Vi dirò cose estremamente semplici, prosaiche. Niente “letteratura”; niente sentimentalismo. Nulla, soprattutto, di personale.
Rappresentando un paese, cui toccò il triste primato di aver provato,  prima e più duramente di ogni altro, la reazione scaturita dalla  guerra, reazione che avevamo preveduta, ma contro la quale il tempo e  l’esperienza ci erano mancati per armarci in modo adeguato [...]: il nostro pensiero, sul tema ora in discussione, è  maturato e preciso. Io non sarò dunque che, in qualche modo, il  grammofono fedele, starei per dire meccanico, della voce dei miei  compagni italiani.
[...]
Torno a parlarvi del fascismo.
Perocché il fascismo è la guerra. In quest’ora della storia, la  guerra non è che il fascismo. Non si parla seriamente di guerra e di  disarmo, com’è scritto nell’ordine del giorno, se si lascia nell’ombra  il fascismo.
Il fascismo - mostruoso circolo vizioso - è insieme il padre e il  figlio della guerra; la quale poi, non è che un fascismo fra le nazioni.  Guerra internazionale e guerra civile, le quali si generano  reciprocamente.
Parimenti la “lotta operaia per la democrazia” - il secondo punto  dell’ordine del giorno - non è, non può essere altra cosa, che la lotta  contro il fascismo.
E, in fondo, la stessa crisi economica della Germania, e la  ripercussione catastrofica mondiale che se ne teme, anch’essa si  connette essenzialmente al fascismo.
[...]
Dodici anni dopo la grande guerra - in ciò siamo tutti d’accordo -  l’Europa vive ancora sotto l’incubo angoscioso della guerra. Il timore  della guerra si libra sopra il mondo e arroventa la febbre degli  armamenti. Se c’è un punto su cui l’unità operaia è completa è cotesto. E  perciò l’Internazionale ha iscritto nel suo vessillo “Guerra alla  guerra”.
Ma, in questa lotta contro il flagello della guerra, vi è luogo a una  distinzione fondamentale, che De Brouckére scolpì lapidariamente  dicendoci: “O noi andremo al socialismo attraverso la pace, o noi  andremo alla pace attraverso il socialismo”.
Non credo tuttavia che la scelta dell’uno o dell’altro corno del  dilemma lo lasci indifferente. Il primo rappresenta la lotta normale,  possibile, e - se fortemente si voglia - probabilmente vittoriosa. Il  secondo è la tesi della disperazione.
Vi è infatti una lotta preventiva contro la guerra; e vi è una lotta  repressiva e consequenziale. La prima mira ad impedire la guerra; la  seconda a farla cessare al più presto possibile. Più ancora: la seconda  mira a fare della guerra “repressa” una via di rivoluzione “per agitare  gli strati popolari più profondi e precipitare la caduta della  dominazione capitalistica”, come dichiarano i deliberati  dell’Internazionale di Stoccarda e di Copenhaghen.
Ora, il Partito socialista italiano è convinto, e trae questa  convinzione dalle esperienze vissute, che l’Internazionale è  infinitamente più forte per la “prevenzione” che per la “repressione”  della guerra.
In tempo di guerra, lo Stato borghese tiene in pugno il massimo di  potere esecutivo. Bandita la mobilitazione, tutti i mezzi di  comunicazione e di intesa sono sottratti ai partiti di opposizione.  Neanche si è certi che gli uffici dell’Internazionale possano funzionare  con qualche regolarità: si è certi piuttosto del contrario. Chiuse le  frontiere ogni partito nazionale è ridotto all’isolamento sotto  l’influenza, per giunta, delle menzogne della stampa militarizzata.  Direi che ogni singolo militante è ridotto alla solitudine della sua  coscienza.
Allora, per “agitare gli strati popolari profondi e precipitare il  crollo del dominio capitalista” bisogna attendere la fine della guerra: e  attenderla in un ambiente sovraccarico delle violenze dei vincitori e  della rabbia dei vinti; in un ambiente e in un momento che è il più  difficile, assaliti come saremo, da un lato dalla ferocia dei fanatici  della guerra, dall’altro dalla follia bolscevica. Ciò si è già visto: e  si vedrebbe ancora!
Lavoriamo dunque, soprattutto, alla prevenzione della guerra! Il  socialismo e l’Internazionale sono ben più attrezzati per questo compito - è anzi forse il solo per il quale siamo veramente attrezzati. Con  questo vantaggio: che non ci sottrarremo a una contraddizione flagrante e  paralizzatrice; perché se noi ci perdiamo dietro il fatuo miraggio  della rivoluzione di dopoguerra, tanto meno, fatalmente, saremo risoluti  nell’opera di prevenzione.
