Credo di averlo già scritto qualche mese fa, ma purtroppo la situazione non è cambiata, anzi è - se possibile - peggiorata. Abbiamo bisogno di disintossicarci dalla politica italiana, o meglio da quella che ormai per consuetudine siamo abituati a chiamare politica, ma che tutto è, tranne quello. Da mesi le prime cinque o sei pagine dei quotidiani incolonnano articoli di cronaca giudiziaria e di cronaca di costume, farciti di intercettazioni, retroscena più o meno verosimili e dichiarazioni, anche queste più o meno verosimili - è sempre più difficile capire la differenza tra le dichiarazioni dei politici e quelle dei loro imitatori - e tutto questo zibaldone passa sotto il titolo "politica italiana". Oggi a pranzo a me e mia moglie è capitato di vedere il notiziario di Euronews; provavo una strana sensazione, mi sentivo quasi straniato, finché Zaira non mi ha fatto notare quanto fosse inusuale vedere un telegiornale senza la pletora di dichiarazioni dei sedicenti protagonisti della politica italiana.
L'unico rifugio è ormai la politica estera, perché nel mondo, nonostante B. e i suoi corifei - che lo lodino o lo ingiurino poco importa, sempre quello è l'oggetto dei loro discorsi - la pensino probabilmente in modo diverso, qualcosa continua a succedere. C'è una notizia che più delle altre credo valga la pena di commentare: due giorni fa, il 23 settembre, di fronte all'assemblea generale della Nazioni Unite, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese ha presentato la richiesta formale dell'adesione all'Onu della Palestina, ossia ha chiesto che il suo paese venga riconosciuto come uno stato tra gli stati, in base ai confini del 1967 e con Gerusalemme come capitale. Anni fa una notizia come questa avrebbe scaldato gli animi della sinistra italiana, ora non si capisce quale sia la posizione sull'argomento del maggior partito del centrosinistra, che, ostaggio di una piccola, ma influente, lobby filoisraeliana, fatta da un paio di deputati e di qualche illustre commentatore - cinque persone in tutto - ha completamente dimenticato la propria storia a sostegno del popolo palestinese. Anche su questo argomento, pur di non scontentare nessuno, il Pd miseramente tace.
Da almeno vent'anni - gli accordi di Oslo furono firmati nel 1993 da Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, sotto lo sguardo del presidente Clinton - si dice che l'unica soluzione possibile per risolvere la questione israelo-palestinese è descritta dalla formula "due popoli, due stati". In questi vent'anni però non si è fatto un solo passo concreto per raggiungere questo obiettivo. La classe dirigente israeliana - dopo l'uccisione di Rabin nel novembre '95 - porta gran parte della responsabilità di questo fallimento. per alcuni anni si è detto che nessuna soluzione era possibile fino a quando Arafat fosse stato il leader dell'Olp; Arafat è morto nel 2004 e gli è succeduto il pragmatico e diplomatico Abu Mazen, ma i negoziati sono rimasti fermi. Negli anni successivi i politici israeliani hanno spiegato che non si poteva avviare una trattativa fino a quando fossero continuati gli attacchi terroristici - e in più c'era stato anche l'11 settembre. Raggiunta una tregua sostanziale, con la fine degli attentati contro le città israeliane, i negoziati però non sono ripresi. Netanyahu ora non sta neppure cercando un pretesto; si dice favorevole alla creazione dello stato palestinese, ma non dà seguito a questa affermazione, avendo formato uno degli esecutivi più a destra della breve storia di Israele, con un ruolo predominante dei partiti religiosi oltranzisti. Gli israeliani non solo sono rimasti immobili in questi vent'anni nella loro posizione di non permettere la creazione di uno stato palestinese, ma hanno, con più o meno enfasi, accelerando o rallentando le operazioni, proceduto a costruire insediamenti nelle zone occupate, vere e proprie colonie, spesso con gli elementi più reazionari della popolazione. In questi vent'anni gli insediamenti non si sono mai fermati, se non per alcuni mesi, sotto le pressanti richieste di Obama, che poi si è progressivamente disinteressato della questione, preferendo non scontentare le potenti associazioni degli ebrei americani. Un accordo di pace è possibile soltanto se Israele riconosce di essere una potenza occupante e quindi ritira le proprie truppe dalla Cisgiordania, toglie l'assedio a Gaza, permette la creazione della Palestina. Non ci sono altre vie possibili, deve rendersene conto anche chi sostiene acriticamente Israele, sia per storia personale e antiche convinzioni sia per più recenti conversioni e convenienze, come i postfascisti italiani, da B. a Fini.
