Il 17 febbraio del 1992 venne arrestato un tal Mario Chiesa, socialista, presidente di un'importante casa di riposo milanese: stava intascando una tangente di sette milioni di lire da un imprenditore che voleva gli fosse assegnato l'appalto della gestione delle pulizie nell'istituto. Sinceramente non ricordo quanto mi colpì allora questa notizia di cronaca; probabilmente molto poco. Ero impegnato in politica da alcuni anni, nell'aprile del '90 ero stato eletto in Consiglio comunale nella lista del Pci e nominato assessore e naturalmente la mia attenzione era rivolta soprattutto alle questioni amministrative: ricordo che in quelle settimane si discuteva di una questione molto delicata, l'eventuale statalizzazione delle scuole materne comunali. A livello nazionale poi era nato da poco più di anno, seppur dopo un lungo travaglio, il Pds, il partito nel quale militavo, e quello era il fatto per me più significativo di quella stagione politica. Ci stavamo preparando alle elezioni politiche della primavera, le prime per il Pds; il presidente Cossiga, al termine del suo periodo da "picconatore" aveva sciolto le Camere il 2 febbraio. Insomma, visto da Granarolo, l'arresto di Chiesa non era poi una gran notizia. Eppure quell'arresto ha segnato la storia recente di questo paese e anche le storie personali di molti di noi.
Ripensando a quei giorni vent'anni dopo - come i moschettieri di Dumas - si guarda a quegli avvenimenti con maggior lucidità e ci si pongono diverse domande. Perché quell'arresto, proprio quell'arresto, scatenò quella reazione? Nella storia dell'Italia repubblicana erano già scoppiati altri scandali, con protagonisti ben più importanti di Mario Chiesa, eppure non era successo nulla; c'erano state dimissioni, si è dimesso perfino un presidente della Repubblica per vicende legate a finanziamenti occulti, ma non è mai crollato il sistema politico. Poi c'è stato il 1992 e la storia è cambiata all'improvviso. Già allora, e soprattutto negli anni successivi fino alle "celebrazioni" di questi giorni, la tesi prevalente è stata che le richieste dei politici erano diventate così esose da risultare non solo eticamente intollerabili - ma si sa che l'etica non è mai molto ascoltata - ma soprattutto economicamente insostenibili da parte degli imprenditori: a furia di tirare, la corda si sarebbe spezzata, proprio nel febbraio del '92. E' una tesi che non mi ha mai convinto. Questa interpretazione si reggeva - e a sua volta giustificava - un'altra tesi allora prevalente - e ancora oggi molto in voga - ossia che in Italia si contrapponessero una classe politica incapace e corrotta e una società civile incolpevole e vessata. Da una parte c'erano i politici concussori e dall'altra gli imprenditori concussi. Troppo comodo e troppo autoassolutorio.
Ricordate lo spot del Grattaevinci, quello in cui un adulto gongola perché ha vinto una partita a scacchi, giocando contro un neonato? Si conclude con lo slogan "ti piace vincere facile?": ecco quello spot mi sembra rappresenti bene la società italiana. Gli imprenditori italiani in genere, pur professandosi strenui assertori del liberismo, faticano ad accettare le regole del mercato, non amano la concorrenza e appena ne hanno l'occasione cercano di eliminare ogni rischio d'impresa. In troppi casi e in troppi settori gli appalti non erano - e non sono - basati sulla regola che vince chi fa l'offerta migliore, ma su accordi di cartello per cui questo appalto lo vinco io e il prossimo lo vinci tu, e insieme definiamo i prezzi. Il debito pubblico italiano si è generato soprattutto per questo meccanismo, che ha fatto lievitare i prezzi delle forniture e della realizzazione delle opere pubbliche. Nelle regioni del sud questo sistema è diventato anche il modo per finanziare la criminalità organizzata, ma su questo voglio tornare anche dopo. In sostanza i soldi delle tangenti non venivano dalle tasche degli imprenditori, ma direttamente dall'erario, costretto a pagare almeno 120 quello che sarebbe dovuto costare 100. E gli esempi potrebbero continuare nell'Italia delle corporazioni, degli ordini, delle tariffe garantite, delle licenze contingentate e così via. In Italia imprenditori, banchieri, grandi assicuratori non sono nemmeno più abituati a fare impresa, non vogliono rischiare, si "accontentano" dei loro profitti sicuri.
Torniamo ora all'Italia del 1992. Eravamo in piena crisi economica. Per mettere in sicurezza i conti pubblici il governo Amato fu costretto, l'11 luglio di quell'anno, a emanare un decreto da 30.000 miliardi di lire, in cui tra gli altri provvedimenti, si decise il prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti bancari. Il 13 settembre Amato annunciò in televisione la svalutazione della lira. L'inflazione stava salendo, la Fiat aveva annunciato un vasto piano di prepensionamenti e molte aziende chiedevano di attivare la cassa integrazione. Il sistema politico italiano era andato in crisi tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta. Nel giugno del 1991 c'era stato il referendum sull'abolizione della preferenza multipla alle elezioni; alle urne si recò il 65% degli italiani e il referendum passò con il 95,6% di sì. Era un voto di sfiducia verso i partiti. Il mondo intanto era radicalmente cambiato. La fine del Pci, anche se non ci fosse stata l'inchiesta di Mani pulite, avrebbe inevitabilmente portato alla fine della Democrazia Cristiana e quindi alla fine di quell'equilibrio sociale di cui questo partito, espressione della maggioranza della classe dirigente italiana, si era fatto garante. Mi colpì molto il fatto che nel 1995, al termine del mandato cominciato nel '90, non sedessero più in Consiglio comunale di Granarolo i rappresentati di Pci, Dc e Psi, come era sempre avvenuto dalle elezioni del 1948. I tre grandi partiti della storia italiana avevano chiuso in cinque anni. Al di là di questo ricordo personale, nel '92 si percepiva che la prossima fine della Dc, ossia dell'unità politica dei cattolici, avrebbe significato la fine del sistema che garantiva ad alcuni il mantenimento dei loro privilegi.
