Sarebbe concepibile nella Parigi del 2312 una celebrazione dei 500 anni della conquista ed unificazione napoleonica dell'Europa? O addirittura, nella Berlino del 2442, una celebrazione dei 500 anni dalla "conferenza di Wannsee", dove venne progettata l'unificazione e la risistemazione dell'Europa - soprattutto centro-orientale - sotto egemonia tedesca, con gli slavi rimessi al posto che loro spetta, ripulita da ebrei, zingari ed altre razze inferiori?
No, chiaramente non sarebbe immaginabile. Le truppe napoleoniche e le armate naziste fortunatamente hanno perso, e ciò ha aiutato la nostra coscienza a capire ed affermare che quella strada era sbagliata. In quei casi gli invasi hanno fatto abbastanza presto ad espellere gli invasori, addirittura ad invadere a loro volta... E così niente cinquecentenario, niente celebrazioni.
La "scoperta" e successiva conquista delle Americhe da parte dell'Europa, soprattutto latina, invece, senz'altro non pianificata in partenza, ha vinto, e così è diventata luogo comune delle coscienze del Nord, viene celebrata (con qualche pudore e reticenza, con qualche concessione ad una marginale cattiva coscienza, è vero, ma sostanzialmente senza presa di distanza).
Anzi, lo stesso modo di celebrarsi - con ulteriori grandi opere, enfasi di cemento... - e attraverso la perpetuazione di relazioni Nord-Sud che si muovono ancor oggi in quella continuità, e assai rivelatore e chiede che si levino forti le voci contrarie.
La conquista e la sottomissione del Sud è stata legittimata in tutti questi secoli da varie sedicenti "ragioni di superiorità" che si sono succedute nel tempo: da quella religiosa, che giustificava la cristianizzazione forzata, a quella economica e commerciale che giustificava la spoliazione di interi continenti, a quella scientifica e tecnica che doveva giustificare la loro annessione violenta al "progresso", sino alle più moderne ideologie dello "sviluppo" che con le industrializzazioni ed i più recenti "aggiustamenti strutturali" hanno guidato i processi di modernizzazione imposta. E non è detto che l'ultima e la più moderna delle ragioni per ergersi a precettori del Sud non diventi l'ambientalismo, anche quello "made by the North"!
Con qualche pudore, qualche attenuazione culturale (qualche esposizione o servizio sugli indios, in Brasile ora telenovelas...), qualche mediazione, ma nella sostanza senza alcun "pentimento", alcuna volontà di mettere in discussione questi 500 anni, i nostri governi, le nostre imprese, i nostri media ed apparati culturali si accingono a "festeggiare". Non si è avuta nemmeno la forza per un bel gesto come quello della Svizzera, che in occasione dei suoi 700 anni ha preso due limitati, ma significativi provvedimenti: una parziale remissione del debito estero (700 milioni di franchi) ed un vincolo naturalistico di alcuni suoi territori per i posteri.
E noi? ci limitiamo a fare il contro-canto o le contro-celebrazioni?
Il rischio è che anche noi, i movimenti ecologisti, di solidarietà, di cooperazione solidale, facciamo parte del copione: qualcuno deve protestare, prendersi cura degli esclusi, dare voci agli sconfitti, ai conquistati, ai sopravvissuti al genocidio ed etnocidio. Magari opporre le proprie "controcelebrazioni" a quelle ufficiali.
Lo sappiamo bene, ed è per questo che non possiamo fermarci alla critica alle celebrazioni Colombiane, nè alla semplice auto-critica storica o riscrittura della storia (magari altrettanto schematica quanto le celebrazioni, ed in tal caso non veritiera), nè ad una pura operazione culturale, affermare cioè un altro punto di vista che rimane una pietruzza decorativa ed inefficace nel pluralismo di opinioni. Dare altri e più veri nomi alle cose e cercando di generare altre consapevolezze è necessario, ma non sufficiente.
