Partiamo dal presupposto che i diritti umani sono cose desiderabili, cioè fini meritevoli di essere perseguiti, e che, nonostante la loro desiderabilità, non sono ancora stati tutti, dappertutto, e in egual misura, riconosciuti, e siamo spinti dalla convinzione che il trovarne un fondamento, cioè addurre motivi per giustificare la scelta che abbiamo fatta e che vorremmo fosse fatta anche dagli altri, sia un mezzo adeguato ad ottenerne un più ampio riconoscimento.
Dallo scopo che la ricerca del fondamento si propone nasce l'illusione del fondamento assoluto, l'illusione cioè che, a furia di accumulare e vagliare ragioni ed argomenti, si finirà per trovare la ragione e l'argomento irresistibile cui nessuno potrà rifiutare di dare la propria adesione. [...] Questa illusione fu comune per secoli ai giusnaturalisti, i quali credettero di aver messo certi diritti (ma non erano sempre gli stessi) al riparo di ogni possibile confutazione derivandoli direttamente dalla natura dell'uomo. Ma come fondamento assoluto di diritti irresistibili la natura dell'uomo dimostrò di essere molto fragile. [...] Kant aveva ragionevolmente ridotti i diritti irresistibili (egli diceva " innati ") ad uno solo: la libertà. Ma che cosa è la libertà?
Questa illusione oggi non è più possibile; ogni ricerca del fondamento assoluto è, a sua volta, infondata. [...] La maggior parte delle definizioni dei diritti umani sono tautologiche: "Diritti dell'uomo sono quelli che spettano all'uomo in quanto uomo ". [...] Oppure, quando si aggiunge qualche riferimento al contenuto, non si può fare a meno di introdurre termini di valore: "Diritti dell'uomo sono quelli il cui riconoscimento è condizione necessaria per il perfezionamento della persona umana oppure per lo sviluppo della civiltà ecc. ecc.". E qui nasce una nuova difficoltà: i termini di valore sono interpretabili in modo diverso secondo l'ideologia assunta dall'interprete; infatti, in che cosa consista il perfezionamento della persona umana o lo sviluppo della civiltà, è oggetto di molti appassionanti ma insolubili contrasti.
I diritti dell'uomo costituiscono una classe variabile come la storia di questi ultimi secoli mostra a sufficienza. L'elenco dei diritti dell'uomo si è modificato e va modificandosi col mutare delle condizioni storiche, cioè dei bisogni e degli interessi, delle classi al potere, dei mezzi disponibili per la loro attuazione, delle trasformazioni tecniche, ecc. Diritti che erano stati dichiarati assoluti alla fine del Settecento, come la proprietà "sacre et inviolable", sono stati sottoposti a radicali limitazioni nelle dichiarazioni contemporanee; diritti che le dichiarazioni del Settecento non menzionavano neppure, come i diritti sociali, sono ormai proclamati con grande ostentazione in tutte le dichiarazioni recenti. Non è difficile prevedere che in avvenire potranno emergere nuove pretese che ora non riusciamo neppure a intravedere, come il diritto a non portare le armi contro la propria volontà, o il diritto di rispettare la vita anche degli animali, e non solo degli uomini. Il che prova che non vi sono diritti per loro natura fondamentali. Ciò che sembra fondamentale in un'epoca storica e in una determinata civiltà, non è fondamentale in altre epoche e in altre culture.
Non si vede come si possa dare un fondamento assoluto di diritti storicamente relativi. Del resto non bisogna aver paura del relativismo. La constatata pluralità delle concezioni religiose e morali è un fatto storico, anch'esso soggetto a mutamento. Il relativismo che da questa pluralità deriva, è anch'esso relativo. E poi proprio questo pluralismo è l'argomento più forte a favore di alcuni diritti dell'uomo, più celebrati, come la libertà di religione e in genere la libertà di pensiero. Se non fossimo convinti della irriducibile pluralità delle concezioni ultime, e se fossimo convinti, al contrario, che asserzioni religiose, etiche e politiche sono dimostrabili come teoremi (ancora una volta era l'illusione dei giusnaturalisti, di un Hobbes, ad esempio, che chiamava "teoremi" le leggi naturali), i diritti alla libertà religiosa o alla libertà di pensiero politico perderebbero la loro ragione di essere, o per lo meno acquisterebbero un altro significato: sarebbero non il diritto di avere la propria religione personale o di esprimere il proprio pensiero politico, bensì il diritto di non essere distolti con la forza dal perseguire la ricerca dell'unica verità religiosa e dell'unico bene politico.
