A poco più di due settimane dal terremoto che ha distrutto Haiti, qui in Italia siamo tornati a parlarne quasi unicamente per le estemporanee dichiarazioni di Guido Bertolaso contro il modo con cui le truppe degli Stati Uniti gestiscono l'emergenza; evidentemente le troppe lodi che riceve in patria gli hanno fatto perdere il senso della misura, non appena varcati i confini nazionali. Frattini e poi Berlusconi hanno immediatamente smentito il sottosegretario, ristabilendo così i buoni rapporti con l'amministrazione Obama.
Al di là del folklore di tutte queste dichiarazioni, rimane il problema di come affrontare in maniera efficace e seria questa catastrofe; mi auguro che le Nazioni Unite e il governo degli Stati Uniti lo stiano facendo, partendo da quello che, secondo l'analisi di Amnesty International, è il tema chiave: il rispetto dei diritti umani.
Occorre che tutti gli attori coinvolti nella vicenda - tra cui il debole governo haitiano di René Préval - siano consapevoli che il rispetto dei diritti umani deve diventare l'elemento essenziale sia nella fase dell'emergenza che in quella - presumibilmente molto lunga - della ricostruzione. Non possiamo dimenticare che il popolo di Haiti non è stato vittima soltanto di un terribile disastro naturale, ma che è vittima da molti decenni della mancanza dei più elementari diritti dell'uomo: la povertà, la denutrizione, le diseguaglianze hanno amplificato in maniera terribile gli effetti del sisma (1,8 milioni di persone soffrono la fame, il 40% della popolazione non ha accesso all'acqua potabile, solo per ricordare due dati). Per questi motivi il soccorso prima e la ricostruzione poi devono essere basati sul rispetto e sulla promozione dei diritti umani. Gli aiuti devono essere forniti a tutti, in un paese dove le differenze razziali tra neri e mulatti hanno pesato in maniera forte e sono state fonti di conflitto; bisogna che i paesi ora impegnati ad Haiti garantiscano a ogni persona i livelli minimi essenziali di cibo, di acqua, di servizi sanitari, di alloggio e di educazione. Nell'ottica della ricostruzione e della crescita democratica del paese, quest'ultimo tema non è meno importante: ad Haiti il tasso di analfabetismo è alto, così come sono diffuse superstizioni, legate alle dottrine voodoo.
E naturalmente occorre pensare ai più deboli, che in queste situazioni di crisi, lo diventano sempre più. Ad Haiti c'è ora un numero imprecisato, ma verosimilmente molto alto, di bambine e di bambini rimasti senza famiglia, che si aggiungono al gran numero di orfani che già vivevano nell'isola: senza controlli efficaci si rischia di alimentare il mercato delle adozioni illegali, visto anche il prevedibile aumento di richieste di adozioni dettato dalla sensazione dell'evento. Lo sfruttamento e il traffico degli esseri umani - e dei bambini in particolare - esisteva ad Haiti prima del terremoto e le organizzazioni criminali internazionali che li controllano sono pronte.
In una situazione di crisi le donne e le ragazze rischiano moltissimo: sono oggetto di violenze sessuali, sono sfruttate nel mercato della prostituzione, si vedono ridotti i servizi a tutela della maternità. Per queste ragioni occorre prestare grande attenzione alla sorte delle donne e dei bambini.
Haiti era già una società violenta, dominata da bande armate, più o meno organizzate, più o meno regolari, dipendenti dal potente di turno; il venir meno di ogni struttura sociale e di ogni gerarchia rende ovviamente ancora più pericoloso questo stato di cose; inoltre la distruzione della principale prigione dello stato ha messo in libertà moltissimi criminali. Le forze di polizia inviate dai paesi occidentali devono svolgere un'azione decisa per reprimere le violenze, ma devono anche evitare di macchiarsi di crimini, come troppe volte è avvenuto in azioni di peacekeeping.
In qualche modo, il modo con cui sapremo aiutare e ricostruire Haiti sarà la cartina di tornasole della crescita dei diritti umani nell'intero pianeta.
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