Vogliamo sviluppare - a partire da una diversa e più verace analisi - altre conseguenze (efficaci, possibilmente) ed altre alleanze. In Italia, in Europa, nel mondo. Convinti che il Cinquecentenario - e gli eventi che si situeranno in quest'anno - sia una buona occasione per "cambiare rotta", soprattutto da noi, più che da loro, e che di questo entrambi, Sud e Nord, abbiamo urgente bisogno.
Quando parliamo di "altro 1992", ci situiamo nel bel mezzo di alcune grandi scadenze mondiali dell'anno prossimo, che ci pare si intreccino direttamente con i "500 anni": la conferenza mondiale delle Nazioni Unite su "ambiente e sviluppo" (Unced, Rio de Janeiro, giugno 1992), la possibile conclusione del negoziato Gatt (su prezzi e condizioni del commercio mondiale) ed il completamento del mercato unico interno della Comunità Europea che dovrebbe avvenire alla fine dell'anno prossimo ed aprire le porte non già all'unificazione politica dell'Europa, bensì all'unificazione economica e monetaria dei 12 attuali partners della Comunità europea.
Ed è con l'occhio a questi tre eventi che vogliamo riflettere sulle relazioni Nord-Sud, come si sono consolidate in queste 500 anni, e come noi vogliamo contribuire a cambiarle.
Il superamento delle colonne d'Ercole non è più un mito positivo
L'audace superamento dei confini (dell'immaginazione prima che della navigazione..) simboleggiato da Cristoforo Colombo, in altri tempi poteva suscitare maggiori entusiasmi che oggi, nella nostra epoca che comincia ad essere segnata dalla consapevolezza della radicale crisi dell'equilibrio ecologico planetario. Superare le colonne d'Ercole del proprio mondo in altri tempi poteva far dimenticare o apparire irrilevante la violazione dei confini e l'invasione dei mondi altrui. Nell'entusiasmo per i navigatori - gli inventori, gli ingegneri, i cosmonauti... - si concentrava l'adorazione del progresso, del superamento dei limiti, dell'espansione dell'universo conosciuto e dominato attraverso i propri viaggi, commerci, guerre, tecnologie, leggi. Oggi che siamo di fronte alle conseguenze della sistematica violazione di tutti i confini, persino quelli del codice genetico della vita umana, ed alla generalizzata invasione sterminatrice dei residui mondi pre-moderni, facciamo fatica a guardare con beato ottimismo al viaggio di Cristoforo Colombo come quintessenza di progresso, di cambiamento positivo, di scoperta di "nuovi mondi". Ed in questo possiamo incontrarci, non solo per senso di solidarietà ma con piena partecipazione propria ed in nome nostro, con chi è stato "scoperto", invaso, conquistato, cristianizzato, schiavizzato, assimilato e sterminato. "Dare voce ai conquistati" e "dare voce agli obiettori di coscienza e disertori nelle file dei conquistatori" diventa un impegno comune, una voce comune.
Il Sud, nostro creditore; la questione del risarcimento
La "Campagna Nord-Sud", che insieme a diversi altri organismi ha contribuito a dare vita a questo incontro, ha da tempo capovolto l'approccio al tema classico del terzo mondo, quello del suo debito estero, con due scoperte copernicane: "pagare il debito finanziario fa male al terzo mondo e produrrebbe guasti che si ripercuotono anche sul Nord (distruggere ambiente per ricavare denaro danneggia anche noi), invece va ripianato con urgenza il comune debito ecologico, e sotto questo profilo il Nord ha debiti molto maggiori del Sud", e "il Sud è creditore del Nord" da molti punti di vista (persino finanziario, ma anche ambientale, sociale, culturale, lavorativo, sanitario, ecc.).
Di fronte alle celebrazioni oggi in vista, ed ai grandi eventi politici ed economici prima accennati, si pone con urgenza la questione dell'arresto di una politica, falsamente detta di cooperazione, e dell'esigenza di un sostanziale risarcimento che il Nord deve al Sud.
