureato, a non aver dovuto lavorare in campagna per vivere.
Probabilmente il pronipote di Alfredo vive a Milano, in un appartamento di qualche grattacielo di lusso, mentre il pronipote di Olmo abita in una villetta a schiera a Fontanellato o a Busseto. Il pronipote di Alfredo non è più il proprietario della terra o meglio è il presidente della società che possiede quella grande azienda agricola e anche dell'immobiliare che invece controlla quel complesso di edifici, perché è stato fiscalmente più vantaggioso dividere le due cose. Mentre il pronipote di Olmo continua a lavorare per l'azienda come agronomo. Ha studiato, si è laureato, applica in azienda tutte le tecnologie per renderla più produttiva.
E chi vive nella corte? Quando siamo arrivati a "teatro", oltre agli amici di Ragazzola e a quelli della Protezione civile che hanno verificato che non avessimo la febbre e che tutto si svolgesse in maniera ordinata e regolare, ci hanno accolto due signore indiane con i loro coloratissimi abiti tradizionali e dei bambini che correvano con sicurezza nel cortile, incuriositi dai preparativi per gli spettacoli.
Perché i contadini continuano a vivere nella corte, come un secolo fa, ma adesso sono indiani, si chiamano Singh e Kaur, sono arrivati dall'altra parte del mondo, da una terra che Olmo e Alfredo potevano solo immaginare. E vivono lì con le loro famiglie. I loro figli si muovono con la sicurezza di Olmo e Alfredo, giocando a nascondino in quel labirinto di edifici adesso per lo più disabitati o inutilizzati. Perché adesso basta una famiglia, al massimo due. I ricoveri degli attrezzi sono vuoti, perché i mezzi meccanici, i grandi trattori, sono fuori, al riparo delle grandi tettoie. Le stalle sono sempre piene, perché gli indiani sono ottimi allevatori: sono loro che producono molto del latte che poi diventa il parmigiano-reggiano o il grana padano - a seconda della riva del Po su cui viene prodotto - due dei simboli della cucina italiana nel mondo. E probabilmente quelle bambine e quei bambini non saranno contadini come i loro genitori. Stanno studiando, il loro futuro, come è successo a quelli della mia generazione, sarà da un'altra parte.
Non voglio trarre una conclusione politica da questa storia, che tiene insieme la bandiera rossa di Novecento e la speranza che possiamo leggere negli occhi di quelle bambine e di quei bambini. Anche se voi naturalmente potete farlo. Mi piace pensare a questo angolo nebbioso di pianura, un "mondo piccolo", come diceva un altro nato quaggiù, che però tiene insieme tutto questo.

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