Sto cercando di farmi un'idea sulla "trattativa" tra la Fiat e le organizzazioni sindacali in vista della possibile riapertura dello stabilimento di Pomigliano d'Arco.
Ammetto di essere di parte e quindi il fatto che l'accordo sia definito storico dalla presidente di Confindustria e dal ministro Sacconi già mi fa sospettare una solenne fregatura ai danni dei lavoratori: i due, insieme a molti altri, sono gli stessi che sostengono la modernità della legge 30 del 2003 e quindi non possiamo aspettarci nulla di buono. A dire la verità non può neppure essere definito un accordo, viste le modalità con cui si è svolta quella che, solo con un eufemismo, viene chiamata trattativa; la Fiat ha semplicemente presentato il suo piano, non negoziabile, minacciando contemporaneamente la definitiva chiusura dello stabilimento di Pomigliano: di fatto un ricatto bello e buono.
Credo che la Fiom abbia fatto bene a non firmare quel testo e abbia mostrato senso di responsabilità dichiarando di accettare l'esito del referendum tra i lavoratori, qualunque sia il risultato. E credo che le altre sigle sindacali abbiano fatto un errore a mettere la loro firma su questo pseudo-accordo; questo è ormai il livello - basso - di parte del movimento sindacale italiano e francamente mi stupisco che una parte significativa del Parto Democratico continui a considerare la Cisl un interlocutore affidabile: ma questa è un'altra storia. D'altra parte, come dicono ormai in tantissimi, dobbiamo superare gli schemi del Novecento e di conseguenza accettare gli arbitrii dei padroni.
Al punto in cui è giunta la vicenda, dopo due anni di cassa integrazione e con la concreta minaccia di chiusura dello stabilimento, credo che sia giusto che la decisione sia in mano a quei lavoratori, devono decidere loro se accettare l'accordo-capestro proposto dalla Fiat. Probabilmente voteranno a favore, credo che anch'io in quella situazione farei così: per quei cinquemila lavoratori, e per le loro famiglie, non c'è nessun altra possibilità.
Occorre anche dire che quegli stessi lavoratori, e i loro rappresentanti sindacali, sono anch'essi responsabili della situazione che si è venuta a creare in quello stabilimento: il livello di assenteismo era troppo alto, i ritmi di produzione non adeguati; c'è stata troppa tolleranza verso comportamenti che hanno dato il destro alla proprietà di agire come ha agito, forse la segreta speranza che una soluzione, all'italiana, sarebbe stata comunque trovata, perché Pomigliano non avrebbe mai potuto essere chiusa. Chi andrà a votare porta su di sé parte di questa pesante responsabilità.
Oggettivamente l'accordo riduce i diritti di quei lavoratori, limitando di fatto la possibilità di fare sciopero, inoltre è un deciso passo indietro rispetto a quanto sancito dal contratto nazionale di lavoro, rispetto a straordinari, turni, organizzazione dei tempi di lavoro. Senza fare nessuna modifica costituzionale, di fatto con l'accordo di Pomigliano si sancisce la divisione del nostro paese, così come teorizzato dalla Lega e da Tremonti: nelle regioni del sud si possono limitare i diritti sindacali e contrattuali dei lavoratori. Di questo passo sarà naturale, come tante volte chiesto proprio dalla Lega, introdurre le gabbie salariali. L'accordo di Pomigliano contribuisce a dividere il nostro paese, non certo a renderlo moderno. Invece l'ideologia mercantilista - la stessa che pretende di modificare l'art. 41 della Costituzione - presenta questo accordo, così come è avvenuto con la legge 30, come un passo avanti sulla strada dell'innovazione. Stupisce che questo avvenga con l'avvallo di parte del mondo sindacale e il sostanziale silenzio della sinistra. Per inciso, sui giornali di oggi leggo che Fioroni ha lamentato il silenzio del Pd in difesa della Fiat.
Su Pomigliano si sta combattendo una battaglia che avrà ripercussioni pesanti nel futuro e gli sconfitti annunciati sono, ancora una volta, i lavoratori.
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