martedì 4 aprile 2017

Verba volant (370): olivo...

Olivo, sost. m.

Pianta inviolabile, spontanea,
terrore delle armi nemiche,
più rigogliosa qui che altrove,
fronda d'olivo che luccica e nutre;
né giovane né vecchio col cenno della mano
la può annientare, dopo averla incendiata.
Così Sofocle nell'Edipo a Colono parla di questa pianta così sacra per gli antichi greci. In pochi versi il poeta racconta tante storie, che il suo pubblico conosce assai bene: Atena che dona alla città il primo olivo, che ancora dà frutti sull'Acropoli; la decisione degli ateniesi di far nascere da quel primo albero le tante piante sacre che si trovano in Attica, inviolabili a norma di legge; Serse che ordina di dare alle fiamme l'olivo dell'Acropoli, rinato poi miracolosamente dalle proprie ceneri; il re di Sparta Archidamo che impone al proprio esercito vittorioso il rispetto del divieto di tagliare gli olivi della sconfitta Attica.
Anche per questo fanno bene in Salento a difendere i loro olivi e tutti noi dobbiamo essere grati a quelle donne e a quegli uomini per la battaglia difficile che stanno combattendo; lottano per la loro terra, per il futuro dei loro figli; e anche per noi. E' una lotta giusta, al netto dei demagoghi, di quelli che la cavalcano, di quelli che si scoprono oggi capipopolo mentre hanno incarichi istituzionali e non hanno mai levato una voce contro il sistema che vuole questo scempio.
Non sono questi personaggi da commedia che indeboliscono questa battaglia. Temo invece che proprio gli elementi che danno forza a quella lotta ne segnino anche la sua intrinseca debolezza. Infatti è riduttivo pensare che battersi contro la costruzione di quel gasdotto abbia il solo scopo di difendere il Salento, così come è sbagliato credere che la lotta contro il Tav debba essere fatta soltanto per tutelare la Val di Susa. Non credo sia un caso che queste due battaglie, probabilmente tra le più significative per le implicazioni politiche e sociali della nostra storia recente, avvengano in due aree così "lontane" dal resto del paese, due regioni in qualche modo poco italiane e la cui identità culturale è così forte e radicata. Questo naturalmente rafforza la lotta, perché segna un forte elemento di coesione, che è indispensabile per sostenere questo scontro così duro, di fronte a nemici così forti, ma ne è appunto il limite. Perché i nemici - i nostri comuni nemici, ossia quelli che vogliono il treno ad alta velocità, quelli che vogliono il gasdotto che dall'Azerbaigian arriva al Salento, quelli che vogliono le grandi opere, quelli che consumano i beni comuni e sfruttano il territorio - possono riuscire più facilmente a dire che si tratta di una rivendicazione locale, possono smontarne la portata politica; e più facilmente possono tentare di spezzare la nostra coesione, perché a fronte di un territorio che non vuole l'alta velocità o non vuole il gasdotto se ne può trovare un'altro che quelle opere le vuole, ingannato dalla falsa idea di progresso che queste sembrano portarsi dietro, dalle promesse che tali opere porteranno lavoro e ricchezza.
Il problema del gasdotto Tap non è quello che la sua costruzione distruggerà gli olivi del Salento, o meglio non è solo quello, anche se questo è il motivo che serve a mobilitare tante energie, dentro e fuori quella terra. Secondo la propaganda di chi vuole costruire il gasdotto questa sarebbe la migliore soluzione possibile per sottrarci alla dipendenza del gas russo. Questa è una prima menzogna. Le riserve di gas dell'Azerbaigian sono state sovrastimate e adesso sappiamo che ce n'è molto meno di quello che sarebbe giustificato dalla costruzione di questa infrastruttura, mentre il Turkmenistan ha deciso di vendere il proprio gas a est e infatti stanno costruendo un gasdotto che va in quella direzione. Alla fine il gasdotto transadriatico sarebbe utilizzato prevalentemente da Gazprom, che ha già firmato delle intese con Turchia e Grecia per costruire dei gasdotti in quei paesi, che si potrebbero facilmente collegare con il Tap. Ma in fondo non è neppure questo il vero problema, anche se ovviamente dovrebbe essere un tema di riflessione il fatto che i nostri principali fornitori di gas siano paesi - come la Russia, l'Azerbaigian o la Turchia - governati da regimi autocratici, che finiremmo per sostenere, acquistando il loro gas.