Con onestà bisogna riconoscere che in questi vent'anni i capi palestinesi hanno dato l'impressione - e forse qualcosa di più di un'impressione - di accettare lo status quo, nonostante anche in questo caso le dichiarazioni pubbliche raccontassero un'altra storia. La nascita della Palestina significherebbe prima di tutto la fine dell'Olp e per uomini che hanno costruito la loro carriera politica e, in alcuni casi, anche la loro fortuna economica, proprio grazie a quell'organizzazione, non deve essere facile tagliare il ramo su cui sono comodamente seduti. Non è un caso che all'indomani delle prime manifestazioni dei giovani egiziani in piazza Tahir le reazioni di Netanyahu e di Abu Mazen siano state dello stesso tenore: pieno sostegno al regime di Mubarak e condanna dei manifestanti. Nessuno dei due ha capito cosa stava succedendo.
Netanyahu continua a non capire che qualcosa sta cambiando, perfino in Israele: c'è una nuova generazione che chiede, pretende, garanzie per il proprio futuro e non accetta più i dettami di una classe politica sempre più autoreferenziale. Abu Mazen sta invece cercando di rimediare agli errori dei mesi scorsi. Il successore di Arafat ha capito che di fronte alla ferma volontà di Israele di non negoziare rimangono solo tre opzioni per i palestinesi: arrendersi e continuare a vivere per qualche altro decennio sotto l'occupazione dell'esercito israeliano; lanciare la terza intifada; mobilitare il mondo a favore della causa palestinese. La prima opzione è impossibile, in questi tempi in cui i giovani si mobilitano in tutto il Medio Oriente; la seconda è estremamente pericolosa e dalle conseguenze imprevedibili, ma inevitabile se la terza non riuscirà a dare frutti reali.
Per questo l'ipocrisia occidentale è così pericolosa, sia da parte degli Stati Uniti che si sono già dichiarati pronti a porre il veto sulla proposta palestinese sia da parte dei paesi europei, le cui posizioni oscillanti finiranno per confluire in una pilatesca astensione. L'Italia sta spingendo perché l'Unione Europea esprima un giudizio negativo sulla richiesta di Abu Mazen e questo la dice lunga sulla lungimiranza in politica estera di questo governo, in cui prevale una ideologia reazionaria. Il no delle Nazioni Unite, richiesto da Israele, imposto dagli Stati Uniti con la complice ignavia europea - mentre le nazioni emergenti, con in testa il Brasile, hanno già dichiarato il loro voto favorevole - avrà conseguenze adesso difficili da valutare.
Naturalmente nemmeno un eventuale, per quanto improbabilissimo, parere favorevole delle Nazioni Unite risolverebbe di colpo i problemi. Ci sarebbe prima di tutto la questione dei profughi, di tutti quei palestinesi che vivono nei paesi arabi. Quale sarebbe il loro status una volta che nata la nuova Palestina? Sarebbero cittadini del nuovo stato o sarebbero considerati stranieri? E poi c'è la questione della rappresentanza. Nell'Anp l'abitudine al confronto democratico è scarsa, le decisioni sono prese dai capi; la Palestina dovrebbe prepararsi a essere governata da organi democratici, a cui la società palestinese non è pronta a riconoscere legittimità, così come sta avvenendo in altri paesi arabi. C'è la grande questione dei diritti, soprattutto dei diritti delle donne, su cui la cultura araba e orientale deve ancora fare grandi passi. Nessuno di questi problemi però è paragonabile a quelli che nasceranno di fronte a un no del mondo alle legittime richieste palestinesi.
Chi crede nella pace deve lavorare affinché nasca il prima possibile la Palestina: solo uno stato vero, democratico, con una costituzione che preveda diritti e doveri, può avere la forza e l'autorità di negoziare con Israele e di combattere il terrorismo.
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