La Cina è ormai il centro di un impero e così, come avveniva - e in parte avviene ancora - con gli Stati Uniti nel continente americano - tende sempre più a considerare i paesi asiatici come il proprio "orto di casa". Vorrei dedicare questa "considerazione" a due paesi che sono ormai entrati nella sfera cinese, con tutto quello che questo comporta.
Il Laos è uno degli stati più poveri del mondo: il 41% della popolazione ha meno di 14 anni, l'agricoltura di sussistenza costituisce il 30% del Pil e sfama l'80% dei laotiani. E' un paese che ha anche grandi risorse.
Le dieci dighe attualmente in funzione producono 669 megawatt di energia, che viene esportata, ne sono previste altre 27 e ci sono gli studi di fattibilità per altre 42. Ho avuto l'occasione di descrivere più volte - in altre "considerazioni" che potete trovare in questo blog - i danni provocati da queste grandi dighe all'ambiente e alla popolazione: le foreste vengono via via distrutte, alterando l'intero sistema delle acque e le caratteristiche dei suoli. In Laos in particolare la costruzione delle dighe provoca la sparizione delle risaie e la dimunizione e l'impoverimento dei fiumi, che garantiscono, attraverso l'agricoltura e la pesca, la sopravvivenza, come ho detto, dell'80% della popolazione. Come avviene in Africa, in Asia, in America latina, le dighe si rivelano un enorme affare per le compagnie che le realizzano e che vendono l'energia elettrica, ma un dramma per le popolazioni che spesso non godono neppure dei vantaggi dell'elettricità.
Il sottosuolo del Laos potrebbe garantire 50 miliardi di tonnellate di potassio, fondamentale per la produzione di fertilizzanti, e 2,5 miliardi di tonnellate di bauxite. Gli scavi sono già cominciati, senza alcuna attenzione a cosa viene distrutto per garantirsi queste materie prime.
Infine il Laos può diventare un grande produttore di gomma: nel nord del paese la coltivazione di questa pianta interessa già 166.700 ettari, modificando profondamente il paesaggio e la natura stessa del territorio. Gli agricoltori laotiani si sono fatti prendere dall'euforia di possibili nuovi guadagni, ma alla lunga questa trasformazione impoverirà l'intero territorio.
La Cina ha interessi in Laos nel settore elettrico, direttamente o attraverso propri soci fedeli, come i generali del regime birmano, in quello minerario e in quello della gomma. Anche l'India tenta di entrare nel gioco, ma gli interessi cinesi sono già ben radicati: la prima miniera di potassio già funzionante è di un'impresa cinese e cinesi sono i proprietari delle piantagioni di gomma di cui parlavo prima. Di fatto la Cina sfrutta il Laos, garantendosi un docile serbatoio di materie prime. Gli interessi della popolazione laotiana sono evidentemente del tutto secondari.
Il Laos è a sud, mentre la Mongolia si trova a nord, non cambia però la dipendenza di fatto di questo paese dal potente vicino cinese.
Questa è la storia di una ragazza, come è stata raccontata a Peace Reporter dalla responsabile del Mongolian center equality center.
Nel marzo 2009, A. incontra un'intermediaria mentre lavora come cameriera in una caffetteria di Ulaan Baatar [la capitale mongola]. Un giorno una cliente le chiede quanto guadagna e si offre di aiutarla. Le dice che può aiutarla a diventare estetista, la può iscrivere a un corso e aggiunge che può farle guadagnare molti soldi. A. vive con il suo bambino e quattro fratelli più giovani, il suo salario di 130 dollari è appena sufficiente per sopravvivere. La donna le promette che non si tratta né di prostituzione né di uso di alcol, insomma che non si tratta di affari loschi. Firmano un accordo per cui la donna pagherà il viaggio di A., che le restituirà il denaro quando avrà uno stipendio.
Maggio 2009, A. e altre tre ragazze partono dalla Mongolia per il seguente tragitto: Ulaan Baatar-Erlian, in Cina, in treno; Erlian-Pechino in taxi; Pechino-Qinhuangdao [una città in espansione della nuova Cina], dove incontreranno altri intermediari. Le ragazze cominciano a lavorare alla fine di maggio 2009. Gli intermediari le minacciano, le obbligano a prostituirsi. A. e le altre tre ragazze devono servire i clienti quando sono nel locale e stare con loro tutta la notte per prestazioni sessuali. La tariffa è di 200 renmimbi cinesi, ma loro non hanno mai ricevuto denaro.
Quando le ragazze decidono di rifiutarsi di prostituirsi, e dicono di voler tornare in Mongolia, gli intermediari confiscano i loro documenti, le violentano e drogano con la forza. Quindi sono sempre obbligate ad usare droghe e ad avere rapporti sessuali con i clienti. Ad un certo punto A. e le ragazze riescono ad usare internet di nascosto, contattano il consolato mongolo, informano i funzionari della loro situazione (costrette alla prostituzione, all’uso di droghe e senza soldi), chiedono aiuto e riescono a scappare.
A giugno 2009 A. e le altre ragazze sono rimpatriate in Mongolia con l’assistenza dell’ambasciata mongola in Cina e sono mandate al nostro Centro.
Queste ragazze sono state fortunate, ma la Mongolia, a causa della sua povertà, è diventato un paese "serbatoio" di donne, dirette in Cina e in altri paesi, non solo asiatici; sono criminali cinesi coloro che gestiscono questi traffici.
La potenza economica cinese ai margini dell'impero provoca anche questo.
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