Come si può pensare che la Conferenza mondiale su "ambiente e sviluppo" non debba mettere al centro dei suoi lavori questo interrogativo? Quale negoziato, quale nuovo ordine mondiale può venir fuori tra forti e deboli, tra inquinatori ed inquinati, tra conquistatori e conquistati se non si parte dal riconoscimento della situazione reale - di debito e di credito, di torti e di ragioni - e non si decide di porvi rimedio? Che senso avrebbe la conferenza di Rio se, a 500 anni dallo sbarco degli europei in America, non sapesse gettare le basi di un nuovo ed assai diverso patto tra Sud e Nord?
Quando diciamo che il Sud è nostro creditore, non lo diciamo solo in termini morali (firmando così una modesta cambiale pagabile con qualche aggiustamento culturale verbale), ma anche in termini economici, monetari, finanziari, e diciamo da tempo che è nell'interesse anche delle popolazioni del Nord del mondo che il nostro debito venga pagato, per non spingere il Sud sulla via del massimo sfruttamento rapace delle sue risorse ed il Nord sulla via dell'ulteriore corsa al riarmo economico, tecnologico e finanziario. Non è solo questione umanitaria o ecologica o di giustizia, ma anche di salute e di benessere nostro. Aumentare i prezzi dei prodotti agricoli, soprattutto del Sud, pagare più care le risorse energetiche e le materie prime, interdire rigorosamente l'esportazione di rifiuti tossici e di prodotti chimici pericolosi, bloccare il traffico di armi, limitare la predazione dei mari, dei suoli e delle foreste del Sud da parte delle nostre industrie, far pagare caro l'inquinamento dell'atmosfera che viene dalle nostre industrie, dai nostri veicoli a motore e dai nostri riscaldamenti non significare regalare qualcosa al Sud, ma obbligare noi stessi a cercare vie più sostenibili per continuare a produrre, a scambiare, a trasportare, ad alimentarci, ad avere il necessario approvvigionamento energetico.
Questo anno 1991 si è aperto con la punizione esemplare di Saddam Hussein, la parte del Sud diventata più simile al Nord, e quindi più pericolosa. E' stato ribadito che è vietato minacciare ed invadere altri, che è vietato sterminare interi popoli (come i kurdi), che è vietato accumulare arsenali pericolosi a tutti: sacrosanti principi di un nuovo ordine mondiale.
Sappiamo come i movimenti terzomondisti fossero esitanti e divisi: nel Sud qualcuno faceva il tifo per Saddam Hussein (che era così poco convincente come campione del Sud), altri si mostravano indifferenti ed estranei, salvo forme grottesche di interventismo subalterno, di cui è simbolo l'aereo carico di soldati senegalesi pro-occidentali, precipitato durante il viaggio di rientro; nel Nord era diffuso l'imbarazzo tra due solidarietà altrettanto impossibili e la richiesta di un nuovo ordine mondiale post-blocchi, che si è dovuto constatare non ancora capace di affermarsi in modo pacifico e garantire la pace. Sui kurdi poi abbiamo sperimentato e spesso ci siamo associati ad invocazioni di eserciti di protezione, zone di sicurezza garantite dall'Ovest, di fronte alle migliaia e migliaia di morti "Sud-Sud". Come si vede, il nuovo ordine mondiale, invocato per ragioni diverse e talora contrastanti da molte parti, solo assai lentamente e contraddittoriamente riesce a farsi strada. E noi che qui parliamo della necessità di un nuovo patto Nord-Sud, a Rio de Janeiro, siamo consapevoli del rischio che questo nuovo ordine sia di nuovo autoritario e tecnocratico, anche se ammantato di ecologia: magari con le sue eco-tasse ed eco-compensazioni, e con i suoi diritti di polluzione, di prelievo, di crescita della popolazione, di pesca, di deforestazione, di stoccaggio rifiuti.... una sorta di borsa mondiale, dove tutto ha un prezzo (versione pacifica) o di poker politico-militare, dove vince il più forte ed impone le sue regole.