Costruire questo - o qualsiasi altro - gasdotto non serve a tutelare una fantomatica "sicurezza energetica", che nessuno sa spiegare cosa esattamente sia. Eppure sicurezza è una sorta di parola passepartout, che serve a giustificare ogni violazione del diritto da parte dei governi. Ecco un'altra menzogna: questo gasdotto non serve a tutelare la sicurezza energetica dell'Europa, perché già più del 60% del gas e dell'80% del petrolio venduti in Europa vengono dai paesi del sud del mondo o dalla regione del Caspio. Giustificare nuovi investimenti in questi paesi e nuove infrastrutture in Europa per garantire che petrolio e gas possano alimentare il mercato europeo è solo una scusa per continuare a ledere i diritti delle comunità che vivono dove questi combustibili vengono estratti. La vera questione è che costruire adesso un nuovo gasdotto vuol dire non rendersi conto - non voler rendersi conto - che tutti i combustibili fossili, gas compreso, stanno per finire e che quindi occorre investire in forme diverse di energia.
Concentrare la nostra attenzione sul Salento, sui suoi olivi secolari, su quel territorio unico, che sarebbe stuprato dalla costruzione del Tap, non può farci dimenticare che il Tap è un male in sé. Parliamo pure degli olivi, parliamo pure del Salento, visto che questo ci serve a fermare quell'opera, ci serve a conquistare attenzione, ma ricordiamo che il Tap non diventerebbe bello se invece di essere costruito in Salento arrivasse in qualche altro pezzo della costa adriatica, dove non ci sono quei bei olivi e dove ci sono già impianti industriali, magari dismessi, dove l'ambiente è già stato compromesso dai troppi sì che abbiamo detto in questi decenni.
La battaglia che dobbiamo condurre, anche a partire da un'emergenza assolutamente locale, come quella della difesa di una parte preziosa e fragile del nostro paese, è quella contro un capitalismo rapace che non sa immaginare altro che lo sfruttamento dei combustibili fossili. Vorrà dire qualcosa se il governo statunitense più ultracapitalista dai tempi di Reagan ha deciso di sostenere l'industria del carbone o se le grandi aziende russe guidano la politica estera del loro paese affinché siano garantite le rotte di comunicazione per il loro gas. Il Tap fa tanto male al Salento quanto è un pericolo per le persone che abitano a Baku, per gli agricoltori turchi e gli allevatori greci che vivono lungo il suo tracciato, per la regione di Seman in Albania, dove il Tap si getta in mare, e noi - anche noi che viviamo lontano da quelle terre - dobbiamo riuscire a fermarne la costruzione per proteggere il futuro nostro e loro.
La distruzione degli olivi del Salento è un danno collaterale. La vicenda del Tap è gravissima perché su una questione centrale come l'energia le decisioni fondamentali non vengono prese neppure dai governi - figurarsi poi dalle istanze democratiche più vicine al territorio - ma da poteri che rispondono unicamente a una logica di profitto, che sono capaci di controllare una risorsa, di cui prima ci hanno fatto diventare dipendenti e che poi hanno fatto diventare scarsa. Il Tap è un pericolo perché è un elemento di questo disegno, in cui i rischi vengono messi in conto alla collettività, i guadagni sono tutti dei grandi capitalisti e noi cittadini ci ritroviamo a pagare per un bene che, oltre tutto, danneggia il territorio in cui viviamo e pregiudica per sempre il futuro dei nostri figli.
Però è una battaglia molto difficile, sempre più difficile; e non so se ci sarà un poeta che canterà un giorno questa resistenza, non so se avremo la forza di raccontare ancora le storie dei nostri olivi.

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