Tra i paesi oggetto di osservazione da parte delle autorità finanziarie internazionali, la Spagna ha già svolto il compito, con una riforma costituzionale approvata nell'estate scorsa con voto bipartisan da parte dei socialisti ormai votati alla sconfitta e dei popolari che si sentivano – come poi è avvenuto – sicuri vincitori. Il 30 novembre, nel clima di generale euforia seguita alle dimissioni di B., la Camera ha approvato in maniera quasi unanime – 464 sì, 11 astenuti e nessun voto contrario – la modifica dell'articolo 81 della Costituzione, per introdurre appunto il pareggio di bilancio nella legge fondamentale della Repubblica. La notizia non ha avuto particolare risalto, ma questa approvazione è stata di fatto la prima prova parlamentare – efficacemente superata – del governo Monti. Il testo, che dovrà ora seguire il complesso iter delle riforme costituzionali, ma che non dovrebbe trovare particolari ostacoli, visto il generale clima di concordia che regna in parlamento, recita:
Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo, al fine di garantire la corretta disciplina di bilancio e attuare i principi previsti dall'ordinamento dell'Unione europea relativamente al raggiungimento e al mantenimento dell'equilibrio economico. I saldi complessivi di bilancio sono definiti dal Governo e non possono essere oggetto di modifiche parlamentari.L'ultimo comma in particolare segna un passaggio notevole nella prassi costituzionale italiana: di fatto al governo viene assegnato il potere di definire le linee essenziali del bilancio dello stato, ossia i saldi, mentre al parlamento è lasciato un compito residuale. Se poi si considera che saranno di fatto le autorità finanziarie europee a dettare i saldi al governo, per rispettare i vincoli imposti dai trattati internazionali, è chiaro che questa modifica costituzionale incide profondamente sulla costituzione materiale del nostro paese, attraverso una vera e propria cessione di sovranità su un aspetto essenziale della vita pubblica. Penso che una riforma del genere avrebbe meritato una discussione ben più ampia di quella che è stata fatta, nel parlamento e nel paese. Eppure su questo aspetto si sono levate pochissime voci critiche, naturalmente inascoltate. Pesa in particolare il silenzio della sinistra che ha accettato in buon ordine questa modifica costituzionale, ottenendo in cambio solo le dimissioni di B., che, per quanto importanti e benedette, non giustificano una resa di questa portata. Per quanto riguarda il Pd infine questa modifica costituzionale è parsa normale, visto la deriva liberista assunta da quel partito.
Per venire al merito della questione, di fatto la destra tedesca ha vietato all'Italia e a tutti gli altri paesi europei di fare debiti. Sembra una visione di buon senso – soprattutto per un paese come l'Italia in cui il debito pubblico è cresciuto in proporzioni non più sostenibili – ma è una posizione dettata da un'idea ultraliberista dell'economia. Provate a pensare cosa significherebbe questo divieto se imposto ai privati. Io e mia moglie abbiamo contratto un mutuo per acquistare la casa in cui viviamo, così come hanno fatto a suo tempo i nostri genitori e così come hanno fatto e fanno altri milioni di famiglie. Per fare il mutuo e quindi per acquistare la casa abbiamo calcolato le nostre entrate mensili e ci siamo regolati di conseguenza: per questo ora non abitiamo in una villa di 300 mq con giardino sulle colline, ma in un appartamento di 50 mq in via Marzaroli. Il punto è tutto qui: il problema non è fare debiti in sé, ma fare debiti che si sa che non potranno essere onorati; c'è una bella differenza.
Solo pochi anni fa lo stesso Monti – che non può certo essere tacciato di essere uno statalista – sosteneva che il pareggio di bilancio è giustificato per la parte corrente, ma che le istituzioni pubbliche, per le spese d'investimento, possono ricorrere al debito, esattamente come fanno le imprese e le famiglie.
Della possibilità di introdurre il pareggio di bilancio nella costituzione si discute anche negli Stati Uniti. Voglio riportare alcuni passi di una lettera aperta promossa dall'economista e premio Nobel Kenneth Arrow e sottoscritta da molti economisti americani, tra cui altri quattro premi Nobel. Mi sembrano posizioni piuttosto chiare, per essere state scritte da un economista.
