Il fatto che le truppe degli Stati Uniti si siano sostanzialmente ritirate dall'Iraq – anche se rimane il contingente di 200 uomini destinato a garantire la sicurezza dell'ambasciata a Baghdad – non deve farci dimenticare che in quel paese si continua a morire: sono oltre 70 le persone uccise in questi ultimi giorni, ossia da poco prima di Natale, quando si è completato il ritiro delle truppe americane. Visto il bilancio di questi nove anni di guerra è chiaro cosa ha spinto Obama ad accelerare il ritiro, in vista delle prossime elezioni presidenziali: 800 miliardi di dollari spesi, più di un milione di donne e uomini impegnati nella missione, 4.500 soldati statunitensi morti. Visto che facciamo un bilancio, ci sarebbe anche da ricordare il numero dei civili iracheni rimasti uccisi nel conflitto, un numero che probabilmente non conosceremo mai; sono 115mila, secondo le stime ufficiali americane, ma molto probabilmente sono molto più numerose. Forse ricordate che alcuni anni fa, nel giugno del 2006, la rivista britannica The Lancet stimò in 600mila le vittime civili del conflitto fino a quel mese. Ma cosa succederà adesso in Iraq?
Nonostante una certa indispensabile – e anche comprensibile – retorica statunitense e al di là del fatto che per due volte, dopo la fine della dittatura, gli iracheni sono stati chiamati alle urne, il sistema politico iracheno assomiglia, più che a una democrazia, a una dittatura di partiti di ispirazione religiosa, che si spartiscono il potere su base settaria ed etnica. Inoltre questo potere viene amministrato attraverso un calibrato sistema di clientele e di corruzione; l’Iraq figura al 175° posto, su 182 paesi nella classifica della corruzione stilata da Transparency International.
L'Iraq rimane un vaso ci coccio – e anche il più fragile – tra vasi di ferro, soprattutto Turchia e Iran. Per ora sono in vantaggio gli iraniani, grazie soprattutto alla miope decisione americana di favorire a tutti i costi gli sciiti, a danno dei sunniti, che sostenevano Saddam. Il regime iraniano ha forti legami con gran parte dell'establishment sciita, a partire dal premier iracheno Nouri al-Maliki, ha finanziato direttamente diversi movimenti religiosi e politici, tra cui quello di Moqtada al-Sadr, leader del gruppo paramilitare, noto come “esercito del Mahdi”, molto attivo in quest'ultima fase, inoltre fa pressioni sul clero iracheno affinché venga nominato a capo del Consiglio religioso sciita l’ayatollah conservatore Hashemi Shahroudi. Ai turchi invece rimane l'appoggio dei curdi del nord del paese. Poi c'è l'Arabia Saudita che potrebbe decidere di scendere in campo per difendere la maggioranza sunnita. E' chiaro che la situazione rimane estremamente complessa e l'Iraq potrebbe diventare, già nei prossimi mesi, il campo di battaglia, anche per interposta persona, tra queste tre potenze regionali, con in mezzo – sempre più in pericolo – il popolo iracheno che vive in uno stato di guerra ormai da decenni.
Quando però parliamo dell'Iraq non possiamo dimenticare un elemento essenziale, senza il quale è impossibile capire cosa succederà in quel paese: le riserve irachene di petrolio ammontano a 143 miliardi di barili, ossia il 12% delle riserve mondiali: Nel 2010, pur in una situazione ancora politicamente complessa, l'Iraq ha prodotto 2,7 milioni di barili, provenienti dai 28 grandi giacimenti che si trovano nel nord e nel sud del paese, le zone a influenza curda e sciita. Le grandi compagnie occidentali, cinesi e russe si sono già spartite questi giacimenti e stanno sfruttando a piene mani il petrolio iracheno, mentre il popolo di quel paese non ne ricava alcun vantaggio. Per saperne di più su questo tema vi consiglio di leggere il dossier Il saccheggio dell’Iraq. Un guerra per le risorse, preparato da Un ponte per... e pubblicato sul sito Osservatorio Iraq.
Questo è il dramma dell'Iraq: un territorio potenzialmente ricchissimo, la culla della civiltà – ricordate la Mesopotamia in cui nacque la scrittura? – un popolo schiacciato tra gli interessi delle grandi multinazionali, le strategie politiche delle cancellerie, la corruzione di leader senza scrupoli. Per questo abbiamo detto che la guerra in Iraq era un errore, purtroppo tutte le previsioni si sono rivelate esatte.
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