C'è una costante nella storia dell'Italia repubblicana: non appena sono in vista dei possibili cambiamenti ci sono forze, più o meno occulte, che si incaricano di frenare questi cambiamenti. Purtroppo è sempre avvenuto in maniera drammatica, dall'eccidio di Portella delle ginestre ai morti di Reggio Emilia, dalla strage di piazza Fontana all'uccisione di Aldo Moro. Io non sono un "complottista" e so che dietro questi avvenimenti, che hanno matrici e storie molto diverse, non c'è un'unica regia, non esiste il "grande vecchio", troppe volte evocato per spiegare i molti misteri italiani. Il risultato però è inequivocabile: sono momenti che hanno segnato un arretramento o quantomeno non hanno permesso l'affermarsi di elementi di cambiamento che erano presenti nella società. Nel 1992 qualcosa stava per cambiare, francamente non so dire se in meglio o in peggio - la situazione era molto confusa - comunque si percepiva che eravamo a una svolta. E, come è sempre avvenuto, si è messa in moto quella parte della società che teme i cambiamenti, perché rischia di perdere i propri privilegi. Anche qui, ripeto per non essere frainteso, non voglio dire che ci sia stata una regia "occulta" che ha manovrato una parte della magistratura, la grande stampa, i tanti attori sociali coinvolti, ma mi limito a misurarne gli effetti. C'era un'aria di cambiamento nel paese, sinceramente vissuta e e spontanea, che si espresse appunto nel referendum del '91 e anche nel risultato delle elezioni politiche del '92, che segnarono un risultato molto negativo per la Dc e un arretramento del Psi, e l'affermarsi di alcune forze nuove, di stampo molto diverso, dalla Lega alla Rete.
Personalmente penso che Mani pulite sia scoppiata proprio allora perché quell'Italia che ho descritto prima, l'Italia degli imprenditori poco coraggiosi, l'Italia delle mille corporazioni, l'Italia della ricchezza, chiamiamola per comodità l'Italia dei "profittatori" non si è più sentita garantita da quella classe politica che fino ad allora aveva tollerato, ma anche contribuito a gestire, ad esempio attraverso il sistema tutto italiano delle partecipazioni statali, questo iperprotetto sistema economico. Era la Dc che garantiva alla perfezione questo sistema, ma appunto la Dc stava per sgretolarsi. Il Psi non avrebbe potuto sostituirsi ad essa, come forse Craxi sperava, in parte perché il giudizio dell'opinione pubblica verso il Psi non era affatto positivo, ma soprattutto perché i grandi poteri non si fidavano affatto di Craxi, che aveva dato prova in diverse occasioni di un coraggio e di una capacità di decisione autonoma che spaventava quei mondi, abituati alla duttilità dei notabili democristiani.
Anche altri non si sono sentiti più garantiti, per ragioni diverse, da un sistema politico che stava franando, penso ai cosiddetti "boiardi" di stato, ai manager delle grandi aziende pubbliche che in quei mesi hanno pensato che era arrivato il tempo di affrancarsi dai loro "padrini" politici ormai in declino, tanto più che era in atto un massiccio piano di privatizzazioni, i cui protagonisti furono i soliti noti riuniti nel consiglio di Mediobanca. Si mosse infine la più grande azienda italiana per fatturato e penetrazione sociale, la mafia: anch'essa in quella stagione sentiva che qualcosa stava succedendo; non è inutile ricordare che il 12 marzo del 1992 venne ucciso Salvo Lima, fino ad allora il maggior referente della mafia all'interno della Dc e che pochi mesi dopo vennero uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Poi nel '93 ci fu la stagione delle bombe mafiose, a Firenze, a Roma, a Milano, segno che la criminalità organizzata dal sud era pronta ad alzare la voce a livello nazionale. C'è un'altra data del 1992 che merita di essere ricordata: il 29 ottobre fu ratificato in Italia il Trattato di Maastricht sull'unione monetaria: chi sapeva, chi conosceva bene le cose, sapeva anche che da quel momento le "anomalie" italiane, su cui si era costruita la storia del paese nei decenni precedenti, sarebbero in qualche modo state ricondotte all'interno di parametri ben definiti e difficili da eludere, come vediamo bene in queste settimane.
Questa Italia, passata la tempesta del '92 e del '93, questi interessi si sono oggettivamente messi in moto nel '94 per trovare una soluzione politica alla crisi. E la soluzione è stata Silvio Berlusconi. Qui comincia un'altra storia che sarebbe lungo raccontare e che non è neppure pertinente all'argomento di questa "considerazione", ma l'arrivo sulla scena di Berlusconi risolse molti dei problemi posti nel '92. Berlusconi si presentò come l'uomo nuovo, colui che non aveva mai partecipato al "teatrino della politica" e sotto di lui i poteri veri, le grandi industrie, le banche, gli uomini che sedevano - e siedono - in tanti consigli d'amministrazione hanno visto crescere il proprio potere. Poi Berlusconi è diventato B., ha perso il senno e puntualmente i grandi poteri hanno cominciato a non sentirsi garantiti neppure da lui e hanno cambiato cavallo, decidendo di prendere in mano direttamente il governo, smettere di delegare altri. Mi pare che il governo Monti segni davvero la fine di quel percorso iniziato vent'anni fa e quindi l'inizio della cosiddetta seconda repubblica, ma su questo naturalmente avremo modo di vedere e confrontarci. Magari prima che passino altri vent'anni.
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