lunedì 29 giugno 2020

Verba volant (773): contrabbasso...

Contrabbasso, sost. m.

Ciao tesoro, come è andata?
Fred è felice di tornare nel loro piccolo appartamento di Forestville, ma soprattutto quella sera è felice di vedere Mary. Oggi mi hanno mandato alla torre. Da solo.
Ma lavori al St. Elizabeths solo da due settimane.
Ci sono problemi di personale. E così il supervisore ha detto che toccava a me, che ormai sono pronto per la torre. 
E come è andata?
Il supervisore mi ha detto di non preoccuparmi, di attenermi scrupolosamente al registro, di portare ai pazienti le medicine nelle dosi e negli orari indicati. E Tom prima di andare mi ha detto che è un lavoro facile: basta stare lì e guardare le gabbie. Non c'è altro da fare. Non ci mettono neppure un dottore, perché dice che tanto lì i dottori non servono, lì ci sono quelli che non possono guarire. E che comunque non saprebbero neppure come curare.
E tu?
Ho guardato le gabbie e ho portato le medicine come dice il registro. Oggi non erano previste terapie né elettroshock. E comunque farò meglio ad abituarmi. Stanno trasferendo i pazienti meno gravi in altre strutture. Al St. Elizabeths rimarranno i criminali e gli incurabili. Credo che mi toccheranno sempre più spesso i turni alla torre. Credevo ci fosse rumore, credevo di sentire di continuo le urla dei pazienti. Mi ha sorpreso il silenzio. Gli unici rumori sono stati quelli dei miei passi lungo il corridoio e dei piccoli sportelli attraverso cui ho fatto passare le medicine e il cibo. Quel silenzio può farti diventare pazzo. Ho passato la giornata sognando di ascoltare un qualche disco della Blue Note. 

Mary quella sera ha fatto tardi, quando entra in casa Fred è già arrivato. L'ha capito anche prima di aprire la porta: ha sentito Light blue di Thelonious Monk. Ciao tesoro, hai solo ascoltato dei dischi o hai anche preparato la cena?
Ciao Mary. Oggi ho letto il registro. 
Cosa?
Lo leggo sempre, ma non avevo mai letto la prima pagina, quella dove ci sono i nomi dei pazienti. In genere li indichiamo con il numero. Non so perché, ma per infrangere quel silenzio oggi pomeriggio ho deciso di conoscere i loro nomi e ho visto che il n. 23 si chiama Edward Rudolph Warren.
Allora?
Senti il contrabbasso in questo pezzo? È lui, è Ed "Butch" Warren. Ho tanti dischi in cui suona. Con Donald Byrd, con Dexter Gordon, con Sonny Clark, con Hank Mobley, e naturalmente con Monk. È lui che suona il contrabbasso in Watermelon man di Herbie Hancock.
Ma sei sicuro che sia lui? Come ci sarebbe finito uno come lui al St. Elizabeths.
No, non sono sicuro. Non l'ho mai visto dal vivo e nelle copertine dei miei album non c'è una sua foto. L'uomo nella camera n. 23 ha trent'anni, ma sembra molto più vecchio, è rinchiuso lì per schizofrenia paranoide. Almeno così dice il registro. Non parla mai. Ma lì nessuno parla mai. Non gli posso chiedere se è lui Butch Warren. Però non ho suoi dischi dopo il '64: e questo mi fa sospettare.  
Ma all'ospedale cosa dicono?
Ne sanno poco, ma d'altra parte sanno poco di tutti i pazienti. Sembra che abbia chiesto lui di farsi ricoverare. Non è indicata la professione. Uno si ricorda che quando è arrivato sembrava un barbone, che per lui si è fatto ricoverare solo per avere un letto e tre pasti al giorno. Ma nessuno sano di mente verrebbe volontariamente al St. Elizabeths e accetterebbe gli elettroshock solo per quello schifo che gli passiamo. Domani voglio fare un salto al negozio di Winston ad Anacostia. Lui conosce tutti. 
Va bene, ma ricordati che questo mese hai già comprato un album. Dobbiamo risparmiare. E la regola è un disco al mese.

