Nella mia ultima "considerazione", dedicata al bilancio dei dieci anni della guerra in Afghanistan, ho ricordato che l'economia del paese si basa essenzialmente sulla produzione e sul commercio della droga. Ho provato ad approfondire questo tema, cercando in rete qualche dato in più. L’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc) stima che la produzione dell'oppio in Afghanistan crescerà alla fine di quest'anno del 61%, ossia 5.800 tonnellate contro le 3.600 dello scorso anno. A causa dei cali di produzione in alcuni altri paesi asiatici, a seguito di inondazioni e altri disastri ambientali, il prezzo dell'oppio secco è aumentato del 43% rispetto al 2010, da 169 a 241 dollari al kg. Lo scorso anno la produzione afghana di oppio ha fruttato circa 605 milioni di dollari, mentre quest’anno si stimano guadagni per 1,4 miliardi di dollari, un incremento del 133%. Per il paese la produzione di questa sostanza contribuisce al 9% del Prodotto interno lordo. Il rapporto della sede afghana dell'Unodc spiega chiaramente che "i guadagni più alti ricavati dall'oppio, contro i prezzi più bassi del grano, possono aver incoraggiato i coltivatori a riprendere la coltivazione del papavero da oppio".
Quindi, nonostante la guerra, la produzione di oppio tende a crescere e quindi è inevitabile chiedersi quanto siano efficaci gli sforzi occidentali nel contrastare una tra le maggiori fonti di finanziamento dei "nemici" talebani. Nonostante i proclami della coalizione occidentale di lotta al traffico della droga, il contrasto alla produzione e al traffico di oppiacei afghani attraverso l’azione militare si sta rivelando inefficace, inconcludente ed estremamente costoso. Anzi probabilmente è proprio la guerra ad alimentare il traffico di guerra. Certamente la guerra in Afghanistan sta registrando un netto innalzamento di violenza proprio nelle regioni dove c'è maggior coltura di oppio.
Ci sono alcuni passaggi storici che aiutano a far capire cosa sta succedendo oggi in Afghanistan. Negli anni Settanta ci fu un boom della produzione di oppio e di eroina nel cosiddetto "Triangolo d'Oro" - Laos, Birmania e Cambogia - ) grazie alle coperture della Cia che con i ricavi del traffico di droga finanziava le operazioni anti-comuniste nel Sudest asiatico. Lo stesso sistema - e questo è un fatto abbastanza risaputo - fu adottato dalla Cia negli anni Ottanta in America Latina, per finanziare, grazie ai proventi della coca, la guerriglia antisandinista dei Contras in Nicaragua, e in Afghanistan per finanziare, con i proventi dell'eroina, la resistenza contro i sovietici dei mujaheddin. Intorno al 2000 il regime dei talebani, ormai saldamente al potere, anche per "ripulire" la propria immagine internazionale, fortemente condizionata dal traffico della droga, decise di bloccare la produzione e questa azione fu abbastanza efficace, tanto da far crollare la produzione nazionale a sole 200 tonnellate annue, ben inferiori alle 4mila degli anni Novanta. In seguito la produzione è lentamente ripresa per scoppiare nuovamente dopo lo scoppio della guerra.
C'è anche una sorta di "giustificazione" umanitaria di questa ripresa: la coltivazione dell'oppio verrebbe tollerata perché è l'unica fonte di reddito per interi villaggi di quella parte del paese in cui l'azione del governo Karzai non è in grado di arrivare. Per molti afghani la produzione dell'oppio sarebbe dunque l'unico modo di sopravvivere. Nessuno però ricorda che a fronte di una popolazione di circa 32 milioni, un milione di giovani afghani è già dipendente da droghe pesanti.
Secondo diverse fonti attualmente il traffico di droga servirebbe a finanziare entrambe le forze in campo. I talebani finanziano le loro attività terroristiche grazie ai traffici di droga lungo i confini tra Afghanistan e Pakistan, con la connivenza o l'aperta complicità dei servizi segreti di questo paese. Nella produzione e nel traffico della droga pare particolarmente attivo anche il "fronte occidentale" tanto che Ahmed Wali Karzai, fratello del presidente, sarebbe fra i più potenti "signori della droga" afghani. La roccaforte della famiglia Karzai si trova nella regione a sud del paese, a più elevata produzione di oppio e di eroina.
Secondo il giornalista e storico Douglas Valentine, nella guerra in Afghanistan si misurerebbe anche lo scontro tra due agenzie statunitensi: la Dea, impegnata nella lotta al traffico della droga, e la Cia che proteggerebbe gli apparati politici e amministrativi afghani che, alleati con i "signori della droga", sostengono quel mercato così remunerativo.
Al di là di questa tesi "complottista", per quanto ben documentata, credo si possano fare alcune riflessioni. Il fiorente mercato della droga, in Afghanistan come in molti altri paesi, fiorisce grazie alla connivenza tra produttori, trafficanti e autorità politiche e militari di quelle che sono realtà nazionali estremamente instabili, con alti tassi di povertà e corruzione, in cui gli sforzi di chi cerca di contrastarlo sono sempre più velleitarie e illusori. La guerra alimenta questa instabilità e quindi il mercato della droga. Forse era inevitabile scegliere di sostenere Karzai, ma con altrettanto realismo bisogna anche sapere con chi si ha a che fare. E sarà possibile uscire dignitosamente da una guerra da cui comunque i paesi occidentali finiranno per essere sconfitti.
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