Quando si prova a dare un giudizio sulle elezioni - in qualunque paese e in qualunque periodo si svolgano - credo che sarebbe necessario seguire almeno due semplici regole: a) tenere conto dei numeri (quelli veri e non come ce li siamo immaginati o li abbiamo sperati); b) ricordare quello che si è detto prima di quelle stesse elezioni (per non fare la figura di astrologi che non commentano mai le proprie previsioni). Capita di leggere analisi che sfuggono a una - o anche a entrambe - queste regole.
Io avevo parlato delle elezioni regionali in una mia "considerazione" di circa due mesi fa (la nr. 61, per la precisione), occupandomi prevalentemente di quello che stava facendo il Partito Democratico. Se non avete voglia di rileggere quella pur breve "considerazione", ve ne riassumo il senso: lamentavo che il Pd era in ritardo nella definizione delle candidature (a metà gennaio mancavano ancora i candidati presidenti in almeno cinque regioni), che in alcuni casi la candidatura era stata "subita" dal Pd (penso al Lazio) e soprattutto che mancava un profilo riconoscibile del partito. Per me quelle valutazioni sono ancora valide e quindi ritengo che in qualche modo i risultati di lunedì scorso potessero essere previsti, anzi personalmente pensavo che lo scarto tra centrodestra e centrosinistra sarebbe stato ancora più negativo. Poi tra gennaio e le elezioni è successo un po' di tutto: il "pasticcio" delle liste, l'emergere di nuovi scandali, il duro scontro sulle trasmissioni televise di informazione politica e così via, tanto che a qualche dirigente del Pd è venuta l'idea che le elezioni si potessero anche vincere. Con le conseguenti delusioni di queste ore.
Veniamo ai dati. C'è un primo elemento che secondo me balza agli occhi e che non ho sentito citare da nessun commentatore (forse per la mia incapacità di assistere a molti dei lunghi e noiosi commenti al voto che ci ha propinato la televisione). Hanno votato circa due elettori su tre e tra i votanti poco più di un quarto ha espresso la propria preferenza per la lista del Pdl e poco più di un altro quarto ha votato per il Pd: diciamo che circa un elettore su tre ha votato per i due partiti maggiori. Dovrei fare dei conti che adesso non riesco a fare - e mi rendo conto che questa affermazione è arbitraria, perché ci insegnano alle elementari che non si possono sommare mele e pere -, ma probabilmente nell'epoca del proporzionale puro, gli elettori della Dc e quelli del Pci erano più di un terzo dell'intero elettorato italiano. Ormai la distinzione tra centrodestra e centrosinistra è acquisita dagli elettori italiani, eppure il risultato dei due partiti che hanno - o hanno avuto - l'ambizione di avere una vocazione maggioritaria all'interno del proprio schieramento non esprime questa polarità. Di questa debolezza non beneficia l'Udc, che non riesce a esprimere grandi risultati, nonostante i suoi voti siano stati necessari per far vincere alcuni candidati, come Burlando in Liguria, o siano stati a loro modo determinanti per far perdere il candidato del centrodestra in Puglia (per non parlare della sacrosanta scomparsa di Rutelli), ma hanno tratto profitto forze che esprimono spinte estreme, radicali e intransigenti, come la Lega, come l'Italia dei valori, come il Movimento cinque stelle. L'Italia che esce dalle regionali di quest'anno è ancora bipolare, ma il panorama politico è certo più frastagliato. Vale la pena di considerare che succede qualcosa di analogo anche negli altri paesi europei. In Gran Bretagna alle prossime elezioni politiche potrebbe finire il bipartitismo classico del Novecento e i liberali potrebbero essere determinanti per formare il nuovo governo; in Francia a sinistra, accanto al Psf è nato un movimento ecologista importante, mentre a destra soffre un partito che, non a caso, ha tentato di unificare in un'unica forza tutte le tendenze del centrodestra francese. In Germania i liberali, i verdi e la Linke sono tornati a essere forze di cui tenere conto nel gioco delle alleanze dei due partiti maggiori. Soltanto in Italia però lo scontro si radicalizza in questo modo.
Questo avviene, secondo me, per due motivi, che provo ad analizzare.