Perchè a Rio de Janeiro non si ripeta lo stesso copione, dobbiamo esprimere oggi un chiaro messaggio e fare del nostro meglio perchè si traduca in realtà: pagare il comune debito ecologico, a partire dal maggior debitore che è il Nord, e concordare le opportune politiche per risarcire i popoli e la natura del Sud dovrà essere, secondo noi, l'obiettivo primario della conferenza di Rio, ed è ciò che chiediamo alla Comunità europea ed ai nostri governi di portare avanti in quella sede. Ecco perché attribuiamo grande importanza alla presenza di voci non governative, dal Sud e dal Nord, in quella sede, ed ecco perchè pensiamo che - al di là di quel che la conferenza Unced sancirà, magari con un'operazione puramente cosmetica - oggi le relazioni Nord-Sud debbano essere impregnate da questi concetti. Ciò significa cambiare rotta perchè davvero "500 anni - di relazioni di dipendenza, di invasione, di omologazione, di spoliazione - bastano".
Parliamo di unificazione dell'Europa, ci si esorta a non dimenticare il Sud: guerra dei poveri tra Est e Sud? fortezza assediata? sviluppo "blindato"?
Oggi molti al Sud, soprattutto tra i governi e gli organismi di cooperazione, appaiono preoccupati che l'Europa occidentale e forse anche gli Stati Uniti d'America "dimentichino il Sud, perché si concentrano sui problemi dell'Europa dell'Est che esce dal periodo comunista. Ed in effetti: ancor prima che veniamo efficacemente chiamati in causa dal Sud, l'altra metà di noi europei - obbligata per anni ad una sorta di solidarietà coercitiva e parolaia verso il Sud, ed ora pericolosamente stufa di sentir parlare di terzo mondo - ci interpella: sembra prevalere, al momento, il tentativo di diventare rapidamente come noi, e addirittura la Corea del Sud, Singapore, Formosa vengono visti come possibili modelli!
E' difficile prospettare a questi altri europei la via classica della cooperazione, o anche quella da decenni predicata al Sud: sforzatevi, tirate la cinghia, lavorate, risparmiate, tagliate le spese inutili (cioè sociali), procedete sulla via degli aggiustamenti strutturali, entrate nel fondo monetario e presto sarete come noi. La maggior domanda di democrazia, di sviluppo, di un livello di vita "europeo" è ancor meno comprimibile che al Sud, ed al tempo stesso l'esplicita chiamata in causa della "casa comune europea" non permette all'Europa occidentale di liquidare la sua altra metà negli stessi termini che sono stati riservati al Sud del mondo. Gli immigrati che in numero via via crescente premono dal Sud e dall'est verso i paesi ricchi, sono - del resto - un pezzo di Est ed un pezzo di Sud direttamente in casa nostra. Si profila con chiarezza, anzi, è già iniziata, una "guerra tra poveri" che l'Est europeo ed il Sud del mondo (ed i loro rispettivi emigrati nei paesi occidentali) combattono e combatteranno per ingraziarsi maggiormente il Nord occidentale. Una politica delle briciole, dell'elemosina, dell'aumento dallo 0,40 allo 0,70% degli "aiuti allo sviluppo" è manifestamente improponibile.
L'unificazione repentina del mondo, dopo la caduta del muro Est/Ovest, ha immesso l'intera umanità in un sistema di vasi comunicanti. Generalizzare ed estendere a tutti gli stessi livelli di vita, di consumi, di sprechi, di inquinamento del Nord occidentale è palesemente impossibile - per ragioni ambientali molto prima che economiche o sociali.
Così ci troviamo di fronte ad una realtà nuova, ad un bivio molto chiaro:
a) o lo "sviluppo ineguale e blindato" del Nord, con marginali concessioni - magari differenziate - all'Est ed al Sud;
b) o un radicale "cambio di rotta" verso scelte di condivisione e di equità.
