C'è commozione nelle parole di Danao: "tutte le destre furono levate / fremette il cielo quando fu deciso". Mi sono tornati in mente questi versi di Eschilo vedendo le immagini delle piazze piene di manifestanti dello scorso 15 ottobre. Da New York a Madrid, e in moltissime altre città del mondo, nelle piazze i manifestanti hanno votato - per decidere quali forme di lotta e di protesta adottare o per approvare una piattaforma di rivendicazioni piuttosto che l'altra - insomma hanno deciso e decidono le cose che li riguardano alzando le mani, nello stesso modo in cui lo racconta Eschilo. E il 15 ottobre le mani alzate erano talmente tante - in 951 città per 82 paesi - che davvero sembrava di vedere il cielo fremere, sotto l'onda dell'indignazione per questo mondo in cui le ingiustizie sono così numerose.
Come è noto la polizia di New York ha vietato ai manifestanti di Zuccotti park di utilizzare gli impianti di amplificazione; chi ha occupato quella piazza allora ha "inventato" i mic check, quello che nei giochi da bambini si chiama il telefono senza fili. Chi parla, chi fa un annuncio che deve essere sentito in tutta la piazza, sa che la sua frase sarà diffusa tra la folla da persone che ripetono, parola per parola, ciò che egli ha detto a quelli intorno a lui, spingendo tutti a parlare con un'unica voce, un sistema fastidiosamente lento nell'epoca della comunicazione globale, eppure riuscito a ottenere il risultato voluto e ad aggirare lo stupido divieto di un potere che non ha saputo capire la forza della protesta. Aristotele, nel libro VII della Politica, spiega che una città non dovrebbe mai ingrandirsi al punto da impedire che la voce stentorea di un araldo raggiunga simultaneamente tutti i cittadini: una lezione appresa, in maniera piuttosto originale, dai manifestanti di Zuccotti park.
C'è qualcosa di antico in queste proteste e altrettanto antico è il riappropriarsi che hanno fatto queste persone degli spazi pubblici. I "soloni" della comunicazione ci hanno spiegato per anni che la politica ormai si sarebbe fatta esclusivamente attraverso la rete, attraverso i nuovi strumenti offerti dalla tecnologia, abbiamo cominciato a sottostimare il potere politico insito nei luoghi fisici. Poi è arrivata piazza Tahrir e queste considerazioni si sono rivelate molto discutibili, molto meno moderne delle parole di Eschilo e di Aristotele. Anzi, a dire il vero, le piazze, i luoghi, non hanno mai perso la loro forza, soltanto che abbiamo preferito guardare altrove, spinti da una modernità che ci sembrava - anche in buona fede - fonte di progresso. L'89, l'anno in cui molte cose sono cambiate nel nostro mondo, è stato caratterizzato da due luoghi simbolo: piazza Tiananmen e il muro di Berlino.
Le migliaia e migliaia di persone che in queste settimane sono scese nelle piazze si sono lentamente riappropriate di alcuni luoghi fisici, particolarmente significativi, ma nel far questo hanno cominciato a costruire un modo diverso di intendere la politica, la partecipazione, lo stare insieme. Ho letto una dichiarazione di uno dei manifestanti di New York sul sistema del passaparola per comunicare da un capo all'altro della piazza e la trovo estremamente illuminante:
Di questi tempi ci distraiamo così facilmente, le persone si sono dimenticate come si fa a concentrarsi. Ma la strategia del mic check richiede non solo che ognuno di noi senta le opinioni degli altri ma che si ascolti davvero ciò che gli altri dicono, perché dobbiamo ripeterlo parola per parola.
Il mic check è un sistema di comunicazione sicuramente meno veloce dei tweet, ma che costringe le persone a guardarsi in faccia, a capirsi, a non lasciare indietro nulla.
Un altro manifestante ha detto:
Veniamo per sentirci parte di una comunità più grande; è importante inserire tutto questo nel contesto dell'alienazione attuale. Facebook lo usiamo da soli. Ma le persone non sono sole qui.
Le donne e gli uomini che condividono una piazza - ed è importante ricordare che queste manifestazioni non sono fatte solo di giovani, ma sono molto variegate per quel che riguarda le generazioni - prima di tutto fanno vedere a chi detiene il potere economico e politico che sono in tanti - che siamo in tanti - il 99%, per usare uno dei più fortunati slogan del movimento, che subisce le decisioni dell'1%. Ma chi è in piazza scopre di far parte di una comunità, le persone vedono che dietro quel 99% ci sono persone vere, con problemi simili e spesso identici, ai loro.
In piazza Tahrir, poi alla Puerta del sol e infine a Zuccotti park, per citare tre esempi molto diversi e anche per molti aspetti difficilmente confrontabili, le persone che manifestavano non si sono limitate a scandire slogan, ma hanno fatto vivere la piazza, hanno organizzato la loro sicurezza, hanno provveduto a gestire i bisogni alimentari, hanno messo a disposizione le loro capacità individuali per quella collettività, per quel microcosmo diventato per alcuni giorni una sorta di città nella città. L'immagine più viva delle manifestazioni di Zuccotti park rimane quella dei manifestanti che puliscono il parco, anche per rispondere all'ennesimo stupido tentativo del potere di bloccare le proteste.
In questi giorni abbiamo sentito molte volte politici e intellettuali - di destra e di sinistra - che, pur lodando le manifestazioni, hanno espresso le loro riserve per il fatto che gli indignati non hanno una piattaforma politica precisa: "l'indignazione non basta - dicono questi sapientoni - occorre la proposta". Molte di queste dichiarazioni di attenzione alle ragioni delle proteste sono assolutamente pelose, come quelle di Mario Draghi, già vicepresidente della Goldman Sachs e futuro presidente della Bce; Draghi è uno dei capi più influenti dell'1% e francamente potrebbe star zitto. Incomprensibili sono le dichiarazioni dei leader dei partiti del centrosinistra che non si rendono conto che è impossibile che un movimento di questo genere abbia una piattaforma definita, sarebbe anzi un controsenso. Come ho cercato di spiegare prima, in questo caso, in maniera evidente, la forma è sostanza. I manifestanti non hanno ricette su come uscire dalla crisi, ma è importante che siano in piazza per esprimere la nostra stanchezza, la nostra preoccupazione, la nostra paura per il futuro.
Le piazze piene di manifestanti sono un segnale estremamente positivo, ma il fatto che le maggiori forze politiche del centrosinistra non riescano a capire le ragioni di questa protesta e anzi che ne diventino, come succede in Spagna, il principale bersaglio è un segnale molto negativo. Una cosa è certa: del movimento del 99% ne parleremo ancora.
Carissimo,sto scrivendo una tesi su Le Supplici di Eschilo, e nessuno più di me ora può essere coinvolta e aver fatto riflessioni simili alle tue. Quest'opera, per quanto trascurata nei secoli, offre numerosissimi spunti per pensare e comprendere il passato, ma anche il presente..mi stupisco sempre più di quanto ci si possa ancora emozionare nel leggere versi scritti più di duemila anni or sono...e poi continuare a indignarsi, riflettere, pensare, con le parole di Eschilo nella mente, mentre si sfogliano i giornali che raccontano i fatti contemporanei.. grazie del post...una torinese di origini sanbiagesi(Argenta-FE)
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