Nel centrodestra il "vero" partito di Berlusconi non è il Pdl, ma è proprio la Lega nord. Forza Italia era un partito assolutamente anomalo nel panorama italiano ed europeo. Era formato in larga parte da dipendenti di Berlusconi, i suoi avvocati, i suoi medici, gli uomini che hanno lavorato per lui e con lui nel mondo della finanza, nella televisione e in tutti i campi dove egli si è impegnato nel corso degli anni, in sostanza le persone di cui si poteva fidare: un partito assolutamente personale, gestito e finanziato dal proprietario-leader. Non è un caso che tanti dirigenti che, pur provenendo da esperienze diverse ed estranee al mondo di Berlusconi, all'inizio o nel corso degli anni si sono avvicinati a quel partito, ne siano stati progressivamente allontanati o marginalizzati. Naturalmente dal momento che in Forza Italia c'era molto potere, lì si sono radunati molti opportunisti - qualità questa peculiarmente italiana - ma tra questi raramente si trova personale politico preparato. Il Pdl, nonostante gli sforzi di Fini, somiglia troppo a Forza Italia e credo che non reggerà al momento in cui Berlusconi lascerà la vita politica italiana. Un partito politico è qualcosa di più e di diverso - e Fini lo sa bene e cerca di ricordarlo ogni giorno al presidente del consiglio. La Lega nord è un partito politico, che riesce a esprimere un gruppo dirigente sul territorio e soprattutto che rappresenta valori, aspettative e richieste di un blocco sociale; questo blocco sociale non è la maggioranza del paese, ma è significativo per insediamento economico e produttivo. La Lega rappresenta davvero quel ceto produttivo, piccolo e medio-piccolo, che Berlusconi vorrebbe rappresentare, anche contro certo mondo dell'alta finanza - che invece l'ha sempre considerato un parvenù - e che comunque si riconosce in lui, ma non nel suo partito. E in più la Lega rappresenta in quelle regioni del nord anche una parte del mondo del lavoro, perché sa interpretare paure che quelle persone hanno di fronte al mondo che cambia.
Sono intervenuto in queste "considerazioni" diverse volte sul centrosinistra e forse non è necessario ribadire ancora una volta la mia opinione. Il Pd perde perché non si capisce cosa sia. E' significativo il voto in Emilia-Romagna, dove pure Errani vince, ma dove la coalizione registra un pesante arretramento, prevalentemente a favore dell'astensione e del Movimento cinque stelle. Ed è altrettanto significativo che il centrosinistra raggiunga risultati importanti dove non era guidato da uomini del Pd. Il risultato di Vendola in Puglia e quello della Bonino nel Lazio sono il segno che non tutto è perduto; anche quando il partito maggiore della coalizione "perde il diritto" di indicare i propri uomini, come è avvenuto in quelle regioni, a causa degli scandali che l'hanno colpito, esiste una coalizione che ha le energie per rianimare energie che sembravano sopite. Il risultato della Bonino, nonostante la sconfitta, è molto significativo. Bisogna ricordare le dimissioni ignominiose di Marrazzo, l'incapacità del Pd di trovare un candidato, nonostante tutto questo la Bonino è riuscita a portare il centrodestra a un testa a testa che non era immaginabile alcuni mesi fa, quando il Lazio si considerava perso.
Quali sono le prospettive? Cosa dovremmo fare? Naturalmente mi esprimo soltanto per la "mia" parte. Chi milita nel centrodestra deciderà. Personalmente ho deciso di votare per Sinistra-Ecologia-Libertà, nonostante una mia atavica avversione per un'idea "frazionistica" sempre presente a sinistra, per cui si tendono a individuare più le ragioni che dividono che quelle che uniscono. Speravo che a livello nazionale il risultato fosse migliore, anche se non mi illudevo. Ho votato così perché speravo che i dirigenti di Pd capissero che una parte del popolo della sinistra sta lì, e soprattutto sta in attesa, disperdendosi tra protesta e non-voto, in attesa che ci sia davvero qualcosa di nuovo. Speravo che i dirigenti del Pd capissero che può essere utile e necessario un accordo tattico con l'Udc, ma che la prospettiva non può essere una solida alleanza tra Pd e Udc, con un ulteriore spostamento al centro dell'asse del partito.
Ho letto con attenzione la proposta di Vendola che chiede ai partiti della sinistra in Puglia di sciogliersi per formare qualcosa di nuovo: può essere una strada, pur rendendomi conto che sarebbe per tanti l'ennesima fondazione di un "partito nuovo". Eppure qualcosa bisogna fare. Personalmente continuo a pensare che in Italia sia necessario, come c'è negli altri paesi europei, un grande partito che rappresenti i valori del socialismo europeo. C'era e lo abbiamo chiuso, per fare qualcosa che ancora non abbiamo capito cosa sia.
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