domenica 14 novembre 2010

Filippo Turati parla il 30 luglio 1931 al IV Congresso dell’Internazionale operaia e socialista

Vi dirò cose estremamente semplici, prosaiche. Niente “letteratura”; niente sentimentalismo. Nulla, soprattutto, di personale.
Rappresentando un paese, cui toccò il triste primato di aver provato, prima e più duramente di ogni altro, la reazione scaturita dalla guerra, reazione che avevamo preveduta, ma contro la quale il tempo e l’esperienza ci erano mancati per armarci in modo adeguato [...]: il nostro pensiero, sul tema ora in discussione, è maturato e preciso. Io non sarò dunque che, in qualche modo, il grammofono fedele, starei per dire meccanico, della voce dei miei compagni italiani.
[...]
Torno a parlarvi del fascismo.
Perocché il fascismo è la guerra. In quest’ora della storia, la guerra non è che il fascismo. Non si parla seriamente di guerra e di disarmo, com’è scritto nell’ordine del giorno, se si lascia nell’ombra il fascismo.
Il fascismo - mostruoso circolo vizioso - è insieme il padre e il figlio della guerra; la quale poi, non è che un fascismo fra le nazioni. Guerra internazionale e guerra civile, le quali si generano reciprocamente.
Parimenti la “lotta operaia per la democrazia” - il secondo punto dell’ordine del giorno - non è, non può essere altra cosa, che la lotta contro il fascismo.
E, in fondo, la stessa crisi economica della Germania, e la ripercussione catastrofica mondiale che se ne teme, anch’essa si connette essenzialmente al fascismo.
[...]
Dodici anni dopo la grande guerra - in ciò siamo tutti d’accordo - l’Europa vive ancora sotto l’incubo angoscioso della guerra. Il timore della guerra si libra sopra il mondo e arroventa la febbre degli armamenti. Se c’è un punto su cui l’unità operaia è completa è cotesto. E perciò l’Internazionale ha iscritto nel suo vessillo “Guerra alla guerra”.
Ma, in questa lotta contro il flagello della guerra, vi è luogo a una distinzione fondamentale, che De Brouckére scolpì lapidariamente dicendoci: “O noi andremo al socialismo attraverso la pace, o noi andremo alla pace attraverso il socialismo”.
Non credo tuttavia che la scelta dell’uno o dell’altro corno del dilemma lo lasci indifferente. Il primo rappresenta la lotta normale, possibile, e - se fortemente si voglia - probabilmente vittoriosa. Il secondo è la tesi della disperazione.
Vi è infatti una lotta preventiva contro la guerra; e vi è una lotta repressiva e consequenziale. La prima mira ad impedire la guerra; la seconda a farla cessare al più presto possibile. Più ancora: la seconda mira a fare della guerra “repressa” una via di rivoluzione “per agitare gli strati popolari più profondi e precipitare la caduta della dominazione capitalistica”, come dichiarano i deliberati dell’Internazionale di Stoccarda e di Copenhaghen.
Ora, il Partito socialista italiano è convinto, e trae questa convinzione dalle esperienze vissute, che l’Internazionale è infinitamente più forte per la “prevenzione” che per la “repressione” della guerra.
In tempo di guerra, lo Stato borghese tiene in pugno il massimo di potere esecutivo. Bandita la mobilitazione, tutti i mezzi di comunicazione e di intesa sono sottratti ai partiti di opposizione. Neanche si è certi che gli uffici dell’Internazionale possano funzionare con qualche regolarità: si è certi piuttosto del contrario. Chiuse le frontiere ogni partito nazionale è ridotto all’isolamento sotto l’influenza, per giunta, delle menzogne della stampa militarizzata. Direi che ogni singolo militante è ridotto alla solitudine della sua coscienza.
Allora, per “agitare gli strati popolari profondi e precipitare il crollo del dominio capitalista” bisogna attendere la fine della guerra: e attenderla in un ambiente sovraccarico delle violenze dei vincitori e della rabbia dei vinti; in un ambiente e in un momento che è il più difficile, assaliti come saremo, da un lato dalla ferocia dei fanatici della guerra, dall’altro dalla follia bolscevica. Ciò si è già visto: e si vedrebbe ancora!