Si ponga mente alla profonda differenza che esiste tra il diritto alla libertà religiosa e il diritto alla libertà scientifica. Il diritto alla libertà religiosa consiste nel diritto a professare qualsiasi religione e anche a non professarne nessuna. Il diritto alla libertà scientifica consiste non nel diritto a professare qualsiasi verità scientifica o anche a non averne nessuna, ma essenzialmente nel diritto a non esser ostacolati nel perseguimento della ricerca scientifica.
Oltre che mal definibile e variabile la classe dei diritti dell'uomo è anche eterogenea. Tra i diritti compresi nella stessa dichiarazione vi sono pretese molto diverse tra loro e, quel che è peggio, anche incompatibili. Pertanto le ragioni che valgono per sostenere le une non valgono per sostenere le altre. In questo caso, non si dovrebbe parlare di fondamento, ma di fondamenti dei diritti dell'uomo, di diversi fondamenti secondo il diritto le cui buone ragioni si desidera difendere.
Tutte le dichiarazioni recenti dei diritti dell'uomo comprendono, oltre ai tradizionali diritti individuali che consistono in libertà, i cosiddetti diritti sociali che consistono in poteri. Le prime richiedono da parte degli altri (ivi compresi gli organi pubblici) obblighi puramente negativi, di astenersi da determinati comportamenti; i secondi possono essere realizzati solo se vengono imposti ad altri (ivi compresi gli organi pubblici) un certo numero di obblighi positivi. Sono antinomici nel senso che il loro sviluppo non può procedere parallelamente: l'attuazione integrale degli uni impedisce l'attuazione integrale degli altri. Più aumentano i poteri dei singoli, più diminuiscono, degli stessi singoli, le libertà. Si tratta di due situazioni giuridiche così diverse che gli argomenti fatti valere per sostenere la prima non valgono per sostenere la seconda. I due principali argomenti per introdurre alcune libertà tra i diritti fondamentali sono: a) la irriducibilità delle credenze ultime; b) la credenza che l'individuo quanto più è libero tanto più possa progredire moralmente e possa promuovere anche il progresso materiale della società. Orbene di questi due argomenti il primo è, per giustificare la richiesta di nuovi poteri, irrilevante, il secondo si è rivelato storicamente falso.
Orbene, due diritti fondamentali ma antinomici non possono avere, gli uni e gli altri, un fondamento assoluto, un fondamento cioè che, renda un diritto e il suo opposto, entrambi, inconfutabili e irresistibili. Anzi è bene ricordare che storicamente l'illusione del fondamento assoluto di alcuni diritti stabiliti è stata di ostacolo all'introduzione di nuovi diritti incompatibili con quelli. Si pensi alle remore poste al progresso della legislazione sociale dalla teoria giusnaturalistica del fondamento assoluto della proprietà: l'opposizione quasi secolare contro l'introduzione dei diritti sociali è stata fatta in nome del fondamento assoluto dei diritti di libertà. Il fondamento assoluto non è soltanto un'illusione; qualche volta è anche un pretesto per difendere posizioni conservatrici.
Sin qui ho esposto alcune ragioni per cui credo improponibile una ricerca del fondamento assoluto dei diritti dell'uomo. Ma vi è un altro aspetto della questione, che è emerso da queste ultime considerazioni. Si tratta di sapere se la ricerca del fondamento assoluto, qualora sia coronata da successo, ottenga il risultato sperato di far conseguire più rapidamente e più efficacemente il riconoscimento e l'attuazione dei diritti dell'uomo. Qui viene in discussione il secondo dogma del razionalismo etico che è poi la seconda illusione del giusnaturalismo: che i valori ultimi non solo si possano dimostrare come teoremi, ma che basti averli dimostrati, cioè resi in un certo senso inconfutabili e irresistibili per assicurarne l'attuazione. Accanto al dogma della dimostrabilità dei valori ultimi, la cui infondatezza si è cercato di mostrare nei paragrafi precedenti, il razionalismo etico, nella sua forma più radicale e antica, sostiene anche che la dimostrata razionalità di un valore è condizione non solo necessaria ma sufficiente della sua attuazione. Il primo dogma assicura la potenza della ragione; il secondo ne assicura il primato.
