Sono passati 25 anni dal più grave disastro industriale della storia, avvenuto la notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984 a Bhopal, una città dell'India centrale: un anniversario passato, purtroppo, sotto silenzio.
Da una fabbrica di pesticidi di proprietà della multinazionale america Union Carbide si sviluppò una nube di isocianato di metile. Le 40 tonnellate di gas uccisero immediatamente quasi quattromila persone, altre 15mila persone sono morte nei mesi successivi, a seguito delle conseguenze della fuga di gas. Si calcola che si siano ammalate, di gravi patologie polmonari e oculari, circa 500mila persone. La cosa ancora più drammatica e vergognosa è che a Bhopal si continua a morire per le conseguenze di quell'incidente, avvenuto 25 anni fa. Lo stabilimento non è stato ripulito, sono state abbandonate là centinaia di tonnellate di scorie tossiche, l'esposizione alle quali provoca ogni mese dalle dieci alle trenta morti. Le falde sono inquinate, con un danno gravissimo alla salute delle persone - sono frequenti infatti le anomalie genetiche - e alla crescita economica della città, che è poverissima.
La Union Carbide, a titolo di risarcimento, ha versato 2.000 dollari alle famiglie delle vittime e 550 dollari per i feriti, per un totale di 470 milioni di dollari e con questo si è tacitata la coscienza. Nel 2001 la Dow Chemical, la seconda più grande produttrice chimica al mondo, ha acquistato per 11 miliardi e 600 milioni di dollari la Union Carbide e da allora non c'è più un responsabile del disastro. Warren Anderson, che all'epoca del disastro era l'amministratore delegato della Union Carbide, vive con i lauti proventi della sua buona uscita negli Stati Uniti, nonostante su di lui penda un mandato di arresto internazionale per omicidio colposo, che nessuno eseguirà perché il governo indiano, per timore di spaventare gli investitori internazionali, non chiede - e non chiederà - la sua estradizione al governo degli Stati Uniti (e naturalmente il governo americano non si sogna di arrestare un proprio cittadino per un reato commesso in India). La Dow Chemical non prende neppure in considerazione di ripulire l'area contaminata, perché quanto avvenuto a Bhopal non è una propria responsabilità. La stessa azienda nel 2002 ha accantonato la somma di 2 miliardi e 200 milioni di dollari - quasi cinque volte quello speso per i risarcimenti di Bhopal - per affrontare le possibili richieste di risarcimento di tribunali statunitensi in cause per i danni provocati dall'amianto prodotto dalla Union Carbide: evidentemente i cittadini statunitensi valgono molto di più di quelli indiani, alla faccia di qualunque principio sull'uguaglianza degli uomini.
Secondo voi, come mai nessuno ha ricordato il venticinquesimo anniversario del disastro di Bhopal?
p.s. devo queste considerazioni al giornalista Suketu Mehta, autore di un articolo su The New York Times, tradotto e pubblicato nel nr. 825 di Internazionale; ve ne consiglio la lettura
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