Nei giorni in cui in Italia si "scopre" la pericolosità di Facebook, con dichiarazioni francamente fuori luogo del Presidente del Senato, e si stanno studiando leggi per limitare in qualche modo l'uso della rete - speriamo che si continui soltanto a parlarne, senza far nulla, come è tipico del nostro paese - mi è sembrato utile cercare qualche notizia su quei paesi dove veramente esistono forme di censura sulla rete. Troppo immersi nelle farse italiane rischiamo troppo spesso di dimenticare le tragedie del mondo.
Reporters sans frontières, un'organizzazione internazionale che si batte per la difesa della libertà di stampa, e Amnesty International, in occasione della Giornata mondiale contro la cybercensura, che si è svolta lo scorso 12 marzo, hanno scritto ai direttori generali di Google, Yahoo! e della Microsoft, per chiedere loro di intervenire; la "complicità" dei maggiori motori di ricerca nella censura online, in alcuni casi, per esempio in Cina, "non si limita a causare la sparizione di informazioni relative ai diritti umani, al Dalai Lama, a Carta 08 o alla democrazia, ma queste parole vengono filtrate dalla rete, bloccando di fatto anche l’accesso a pagine internet di organizzazioni internazionali impegnate nella difesa dei diritti umani, come Rsf o Amnesty International". Queste importanti aziende, collaborando di fatto con le leggi nazionali di censura, contravvengono alla regolamentazione internazionale che protegge la libertà di espressione e alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Reporters sans frontières inoltre ha pubblicato un rapporto intitolato I nemici di internet; queste, come altre informazioni, le potete trovare nel loro sito. In dieci paesi la censura informatica è normata e legalizzata; si tratta di Cina, Australia, Birmania,Vietnam, Corea del sud, Thailandia, Yemen, Zimbabwe, Turkmenistan, Uzbekistan. Colpisce che nell'elenco, oltre a paesi dove non ci sono istituzioni democratiche, ci siano due paesi come Australia e Corea del sud, che sono democrazie di tipo occidentale. Eppure proprio in Australia, sull'onda emotiva della guerra contro il terrorismo internazionale, è stata approvata una legge che impone a tutti i collegamenti internet un filtro, inoltre una speciale agenzia governativa è autorizzata a controllare e intercettare qualunque messaggio e-mail sospetto e ad avviare indagini sugli utilizzatori della rete, senza il permesso della magistratura; in Corea del sud è diffusa la pratica di ingaggiare da parte del governo degli internauti – ironicamente detti "i cinque centesimi" dal compenso per ogni commento pubblicato – per postare sui blog di discussione commenti filogovernativi.
Poi ci sono paesi, come Eritrea, Malesia e Bielorussia, in cui l’informatizzazione è ancora scarsa e perciò facilmente sottoposta a controlli governativi; paesi, come Corea del nord e Cuba, in cui la repressione informatica è solo uno degli aspetti di un controllo più generale sulla popolazione - per la situazione cubana basti pensare anche al recentissimo caso di minacce contro la blogger Yoani Sanchez; infine paesi in cui i governi si avvalgono di un carente codice penale per applicare un’arbitraria quanto feroce repressione nei confronti di coloro che "offendono o violano i principi della religione o le norme sociali", come Arabia Saudita, Iran, Siria, Egitto.
Reporters sans frontières denuncia una situazione in cui alcuni governi "hanno già trasformato le loro reti in intranet, impedendo che gli internauti accedano a informazioni considerate indesiderabili" e "hanno manifestato non solo la loro capacità di censurare l’informazione, ma anche di reprimere in maniera sistematica gli internauti scomodi". Attualmente sono 98 i cosiddetti cyberdissidenti incarcerati per motivi politici, di cui 63 soltanto in Cina.
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