Questo secondo dogma del razionalismo etico, e del giusnaturalismo, che del razionalismo etico è l'espressione storica più cospicua, è smentito dall'esperienza storica. Adduco su questo punto tre argomenti. Prima di tutto, non si può dire che i diritti dell'uomo siano stati rispettati di più nelle età in cui i dotti erano concordi nel ritenere di aver trovato per difenderli un argomento inconfutabile, cioè un fondamento assoluto: la loro derivabilità dall'essenza o dalla natura dell'uomo. In secondo luogo, nonostante la crisi dei fondamenti, per la prima volta in questi decenni la maggior parte dei governi esistenti hanno proclamato di comune accordo una dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Di conseguenza, dopo questa dichiarazione il problema dei fondamenti ha perduto gran parte del suo interesse. Se la maggior parte dei governi esistenti si sono accordati in una dichiarazione comune, è segno che, hanno trovato buone ragioni per farlo. Perciò, ora non si tratta tanto di cercare altre ragioni, o addirittura, come vorrebbero i giusnaturalisti redivivi, la ragione delle ragioni, ma di porre le condizioni per una più ampia e scrupolosa attuazione dei diritti proclamati. Certamente, per dare la propria opera alla creazione di queste condizioni, bisogna essere convinti che l'attuazione dei diritti dell'uomo è un fine desiderabile; ma non basta questa convinzione perché quelle condizioni si realizzino. Molte di queste condizioni (e così passo al terzo argomento) non dipendono dalla buona volontà neppure dei governanti e tanto meno dalle buone ragioni addotte per dimostrare la bontà assoluta di quei diritti: solo la trasformazione industriale in un paese, per esempio, rende possibile la protezione dei diritti connessi ai rapporti di lavoro. Si ricordi che il più forte argomento addotto dai reazionari di tutti i paesi contro i diritti dell'uomo, in specie contro i diritti sociali, non è già la loro mancanza di fondamento, ma la loro inattuabilità. Quando si tratta di enunciarli l'accordo è ottenuto con relativa facilità, indipendentemente dalla maggiore o minore convinzione del loro fondamento assoluto: quando si tratta di passare all'azione, fosse pure il fondamento indiscutibile, cominciano le riserve e le opposizioni. Il problema di fondo relativo ai diritti dell'uomo è oggi non tanto quello di giustificarli, quanto quello di proteggerli. E un problema non filosofico ma politico.
Che esista una crisi dei fondamenti è innegabile. Bisogna prenderne atto, ma non tentare di superarla cercando altro fondamento assoluto da sostituire a quello perduto. Il nostro compito, oggi, è molto più modesto, ma anche più difficile. Non si tratta di trovare il fondamento assoluto impresa sublime ma disperata ma, di volta in volta, i vari fondamenti possibili. Senonché anche questa ricerca dei fondamenti possibili impresa legittima e non destinata come l'altra all'insuccesso non avrà alcuna importanza storica se non sarà accompagnata dallo studio delle condizioni, dei mezzi e delle situazioni in cui questo o quel diritto possa essere realizzato. Tale studio è compito delle scienze storiche e sociali. Il problema filosofico dei diritti dell'uomo non può essere dissociato dallo studio dei problemi storici, sociali, economici, psicologici, inerenti alla loro attuazione: il problema dei fini da quello dei mezzi. Ciò significa che il filosofo non è più solo. Il filosofo, che si ostina a restar solo, finisce per condannare la filosofia alla sterilità. Questa crisi dei fondamenti è anche un aspetto della crisi della filosofia.
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