Lavoriamo dunque, soprattutto, alla prevenzione della guerra! Il socialismo e l’Internazionale sono ben più attrezzati per questo compito - è anzi forse il solo per il quale siamo veramente attrezzati. Con questo vantaggio: che non ci sottrarremo a una contraddizione flagrante e paralizzatrice; perché se noi ci perdiamo dietro il fatuo miraggio della rivoluzione di dopoguerra, tanto meno, fatalmente, saremo risoluti nell’opera di prevenzione.
Dunque, il disarmo!
Quale disarmo? Graduale? Proporzionale? Venticinque per cento? Simultaneo? Unilaterale? – Io vorrei esimermi da un esame minuzioso. Come finalità il disarmo cui miriamo non può essere che rapido, totale, universale. Che si sia armati di un pugnale o di centomila mitragliatrici il pericolo sussiste sempre; e basta un solo brigante armato per intimidire ed obbligare ad armarsi l’universo.
Intendiamo tuttavia, sul terreno pratico, le esigenze della gradualità e della proporzione. Pur ammirando l’esempio illustre del disarmo unilaterale della Danimarca - ma è la Danimarca, ricordiamolo: non è un grande Impero spesso e da più parti minacciato - pur proponendo codesto esempio come suggestione di propaganda, la nostra azione sarà assai più facile e feconda preconizzando il disarmo eguale, simultaneo, concertato, in terra, in mare, nell’aria.
A un tale disarmo ci convien dare però tutto l’appoggio possibile per affrettarlo e per radicalizzarlo. Bisogna non già imprimervi la stitica volontà dei governi, ma animarlo del grande soffio della volontà delle masse. Allora sarà anche facile liberarlo dalle insidiose “rivalità di prestigio”, quale ad esempio la famosa “parità navale” rivendicata dal fascismo, che fece fallire lo sforzo della riduzione degli armamenti navali.
Per conseguenza, bisogna francamente collaborare alla Società delle Nazioni.
Di fronte a questa, noi ci troviamo nell’identico stato d’animo, che, agli inizi del movimento proletario, di fronte ai Parlamenti ed ai Governi parlamentari.
A tutta prima li si rinnegò come strumenti malefici e borghesi di oppressione o di inganno della massa. Poi si entrò in Parlamento a puro fine di protesta. In seguito, si prese a collaborarvi, specialmente per le leggi sociali. E, a poco a poco si giunse a riconoscere la inevitabilità, in date circostanze, nonché della politica di sostegno, della partecipazione a ministeri borghesi.
Stessa cosa per la Società delle Nazioni. Dapprima si respinse in pieno cotesto Comitato del “Sindacato dei vincitori”. Poi i vinti vi entrarono anch’essi, vi collaborarono utilmente; e più vi collaboreranno in avvenire.
Ma concepite voi, o compagni, la possibilità di costituire altrove e altrimenti un organismo internazionale di controllo sull’esecuzione degli obblighi, quali essi siano, del disarmo? - Forse sarà qui appunto, in seno alla Società delle Nazioni che si determinerà il primo cozzo fra la democrazia che ne è la base e i fascismi che hanno fatto tutto il possibile per abolire ogni forma di controllo: - della stampa, dell’opinione pubblica, parlamentare.
Ah! Come sarà bello, o compagni, veder crollare la maschera pacifista del fascismo italiano, quando gli si chiederà di sottoporsi “seriamente” al controllo “serio” della Società delle Nazioni! Controllo, aggiungiamo, che l’Internazionale la spingerà ad estendere ben al di là della tecnica delle costruzioni e della contabilità delle spese.
Ma vi è un disarmo che è di gran lunga più efficace e decisivo dello stesso disarmo materiale: ed è il disarmo morale.
Che pensate voi di un paese, nel quale ogni propaganda pacifista, col libro, colla stampa, col cinema, con la parola, è severamente proscritta; nel quale un film come “Niente di nuovo all’Ovest”, o il romanzo di Remarque, o altre espressioni del genere, non sono ammesse alla circolazione; nel quale solo è consentita la esaltazione di un nazionalismo cieco, brutale, sprezzante, di tutte le altre nazioni, di un paese in cui è inoculato un irredentismo fantastico, che ora mira all’Adriatico, ora al Mediterraneo, - Malta, la Corsica, Nizza, - senza neanche escludere il Canton Ticino?