Un emendamento sul pareggio di bilancio genererebbe effetti perversi in caso di recessione. Durante le crisi economiche, diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto. Chiudere ogni anno il bilancio in pareggio aggraverebbe le eventuali recessioni.Anche la storia ci fornisce qualche insegnamento sul tema. L'economista John Kenneth Galbraith ha individuato tra le cinque cause della grande crisi del '29 il perseguimento ossessivo del pareggio di bilancio e di conseguenza l'assenza di un qualsivoglia intervento statale, considerato un fattore penalizzante per l'economia. Nella Germania che usciva già stremata dalla prima guerra mondiale le politiche restrittive che il cancelliere Bruning impose al paese portarono a cinque milioni di disoccupati e alla vittoria di Hitler nelle elezioni del gennaio '33.La finanza creativa in cui si sono esercitati il primo ministro Karamanlis in Grecia e il duo Berlusconi-Tremonti in Italia ha rafforzato l'idea tedesca che i governi dei paesi del Mediterraneo siano sostanzialmente incapaci di gestire con ordine e con rigore la finanza pubblica; eppure si dimentica che Portogallo, Irlanda e Spagna nel 2007 avevano un debito più basso di molti altri paesi, ma sono stati travolti comunque dalla crisi. Come diversi analisti ormai sostengono, l'esplodere dei debiti sovrani è la conseguenza dall'avidità e della mancanza di freni della finanza privata e non di quella pubblica. E' giusto pensare a quali possano essere gli strumenti più idonei per bloccare l'aumento del rapporto tra debito e Pil; però agire soltanto sul primo, tagliando il deficit, e non anche sul secondo, è frutto di una precisa visione ideologica, ormai prevalente secondo cui i problemi dell'economia possono venire solo dal pubblico. La diminuzione del rapporto tra debito e Pil è possibile anche con un deficit moderato, compensato da un sufficiente tasso di crescita. Ma dal momento che non ci può essere crescita senza debito, il vertice di Bruxelles condanna i paesi europei a seguire una sola strada: il taglio delle spese.
[...]
Le aziende private e le famiglie ricorrono continuamente al credito per finanziare i loro investimenti. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio impedirebbe al governo federale di ricorrere al credito per finanziare il costo di infrastrutture, istruzione, ricerca e sviluppo, tutela dell’ambiente e di altri investimenti vitali per il futuro benessere della nazione.
[...]
Un tetto di spesa limiterebbe ulteriormente la capacità del Congresso di contrastare eventuali recessioni sia tramite gli ammortizzatori già previsti che con apposite modifiche delle politiche fiscali. Anche nei periodi di espansione, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica perché un aumento degli investimenti ad elevata remunerazione – anche quelli interamente coperti dall'aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da altrettante riduzioni della spesa. Un tetto vincolante di spesa comporterebbe inoltre la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di altri tagli mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non emergenziali.
[...]
E’ pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente nell'attuale fase economica. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi delle tasse che sarebbero necessari, danneggerebbero enormemente una ripresa già di per sé debole.
Leggendo la manovra coerentemente presentata dal governo Monti, come quella di Papademos in Grecia e quelle analoghe che vengono votate negli altri paesi europei, è chiaro che per ottenere questo risultato occorre demolire passo dopo passo l'Europa del welfare, dei diritti sociali, l'Europa che ha conosciuto il progressivo affermarsi dei lavoratori. Non è un caso che il tratto distintivo della politica imposta dalla destra tedesca e dalle autorità internazionali al governo Monti sia stata la riforma della previdenza, anche al di là della necessità della manovra su questo specifico aspetto. La previdenza in Italia era in equilibrio, ma si è voluto intervenire prima di tutto qui, per dare un segnale – questo davvero ideologico – che una stagione è finita per sempre.
Ecco perché è stato importante, al di là di tutti gli arzigogoli di facciata, il vertice di Bruxelles. In quella sede i governi – prevalentemente di destra – e le autorità comunitarie – tutte di destra – hanno deciso di spingere sull'acceleratore del cambiamento. Ne è uscito sconfitto chi ancora pensava che gli stati abbiano l'obbligo di ridurre la povertà e di fare in modo che tutti lavorino. Ha vinto invece – e in qualche modo l'ha imposto nelle costituzioni, facendo sì che sia legge anche per eventuali futuri governi di altro segno politico – chi pensa che gli stati debbano soltanto favorire la concorrenza, perché in questo modo le cose potranno funzionare e tutti potranno giocare con una possibilità di essere vincenti. Il paradosso è che questa è la stessa ideologia che ci portato in questa crisi: si tenta di uscirne percorrendo la stessa strada che ci ha portato dentro.
Temo che questa crisi sia l'ultima spallata che il neoliberalismo sta dando a quel che rimane di stato sociale come l'abbiamo conosciuto fino ad ora. Tutto ciò che continuerà a essere "pubblico" sarà qualcosa di residuale, destinato ai perdenti: scuola pubblica, sanità pubblica, previdenza pubblica, trasporti pubblici, saranno il minimo vitale, e spesso neppure quello, per i più poveri della società. Pagheremo per avere una buona scuola per i nostri figli, pagheremo per avere efficaci cure mediche, pagheremo per poter andare in pensione con un reddito che ci garantisca una vita dignitosa, pagheremo per viaggiare su mezzi di trasporto decenti. E pagherà molto di più la generazione dopo la nostra.
in sintesi caro luca.. noi che lavoriamo, anche se lavorare è diventato un optional, e facciamo i salti mortali per vivere non possiamo rattoppare niente di questa società visto che i grandi della terra si ostinano a voler ripetere l'esperienza del 1929.. la generazione dopo la nostra sono i nostri figli e i nostri nipoti che pagheranno anche l'aria che respirano per la scelleratezza e l'avidità di quei parassiti dei nostri governanti che a poco a poco hanno succhiato, passami il temine, tartassato e sfinito il popolo sovrano.. ma sovrano di che? la nostra rivoluzione serve poco se loro hanno già deciso di che morte dobbiamo morire ma.. non bisogna arrendersi se vogliamo risorgere dalle nostre ceneri...
RispondiEliminala gazza ladra