Poco meno di un mese fa ho riportato su questo blog un celebre passo di un discorso che Robert Kennedy, allora candidato alla presidenza degli Stati Uniti, tenne all'università del Kansas. Kennedy, con un'intuizione allora rivoluzionaria, spiegava ai suoi ascoltatori che il Pil era uno strumento inadeguato per misurare la felicità e il benessere delle persone. "Il Pil - diceva - non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari".
Dal '68 a oggi, nonostante siano aumentati coloro che pensano che questo indicatore sia insufficiente per descrivere la civiltà di un paese, i politici e gli studiosi di scienze sociali hanno continuato a utilizzare questo valore, strettamente legato alla ricchezza e alla povertà dei beni materiali.
Il Pil non racconta né la realtà dei paesi ricchi e sviluppati né quella dei paesi poveri. Per questa ragione gli studiosi dell'Oxford poverty and human development initiative hanno sviluppato il Multidimensional poverty index, un sistema che calcola, insieme al valore della ricchezza, anche altri fattori, come il livello d'istruzione, l'accesso all'acqua potabile e all'energia elettrica. L'aspetto interessante è che gli studiosi dell'università inglese non si basano soltanto su dati di natura statistica, ma coinvolgono direttamente le popolazioni, partendo dalla considerazione che nessuno è "esperto" di povertà quanto i poveri stessi; sono prima di tutto i poveri infatti che, quando descrivono la propria condizione, includono come elementi discriminanti - oltre alla salute, agli standard di vita e al livello d'istruzione - anche la possibilità di avere un lavoro equamente retribuito, la protezione dalla violenza domestica, la relazioni sociali, la dignità e la possibilità di agire come protagonisti dei propri destini. Come ho già avuto modo di dire un aspetto importante per misurare il livello di un paese è quello di capire che ruolo e che dignità rivestono le donne in quella società. La prospettiva multidimesionale è importante perché ci fa capire che il problema non è soltanto quello della quantità della ricchezza, ma quello della sua distribuzione, e aggiunge il valore della speranza.
In questi giorni sono usciti alcuni primi dati di questi studi che in parte confermano le analisi macroeconomiche, ma che dovrebbero anche farci riflettere sulle scelte di sviluppo di alcuni paesi. La situazione dell'Africa è nauralmente drammatica: in Niger ad esempio il 93% della popolazione è povera in termini multidimensionali. Però è l'Asia meridionale, a causa della sua consistenza demografica, il luogo dove ci sono più poveri al mondo: il 51% del totale. Ci sono più poveri in India che nei 26 stati più miseri dell'Africa. In otto stati nord occidentali della confederazione indiana vivono 420 milioni di poveri, mentre nel continente africano sono 410 milioni. Eppure l'India è un paese "emergente", siede nel consesso dei G20: certo l'economia di quel paese è importante, ma i rischi che la crescita azzeri molti altri valori è altrettanto alto. Mi è già capitato di scrivere di alcune contraddizioni presenti in quel paese, come lo sviluppo della medicina per favorire contro la fecondità e il dramma delle madri surrogate (nella "considerazione" nr. 105, per la precisione).
Sarebbe interessante capire quali valori potrebbero emergere da un'analisi multidimensionale della povertà applicata ai cosiddetti paesi ricchi....
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