All'inizio del 2010, tra sabato e domenica, mentre l'attenzione mondiale era concentrata sui terroristi nello Yemen e l'attenzione italiana sull'inizio dei saldi, a Dhuusa Marreeb, una città di circa quarantamila abitanti a nord di Mogadiscio in Somalia, si è combattuta una delle battaglie più cruente degli ultimi mesi. Le informazioni che arrivano dal paese africano sono frammentarie e non si capisce quale delle due fazioni, che da tempo si contendono la città, un importante snodo strategico per il nord del paese, abbia questa volta avuto la meglio. Naturalmente non si hanno notizie precise neppure sul numero delle vittime dello scontro: probabilmente una cinquantina di morti e il doppio di feriti. Per saperne di più su questa notizia e sulla guerra che si combatte ormai da molti anni in Somalia - e per sapere cose di cui solitamente non sentiamo parlare in televisione - potete leggere quello che scrive il sito Peace reporter.
Sicuramente tra le vittime di questa ennesima battaglia ci sono i rifugiati, in maggioranza provenienti da Mogadiscio, che costituiscono circa l'80 per cento della popolazione della città; sono trentamila persone che, ancora una volta, hanno ricominciato a fuggire, scappando nei piccoli villaggi intorno a Dhuusa Marreeb, ma la loro terribile odissea non è certo destinata a finire. Occorre ricordare che sono oltre un milione gli sfollati dalla capitale somala: una situazione drammatica di cui non si parla da tempo nei paesi occidentali.
In particolare in Italia non si parla volentieri della Somalia, per diverse ragioni. Prima di tutto perché la missione delle Nazioni Unite, a cui il nostro paese ha partecipato con un importante contingente di truppe - secondo per dimensione soltanto a quello statunitense - è stata un fallimento, conclusa in maniera infruttuosa nel marzo del 1995, con la "fuga" degli ultimi caschi blu da Mogadiscio. Nonostante il contingente italiano abbia svolto con impegno la propria missione, si dovettero registrare purtroppo alcuni casi di tortura verso i prigionieri somali da parte di soldati italiani. Come scrive lo storico Angelo Del Boca: "È vero che, dalle inchieste della magistratura, è emerso che soltanto tre episodi sono da considerarsi di rilevanza penale e che «gli ufficiali, i sottufficiali e i militari di truppa coinvolti sono stati poco più di una dozzina» (come ha scritto il generale Loi, comandante del nostro contingente, ndr), ma ciò non autorizza nessuno, prima a coprire gli episodi e poi, divenuti questi di dominio pubblico, a liquidarli quasi con fastidio, quasi fossero di nessuna importanza".
Questo è però solo l'ultimo episodio di una storia che non fa onore all'Italia. Il nostro paese ha diverse colpe nei riguardi di quel paese del corno d'Africa: cinquant’anni di un duro dominio coloniale (altro che "italiani brava gente"); un decennio di mandato fiduciario - nel secondo dopoguerra - dai risultati mediocri; il sostegno senza riserve al diattore Siad Barre (in tempi di "riabilitazione" di Craxi, si dovrebbe tornare a parlare della sua sciagurata politica africana); gli scandali, su cui non si è indagato con la necessaria attenzione, riguardanti la gestione dei fondi della Cooperazione allo sviluppo (Ilaria Alpi e Mran Hrovatin sono morti per essere arrivati troppo vicini alla verità). Per non continuare a essere complici di tutto questo, facciamo almeno lo sforzo di non "censurare" le otizie che arrivano da quel paese.
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