Quella mattina Speusippo venne svegliato da un araldo inviato dal palazzo reale: tutti gli artigiani di Troia erano stati convocati per abbattere una parte delle mura della città, a fianco delle porte Scee, per permettere al cavallo di entrare in città. A Speusippo quell'idea proprio non piaceva: quel simulacro di legno poteva benissimo stare là dove si trovava, tra i resti del campo dei greci. E poi era sempre la stessa storia: i lavori di abbattimento delle mura erano a carico di tutti gli artigiani, che avrebbero dovuto lavorare gratuitamente; invece gli appalti per la loro ricostruzione sarebbero stati affidati, a carissimo prezzo, sempre alle solite grandi ditte. Comunque Speusippo non poteva certo disobbedire a un ordine reale. Si lavò il viso, si vestì, svegliò il giovane Menio, il garzone che viveva ormai con la sua famiglia da quando era rimasto orfano, preparò i suoi attrezzi. Salutò sua moglie, avrebbe voluto dirle qualcosa di più, ma Menio lo incitava a partire, in strada c'era già una gran confusione, non sembrava affatto che fosse ancora l'alba. Speusippo si ritrovò alle porte Scee, salutò qualche amico, vide molti che conosceva, notò qualche suo concorrente con cui aveva litigato. C'era un grande entusiasmo, si respirava ancora l'aria di festa del giorno precedente; i principi Deifobo ed Enea si trovavano tra gli artigiani, per ringraziarli a nome del re. Speusippo dimenticò ogni inquietudine e partecipò della gioia di tutti: sì, la guerra era finita, bisognava ringraziare gli dei e onorarli attraverso quella bizzarra costruzione di legno. E poi avrebbero ricominciato a lavorare: Speusippo voleva soltanto risparmiare qualche soldo per assicurare una dote a sua figlia e poi lui ed Eginia si sarebbero ritirati in una piccola campagna alle pendici dell'Ida, una casetta che gli aveva lasciato suo padre con un po' di terra intorno; pensò che appena finiti i lavori alle mura lui e Menio sarebbero andati a vedere in che condizioni era. Divisero gli artigiani in squadre, a Speusippo, per la sua esperienza, toccò la responsabilità di guidarne una incaricata di salire in cima alla porte Scee e di cominciare la demolizione dei camminamenti che si trovavano in cima alle mura, dove c'erano i posti di guardia. Il lavoro procedeva veloce: tutti volevano che il cavallo entrasse in città il prima possibile. Speusippo da così in alto si trovava quasi di fronte al muso dell'animale, che intanto un'altra squadra di artigiani aveva avvicinato alle mura, in attesa che il varco fosse pronto. Quella testa di cavallo era davvero ben fatta: una volta a casa avrebbe provato a farne una copia, naturalmente più piccola: sarebbe stato un regalo per sua figlia, una specie di portafortuna. Ora il cavallo era a pochissimi metri da Speusippo, che era come incantato da quegli occhi. Seguiva i lavori a lui affidati con attenzione, ma continuava ad osservare il cavallo. Erano oltre un centinaio gli uomini che lavoravano attorno alle mura e c'era un frastuono terribile: pietre che rotolavano, legni che si spezzavano, urla e comandi che si intrecciavano e si confondevano. Speusippo non sentì il rumore metallico che fece il cavallo quando una delle ruote su cui era trasportato si ruppe. Aiutò Menio a staccare una trave e insieme cominciarono a farla scivolare verso il basso, facendo attenzione a che non colpisse qualcuno. Si girò nuovamente verso il cavallo, guardò gli occhi della statua e all'improvviso vide che quegli occhi lo guardavano: al loro posto c'erano due visi che lo fissavano. Speusippo abbassò lo sguardo e quando rialzò il viso gli occhi del cavallo erano tornati al loro posto: due pezzi di legno nero. Speusippo capì all'improvviso l'inganno ordito dai greci. Doveva dare l'allarme, doveva parlare con il principe Deifobo. Menio intanto staccava l'ultima trave, ma non si accorse di una pietra che stava cadendo su di lui. Speusippo invece la vide, si gettò urlando su quel ragazzo che aveva visto crescere e a cui aveva insegnato il mestiere. Menio si ritrovò gettato su una catasta di legna pronta per essere trasportata via e Speusippo fu colpito sul capo dalla pietra caduta da uno dei merli delle porte. Il corpo dell'artigiano fu lentamente fatto scendere dai camminamenti delle porte Scee, portato a spalla da Menio e dagli altri operai.
I guerrieri greci rimasero in silenzio dentro il cavallo, non osavano più alzare le paratie che Epeo aveva messo al posto degli occhi del grande cavallo; da fuori non si sentiva più alcun rumore, i lavori di abbattimento delle mura erano stati interrotti. Ulisse pensò che ormai quel vecchio artigiano aveva già dato l'allarme e che i guerrieri troiani si stavano preparando ad attaccare; bisbigliò ai suoi uomini di stare pronti a tutto, se i troiani avessero appiccato il fuoco al cavallo si sarebbero dovuti gettare a terra e lanciarsi in un attacco disperato. Il silenzio fuori dal cavallo sembrò durare un'eternità. Poi lentamente Ulisse e i suoi uomini ricominciarono a sentire il rumore delle pietre spezzate; solo non si sentiva più il vociare degli uomini che lavoravano. Tutti conoscevano Speusippo, a diversi di loro aveva insegnato il mestiere, non c'era molta voglia di scherzare dopo che lui era morto così, proprio quando la guerra era ormai finita e per salvare la vita di uno di loro. Al tramonto i lavori erano praticamente terminati, la squadra incaricata di trascinare il cavallo riuscì con fatica a completare il suo lavoro. Era ormai buio: il cavallo era finalmente entrato in città.
Bella storia! o meglio, una delle tante storie, perchè c’è la “storia”, quella dei manuali, con i nomi altisonanti, le date, le grandi passioni e gli ideali. E poi ci sono le “storie” di uomini e donne senza nome, con le loro vite, la fatica, gli entusiasmi, le paure, i progetti e i desideri e che sono parte inconsapevole di quella “storia” più grande.
RispondiEliminaGrazie!