Dunque, il disarmo!
Quale disarmo? Graduale? Proporzionale? Venticinque per cento?  Simultaneo? Unilaterale? – Io vorrei esimermi da un esame minuzioso.  Come finalità il disarmo cui miriamo non può essere che rapido, totale,  universale. Che si sia armati di un pugnale o di centomila  mitragliatrici il pericolo sussiste sempre; e basta un solo brigante armato per intimidire ed obbligare ad armarsi l’universo.
Intendiamo tuttavia, sul terreno pratico, le esigenze della  gradualità e della proporzione. Pur ammirando l’esempio illustre del  disarmo unilaterale della Danimarca - ma è la Danimarca, ricordiamolo:  non è un grande Impero spesso e da più parti minacciato - pur proponendo  codesto esempio come suggestione di propaganda, la nostra azione sarà  assai più facile e feconda preconizzando il disarmo eguale, simultaneo,  concertato, in terra, in mare, nell’aria.
A un tale disarmo ci convien dare però tutto l’appoggio possibile per  affrettarlo e per radicalizzarlo. Bisogna non già imprimervi la stitica  volontà dei governi, ma animarlo del grande soffio della volontà delle  masse. Allora sarà anche facile liberarlo dalle insidiose “rivalità di  prestigio”, quale ad esempio la famosa “parità navale” rivendicata dal  fascismo, che fece fallire lo sforzo della riduzione degli armamenti  navali.
Per conseguenza, bisogna francamente collaborare alla Società delle Nazioni.
Di fronte a questa, noi ci troviamo nell’identico stato d’animo, che,  agli inizi del movimento proletario, di fronte ai Parlamenti ed ai  Governi parlamentari.
A tutta prima li si rinnegò come strumenti malefici e borghesi di  oppressione o di inganno della massa. Poi si entrò in Parlamento a puro  fine di protesta. In seguito, si prese a collaborarvi, specialmente per  le leggi sociali. E, a poco a poco si giunse a riconoscere la  inevitabilità, in date circostanze, nonché della politica di sostegno,  della partecipazione a ministeri borghesi.
Stessa cosa per la Società delle Nazioni. Dapprima si respinse in  pieno cotesto Comitato del “Sindacato dei vincitori”. Poi i vinti vi  entrarono anch’essi, vi collaborarono utilmente; e più vi collaboreranno  in avvenire.
Ma concepite voi, o compagni, la possibilità di costituire altrove e  altrimenti un organismo internazionale di controllo sull’esecuzione  degli obblighi, quali essi siano, del disarmo? - Forse sarà qui appunto,  in seno alla Società delle Nazioni che si determinerà il primo cozzo  fra la democrazia che ne è la base e i fascismi che hanno fatto tutto il  possibile per abolire ogni forma di controllo: - della stampa,  dell’opinione pubblica, parlamentare.
Ah! Come sarà bello, o compagni, veder crollare la maschera pacifista  del fascismo italiano, quando gli si chiederà di sottoporsi  “seriamente” al controllo “serio” della Società delle Nazioni!  Controllo, aggiungiamo, che l’Internazionale la spingerà ad estendere  ben al di là della tecnica delle costruzioni e della contabilità delle  spese.
Ma vi è un disarmo che è di gran lunga più efficace e decisivo dello stesso disarmo materiale: ed è il disarmo morale.
Che pensate voi di un paese, nel quale ogni propaganda pacifista, col  libro, colla stampa, col cinema, con la parola, è severamente  proscritta; nel quale un film come “Niente di nuovo all’Ovest”, o il  romanzo di Remarque, o altre espressioni del genere, non sono ammesse  alla circolazione; nel quale solo è consentita la esaltazione di un  nazionalismo cieco, brutale, sprezzante, di tutte le altre nazioni, di  un paese in cui è inoculato un irredentismo fantastico, che ora mira  all’Adriatico, ora al Mediterraneo, - Malta, la Corsica, Nizza, - senza  neanche escludere il Canton Ticino?
