domenica 8 luglio 2012

Considerazioni libere (290): a proposito di calcio (e non solo)...

Nei giorni scorsi, durante i campionati europei di calcio, sui giornali e tra i commentatori televisivi si sono sprecate le metafore per marcare le analogie tra il nostro paese e la nazionale. All'inizio del campionato le deludenti prove della squadra azzurra sono state viste come lo specchio di un paese con una guida incerta e ormai incapace di affrontare la crisi, nonostante il proprio brillante passato. Il pomeriggio precedente Italia-Irlanda, quando i più pensavano che la nostra squadra sarebbe stata eliminata per colpa del "biscotto" tra Spagna e Croazia - immaginavamo infatti che gli altri avrebbero fatto a noi quello che noi sicuramente avremmo fatto a loro (vero capitan Buffon?) - sono stati scritti decine di editoriali in cui si diceva che l'Italia-paese, come l'Italia-squadra, era ormai fuori dall'Europa, dandone la colpa al precedente governo - uno qualsiasi dal III Rumor a oggi - perché in Italia è sempre colpa di qualcuno prima di noi. Poi, visto che gli spagnoli hanno giocato come sanno fare, quei bei articoli sono stati cestinati. E' così arrivata la vittoria con l'Inghilterra e le penne hanno ricominciato a mettersi in moto: l'Italia, anche se all'ultimo minuto, ce la può fare, con il coraggio - e un po' di incoscienza - alla Pirlo insomma. E poi è arrivata l'ora di Italia-Germania, partita giocata contemporaneamente a Bruxelles e a Varsavia, e la retorica patriottarda si è scatenata, portando sugli altari i due super-Mario, che qualche giorno prima erano un affamatore del popolo, inventore di sempre nuove tasse, e un negro viziato, incapace di metterla dentro. L'avventura europea si è infine conclusa con la figuraccia di Kiev, ma la squadra, comunque inaspettatamente seconda, è stata benedetta dal presidente (la "p" minuscola non è un errore), con la spiegazione che l'Italia potrà farcela, proprio come hanno fatto gli azzurri, con unità e gioco di squadra: quindi tenetevi Monti, pagate e ringraziate. Con buona pace della retorica quirinalizia, le analogie tra la società e il calcio invece sono davvero tante, ma non sono sempre commendevoli.
Nei giorni scorsi è stato pubblicato su Il Sole-24 ore un articolo interessante di Gianni Dragoni sui conti del calcio; vi invito a leggerlo, perché fornisce dati precisi e in qualche modo illuminanti. Ne riporto un breve brano, per parlare del dato che mi ha colpito di più.
Nell'ultima stagione sportiva, secondo i bilanci al 30 giugno 2011, la perdita netta aggregata delle squadre di serie A, serie B e della Pro di prima e seconda divisione è stata di 428 milioni di euro, in aumento di quasi 81 milioni (+23,2%) rispetto alla stagione precedente. Un dato preoccupante, perché la perdita nella stagione precedente era rimasta pressoché stabile, solo sette milioni in più rispetto ai 340 milioni dell'esercizio chiuso al 30 giugno 2009.
In sostanza su un giro di affari complessivo di 2.477 milioni c'è stata una perdita di 428 milioni, pari al 17,2%. I dati sono molto chiari. Non restano molte spiegazioni: o gli imprenditori del calcio sono tutti incapaci e accettano di rimetterci o sono dei veri sportivi e mettono tutti i loro risparmi nel gioco che amano o questi conti non sono veri e le società di calcio servono per produrre utili in nero alle imprese. Per analogia con quello che avviene nel resto del paese, io tenderei a credere a questa terza ipotesi.
Sempre a proposito di quello che succede intorno al calcio voglio raccontarvi quello che è capitato due anni fa al Bologna FC, squadra a cui sono legato - come potete immaginare - da antico tifo adolescenziale. La squadra era stata acquistata da un noto costruttore bolognese, con lo scopo, non troppo celato, di costruire il nuovo stadio, con annessi e connessi. Quando si è accorto che questa opportunità diventava sempre più incerta, ha legittimamente messo in vendita il club. Nell'estate 2010 è comparso un imprenditore da fuori città, dicendo di avere i soldi: le carte sono state firmate ed è diventato il nuovo proprietario della squadra. Si è messo immediatamente all'opera per preparare il nuovo campionato, ha venduto qualche giocatore, ne ha acquistati altri, ha incassato i soldi degli abbonamenti, ma dopo pochi mesi ha smesso di pagare gli stipendi, perché in cassa non c'era più un soldo. A questo punto ha candidamente ammesso di non avere un euro e di non averci messo nulla; non aveva ovviamente neppure liquidato il precedente proprietario, che fino ad allora non aveva detto nulla per paura di fare la figura del fesso. Alla fine alcuni altri imprenditori hanno comprato il club, mettendoci questa volta soldi veri. Il nostro eroe se n'è tornato nella sua città con un po' di euro, concessi come buona uscita dai nuovi proprietari. Questa vicenda ha avuto una qualche notorietà perché ha riguardato la squadra di calcio di una grande città, nobile anche se decaduta - la squadra e la città - ma non si tratta di un caso isolato. Se avete fatto un mutuo per acquistare la casa o per aprire una piccola attività sapete che trafila si fa per ottenerlo e quante garanzie siano necessarie. Per grandi operazioni finanziarie, quelle che se falliscono rischiano di far fallire la banca, queste garanzie non vengono richieste, basta la parola, magari di un amico, o di un amico dell'amico.
C'è un'altra analogia importante tra il sistema-calcio e il sistema-paese: il totale disinteresse verso il bene comune, quando va a scapito del proprio interesse individuale. Prandelli lo ha detto con molta chiarezza: in Italia gli interessi delle squadre di Lega prevalgono sempre sul contributo che ciascuna di esse dovrebbe dare al movimento nel suo insieme, a partire dalla nazionale. La definizione del calendario della serie A, in cui non viene lasciato un minimo spazio per l'attività della nazionale, è un indizio fin troppo evidente che, nonostante la retorica di facciata - altro aspetto che il calcio condivide con la società nel suo complesso - le decisioni sono sempre dettate dagli interessi economici. Lascio a voi immaginare in quali altri campi avviene: non voglio allungare troppo questa "considerazione", abusando della vostra pazienza.
Ultima analogia è la capacità di autoassolversi: in Italia, come detto, la colpa è sempre di qualcun altro, al limite del destino cinico e baro. Ricordate le parole di Buffon prima di partire? E poi c'è la capacità italiana di assolvere tutti i peccati, a patto che i peccatori siano più forti di noi. Non so se vi ricordate, è passato molto tempo. Prima che gli azzurri partissero per la Polonia è scoppiato l'ennesimo scandalo scommesse. Se ne parlò a profusione, furono spese parole di fiera riprovazione, si aprì un dibattito a cui partecipò autorevolmente anche il professor Monti; di quelle parole si è spenta l'eco al primo gol dell'Italia e sono state sepolte all'indomani della storica vittoria sulla Germania nel "derby dello spread", riconsegnando al mondo del calcio una verginità che temo perderà assai presto.
Anch'io, immodestamente come il presidente dalla "p" minuscola, non so più se parlo del calcio o del paese: l'Italia non ce la farà.

1 commento:

  1. diciamo che il calcio, essendo un fenomeno assai popolare, non può non riflettere i tanti difetti e i pochi pregi di questo paese. D'altra parte, se non si parla del campo e del gioco, ma dei conti, c'è da mettersi le mani nei capelli, anche per gli appassionti come me...

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