A quei compagni - ve n’è ancora purtroppo! - che si lasciano prendere dall’effimero machiavellismo di un Grandi o di un Mussolini, la cui parte in commedia si capovolge secondo che essi a Milano e a Firenze, parlano alle camicie nere, oppure in un giorno di penuria atroce, si rivolgano, per messaggio radiografato, al paese dei dollari (perché nel fascismo vi è l’effimero e vi è il permanente; l’effimero per invocare l’elemosina; il permanente è sempre il glorioso randello e la meravigliosa mitragliatrice!); a quei compagni, non di poca, ma di troppa fede, io vorrei domandare: che pensano essi di quella organizzazione militarista della gioventù sin dall’infanzia (Balilla dai sette ai dodici anni, Avanguardie dai dodici ai diciassette, in seguito Corpi d’assalto studenteschi, scolarette armate di moschetto, e così via) organizzazione contro la quale lo stesso Papa ha protestato, e il cui fine confessato è di fare di tutta la nazione fascistizzata un solo esercito - uomini e donne - al servizio del “duce” e della pretesa rivoluzione, ossia involuzione, fascista?
[...]
Fra cotesta educazione ultra guerriera e l’educazione democratica dei paesi civili c’è uno squilibrio morale pericolosissimo, che solo la Società delle Nazioni, spinta ed animata dall’Internazionale, potrebbe togliere di mezzo.
Anche se il fascismo sotto la pressione di una crisi economica spaventosa, non pensa in questo momento a scatenare la guerra, la guerra esso la prepara fatalmente e sempre. La guerra è lo sbocco finale di tutte le dittature.
E’ per ciò che non si deve mai, a nessun costo, indulgere al fascismo, e neppure fingere di ignorarlo. Bisogna sentire sempre che là è il nemico e che si deve schiacciare la testa del serpente, dovunque si nasconda.
Ed è perciò - e qui tocco il punto più delicato del mio discorso, e prego i compagni di ogni paese di non vedere nelle mie accorate constatazioni alcuna intenzione di offesa o di rimprovero, ma solo il compimento di un assoluto dovere - è per ciò che non si può essere veramente per la pace, per la democrazia, per il socialismo, quando si risparmia il fascismo e gli si indulge, in vista di interessi particolari e transitori di Governi e di Stati. E converrebbe evitare con ogni studio che, nell’esplicazione della loro azione pacifista, altamente sincera e lodevole, i Governi democratici e socialisti, presi nella tenaglia delle circostanze, dimentichino che accreditare il fascismo per il vantaggio di un giorno è rinvigorire, per un molto lungo domani, il nemico “istituzionale”, il più insidioso e malefico della pace e del socialismo.
[...]
Il fascismo è condannato a barcheggiare fra tutte le demagogie. Non bisogna incappare nelle sue trappole.
Certo vi è una questione delle minoranze nazionali per effetto della pace di guerra. La nostra pace, di noi socialisti, non è l’ordine di Varsavia. Tutti i popoli hanno diritto alla vita e a comporsi e ricomporsi a lor guisa.
Perciò preconizziamo la Federazione Europea. Ma non si può che ribellarsi all’impiego cinico della formula “revisione dei Trattati” inalberata a una dato momento da Mussolini, per attirare nella insidia delle sue reti la Germania, l’Ungheria, la Bulgaria ecc. e riprendere a proprio profitto il Drang nach Osten asburgico, mentre egli schiaccia fino al soffocamento le popolazioni dell’Alto Adige e dell’Istria mercè un programma selvaggio di snazionalizzazione a oltranza, che assale la lingua, la tradizione, i costumi, persino il culto religioso e le tombe sacre degli allogeni oppressi.
La pace socialista non è la pace fascista.
La revisione socialista dei Trattati, non è la revisione fascista.
Il fascismo - e concludo - si oppone diametralmente a tutto il socialismo. Esso è nato per distruggerlo in tutti i suoi principi, in tutte le sue realizzazioni.
Qualcuno, un giorno, poté dire che il fascismo è un affare interno dell’Italia. Quale acciecamento! L’esperienza tragica dell’Europa centrale ha fatto crollare così puerile illusione.
Ma spetta a noi, socialisti italiani dispersi, che parliamo all’Internazionale a nome di tutto il popolo italiano, di ripetere incessantemente, di gridare a tutte le orecchie: “Il socialismo, la democrazia, la pace, non hanno nemico peggiore del fascismo. Se l’Internazionale vuole la pace, la libertà, il socialismo, se essa vuole vivere ed agire; essa deve proporre a sé stessa di abbattere il fascismo: per l’Italia - per tutti i popoli - per la vita stessa dell’Internazionale”.

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