A quei compagni - ve n’è ancora purtroppo! - che si lasciano prendere  dall’effimero machiavellismo di un Grandi o di un Mussolini, la cui  parte in commedia si capovolge secondo che essi a Milano e a Firenze,  parlano alle camicie nere, oppure in un giorno di penuria atroce, si  rivolgano, per messaggio radiografato, al paese dei dollari (perché nel  fascismo vi è l’effimero e vi è il permanente; l’effimero per invocare  l’elemosina; il permanente è sempre il glorioso randello e la  meravigliosa mitragliatrice!); a quei compagni, non di poca, ma di  troppa fede, io vorrei domandare: che pensano essi di quella organizzazione militarista della gioventù  sin dall’infanzia (Balilla dai sette ai dodici anni, Avanguardie dai  dodici ai diciassette, in seguito Corpi d’assalto studenteschi,  scolarette armate di moschetto, e così via) organizzazione contro la  quale lo stesso Papa ha protestato, e il cui fine confessato è di fare  di tutta la nazione fascistizzata un solo esercito - uomini e donne - al  servizio del “duce” e della pretesa rivoluzione, ossia involuzione,  fascista?
[...]
Fra cotesta educazione ultra guerriera e l’educazione democratica dei  paesi civili c’è uno squilibrio morale pericolosissimo, che solo la  Società delle Nazioni, spinta ed animata dall’Internazionale, potrebbe  togliere di mezzo.
Anche se il fascismo sotto la pressione di una crisi economica  spaventosa, non pensa in questo momento a scatenare la guerra, la guerra  esso la prepara fatalmente e sempre. La guerra è lo sbocco finale di  tutte le dittature.
E’ per ciò che non si deve mai, a nessun costo, indulgere al  fascismo, e neppure fingere di ignorarlo. Bisogna sentire sempre che là è  il nemico e che si deve schiacciare la testa del serpente, dovunque si  nasconda.
Ed è perciò - e qui tocco il punto più delicato del mio discorso, e  prego i compagni di ogni paese di non vedere nelle mie accorate  constatazioni alcuna intenzione di offesa o di rimprovero, ma solo il  compimento di un assoluto dovere - è per ciò che non si può essere veramente  per la pace, per la democrazia, per il socialismo, quando si risparmia  il fascismo e gli si indulge, in vista di interessi particolari e  transitori di Governi e di Stati. E converrebbe evitare con ogni studio  che, nell’esplicazione della loro azione pacifista, altamente sincera e  lodevole, i Governi democratici e socialisti, presi nella tenaglia delle  circostanze, dimentichino che accreditare il fascismo per il vantaggio  di un giorno è rinvigorire, per un molto lungo domani, il nemico  “istituzionale”, il più insidioso e malefico della pace e del  socialismo.
[...]
Il fascismo è condannato a barcheggiare fra tutte le demagogie. Non bisogna incappare nelle sue trappole.
Certo vi è una questione delle minoranze nazionali per effetto della  pace di guerra. La nostra pace, di noi socialisti, non è l’ordine di  Varsavia. Tutti i popoli hanno diritto alla vita e a comporsi e  ricomporsi a lor guisa.
Perciò preconizziamo la Federazione Europea. Ma non si può che  ribellarsi all’impiego cinico della formula “revisione dei Trattati”  inalberata a una dato momento da Mussolini, per attirare nella insidia  delle sue reti la Germania, l’Ungheria, la Bulgaria ecc. e riprendere a  proprio profitto il Drang nach Osten asburgico, mentre egli  schiaccia fino al soffocamento le popolazioni dell’Alto Adige e  dell’Istria mercè un programma selvaggio di snazionalizzazione a  oltranza, che assale la lingua, la tradizione, i costumi, persino il  culto religioso e le tombe sacre degli allogeni oppressi.
La pace socialista non è la pace fascista.
La revisione socialista dei Trattati, non è la revisione fascista.
Il fascismo - e concludo - si oppone diametralmente a tutto il  socialismo. Esso è nato per distruggerlo in tutti i suoi principi, in  tutte le sue realizzazioni.
Qualcuno, un giorno, poté dire che il fascismo è un affare interno  dell’Italia. Quale acciecamento! L’esperienza tragica dell’Europa  centrale ha fatto crollare così puerile illusione.
Ma spetta a noi, socialisti italiani dispersi, che parliamo  all’Internazionale a nome di tutto il popolo italiano, di ripetere  incessantemente, di gridare a tutte le orecchie: “Il socialismo, la democrazia, la pace, non hanno nemico peggiore  del fascismo. Se l’Internazionale vuole la pace, la libertà, il  socialismo, se essa vuole vivere ed agire; essa deve proporre a sé  stessa di abbattere il fascismo: per l’Italia - per tutti i popoli - per  la vita stessa dell’Internazionale”.
 
 
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