mercoledì 16 dicembre 2009

da "Tusculanae disputationes" (libro V) di Marco Tullio Cicerone

Quem, ut scribit auditor Platonis Ponticus Heraclides, vir doctus in primis, Phliuntem ferunt venisse, eumque cum Leonte, principe Phliasiorum, docte et copiose disseruisse quaedam. Cuius ingenium et eloquentiam cum admiratus esset Leon, quaesivisse ex eo, qua maxime arte confideret; at illum: artem quidem se scire nullam, sed esse philosophum. Admiratum Leontem novitatem nominis quaesivisse, quinam essent philosophi, et quid inter eos et reliquos interesset;
Pythagoram autem respondisse similem sibi videri vitam hominum et mercatum eum, qui haberetur maxumo ludorum apparatu totius Graeciae celebritate; nam ut illic alii corporibus exercitatis gloriam et nobilitatem coronae peterent, alii emendi aut vendendi quaestu et lucro ducerentur, esset autem quoddam genus eorum, idque vel maxime ingenuum, qui nec plausum nec lucrum quaererent, sed visendi causa venirent studioseque perspicerent, quid ageretur et quo modo, item nos quasi in mercatus quandam celebritatem ex urbe aliqua sic in hanc vitam ex alia vita et natura profectos alios gloriae servire, alios pecuniae, raros esse quosdam, qui ceteris omnibus pro nihilo habitis rerum naturam studiose intuerentur; hos se appellare sapientiae studiosos - id est enim philosophos -; et ut illic liberalissimum esset spectare nihil sibi adquirentem, sic in vita longe omnibus studiis contemplationem rerum, cognitionemque praestare.


Stando alla tradizione riportata da Eraclide Pontico, discepolo di Platone, uomo di straordinaria cultura, Pitagora si era recato a Fliunte dove aveva discusso con grande dottrina ed eloquenza alcune questioni con Leonte, principe dei Fliasi; Leonte allora, ammirato per il suo ingegno e la sua eloquenza, gli chiese quale arte soprattutto professasse e si sentì rispondere che egli non conosceva nessuna arte in particolare, ma era un filosofo. Leonte, stupito della novità del nome, chiese chi mai fossero i filosofi e quale differenza tra loro e gli altri; Pitagora allora rispose che, secondo il suo modo di vedere, c’era un’analogia tra vita degli uomini e quel tipo di fiere che si tengono con grandissimo apparato di giochi davanti a un pubbli­co che accorre da tutta la Grecia. Infatti, come là c’è chi cerca di ottenere la gloria e la celebrità della corona con l’allenamento atletico, e chi vi giunge con l’intento di fare buoni affari comprando e vendendo, ma c’è anche una categoria di persone, ed è di gran lunga la più nobile, che non cerca né il plauso nè il lucro, ma vi si reca solo per vedere e osservare attentamente ciò che succede e come succede, lo stesso vale per noi uomini: come la gente parte da una città per recarsi a una fiera affollata, così noi, giunti in questa vita dopo essere partiti da una vita e da una natura diversa, ci troviamo a servire chi la gloria, chi il denaro; ci sono alcuni, ma sono rari, che senza tenere in alcun modo tutto il resto, si dedicano con passione allo studio della natura, e questi - diceva Pitagora - si chiamano amanti della sapienza, cioè filosofi; e come alla fiera il comportamento più nobile è quello dell’osservatore disinteressato, così nella vita l'in­dagine e la conoscenza della natura sono attività di gran lunga superiori a tutte le altre.

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