Mary sa che quella sera Fred tornerà con un album: non può andare al negozio di Winston senza prenderne uno.
Amore, ti prometto che questo è quello del prossimo mese, ma è appena uscito il nuovo di Miles Davis, In a silent way.
Mary sorride. Dimmi piuttosto cosa hai saputo del tuo misterioso paziente.
A quello che ne sa Winston potrebbe anche essere lui. A dire il vero di Butch Warren non si sa nulla da qualche anno. Nel '63 suonava con Monk e lì girava molta eroina. All'inizio dell'anno è morto il suo amico Sonny Clark e poi sembra che sia stato molto colpito dall'uccisione di Kennedy. Winston dice che a un certo punto Butch è come sparito. O forse non l'hanno mai cercato. E adesso nessuno sa dove sia. Secondo lui è morto da qualche parte, forse a New York. O forse è ancora vivo, come si può essere vivi al St. Elizabeths.

Ho parlato con il medico che lo ha in cura. Come prevedevo dice che non è una cosa importante sapere chi sia quell'uomo. Che secondo lui non è un musicista. Dice che l'unica cosa è continuare con gli elettroshock. 

Quando Mary rientra dalla lavanderia dove lavora, Fred è sprofondato nel divano. Sta ascoltando Leapin' and lopin'. Ormai anche lei sa che in quel disco è Butch Warren che suona il contrabbasso.
Mary, non ne posso più del St. Elizabeths, non ho studiato da infermiere per fare il guardiano di un carcere. E non è solo per la storia di Edward Warren, chiunque egli sia. Non mi importa se sia o meno un genio della musica, ma non merita di stare in quelle condizioni, così come tutti gli altri. Perfino quelli che hanno commesso dei crimini non meritano i continui elettroshock, le dosi sempre più massicce di psicofarmaci, non meritano quel terrificante silenzio. Ho trovato un posto in una struttura che gestisce i malati in una casa famiglia, lì finalmente posso aiutare qualcuno. Però lo stipendio è più basso. Ma non ce la faccio più.

Domenica 21 maggio 2006, trentasette anni dopo, Fred ha saputo che aveva ragione: quell'uomo della n. 23 era davvero Butch Warren.
È scritto in un articolo del Washington Post, firmato da Marc Fisher. Il giornalista ha incontrato Butch nell'ospedale psichiatrico dove vive, nel Maryland, a meno di cinquanta miglia da Washington. Lo ho "scoperto" un infermiere, che - a differenza di Fred - ha avuto a disposizione internet; lui non è un appassionato di jazz, ma si è incuriosito perché quel vecchio senza denti si mette al piano della sala ricreativa e suona per gli altri pazienti. Fred conosce la storia di Butch fino al St. Elizabeths.
Dimesso dall'ospedale Ed ha lavorato un po', aggiustando radio e apparecchi televisivi o pulendo i pavimenti negli uffici della Marina, ha fatto anche qualche serata, ma soprattutto è stato un barbone. Una volta è stato arrestato. Una notte d'inverno la polizia lo ha trovato dentro un negozio la cui porta era stata forzata: ha raccontato di averla trovata così e di essere entrato mentre l'allarme ancora suonava, perché aveva freddo. La sua vita è stata così: qualche notte in prigione, molte nei rifugi per i senzatetto e nei dormitori delle chiese e finalmente l'ospedale per vecchi malati di mente. Butch però non se n'è mai andato da Washington, dalla città in cui era scomparso, e in cui tutti lo credevano morto. Ma in cui nessuno lo ha mai davvero cercato. E in cui, dopo quell'articolo, è tornato a fare qualche concerto. Elegante e preciso come cinquantanni prima, quando tutti volevano suonare con lui, perché lui era una garanzia. Perché, come ha detto un suo collega, Ed non può prendersi cura di sé, ma può ancora suonare
Edward Rudolph Warren, detto Butch, nato a Washington DC il 9 agosto 1939, è morto a Silver Spring, nella casa di cura dove viveva e dove suonava per gli altri pazienti, il 5 ottobre 2013.

Nella primavera del 2010 a Washington è stato aperto un nuovo ospedale psichiatrico e gli edifici in cui era ospitato il St. Elizabeth definitivamente chiusi. Alla fine del 2007 il Dipartimento di Giustizia del governo federale e gli uffici del Distretto di Columbia hanno finalmente trovato un accordo per chiudere i contenziosi aperti da cittadini e associazioni per lesioni ai diritti civili all'interno dell'ospedale. Il Distretto di Columbia ha accettato le proprie responsabilità, anche se non ha ancora avviato un controllo con i radar nel terreno per cercare i resti dei pazienti. I registri per decenni sono stati mal tenuti e quindi non si sa quante persone siano state effettivamente ospitate nell'ospedale, né quante siano morte. Il fatto che nell'area del campus ci fosse un inceneritore fa supporre che non si saprà mai.

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