Oggi appare senz'altro più probabile il primo dei due scenari: il Nord continuerà a voler crescere e svilupparsi, facendo debiti sempre maggiori a carico del Sud, e della natura, e delle future generazioni, rimandano più in là possibile il pareggio dei conti o, meglio, la bancarotta. Più in là si rimanda il pagamento dei conti, più disastrosamente impagabili risulteranno.
Tale scelta, che oggi - ripeto - appare prevalente, non solo è insana dal punto di vista ecologico, e quindi del benessere della gente nel Nord, ed ingiustificabile dal punto di vista della giustizia; per essere attuata chiede anche un alto livello di militarizzazione e di isolamento rispetto al resto del mondo, chiede - sostanzialmente - nuovi e più forti muri, eretti dalle isole occidentali di sviluppo: pensiamo al rapporto (speriamo ora sull'orlo del cambiamento) tra Israele ed i suoi vicini interni ed esterni, pensiamo al confine tra Usa e Messico, o al "muro" che l'Italia ha eretto verso gli albanesi, per non dover sempre pensare solo al Sudafrica.
Ma dall'interno stesso del Nord si levano voci e movimenti sempre più consistenti per chiedere e proporre cambiamenti di rotta: vivere in una fortezza assediata, magari privilegiata, non è bello per nessuno e comporta grande precarietà; ad assediati ed assedianti conviene di più un'altra scelta, quella del risanamento, del riequilibrio, del risarcimento, della giustizia.
Noi vogliamo fare dell'"altro 1992" un'occasione per rivedere radicalmente il rapporto tra assediati ed assedianti, in una prospettiva di soluzione durevole ed equa, che non può basarsi semplicemente sugli odierni rapporti di forza, con un elevato rischio per entrambi. E sarà in questa direzione che anche i movimenti Nord-Sud hanno da dire la loro sull'unificazione europea, e sul nuovo ordine mondiale. Quale sia la nostra scelta, è ormai chiaro a tutti.
Con chi possiamo fare che cosa?
Visto che noi qui non rappresentiamo i governi e le istituzioni, ma siamo parte di variegati movimenti, dobbiamo individuare strumenti di intervento che non siano solo petizioni ai governanti o raccomandazioni alla Conferenze internazionali, ma anche attivabili direttamente dai cittadini.
Tra questi vorrei ricordarne solo alcuni, in conclusione, ed a titolo puramente di esempio, visto che i diversi gruppi di lavoro vi si dedicheranno con attenzione e competenza:
a) importanza crescente potranno assumere le nostre scelte sul piano dei consumi, e dell'uso dei risparmi: i modi in cui noi ci trasportiamo, edifichiamo, ci alimentiamo, ci vestiamo, ci arrediamo la casa, imballiamo le nostre merci, curiamo le nostre malattie... e affidiamo i nostri risparmi, ha un'incidenza immediata verso gli equilibri sociali e naturali tra Nord e Sud. Qui si apre un vasto campo per "cambiare rotta";
b) la nostra accresciuta attenzione, conoscenza e solidarietà verso i popoli indigeni del Sud, che appaiono oggi più visibili sulla nostra scena, ci può portare a valutare assai più positivamente - e quindi forse vedere come "aiuto al (nostro) sviluppo" - stili di vita, ritmi temporali, economie "di vita" (non di profitto), diversità culturali, patrimoni di sapienza, ecc., e rendere le nostre vite individuali e comunitarie più esposte ad una sorta di "penetrazione dal Sud";
c) crescente rilevanza possono avere dei "patti diretti", delle alleanze Nord-Sud, come per esempio l'"alleanza per il clima" o analoghi rapporti di cooperazione (sostenibile) diretta, tra comunità locali del Nord e del Sud, e con implicazioni dirette verso i nostri modelli di sviluppo e di vita: impegnarci a promuovere dei cambiamenti al Nord, in un rapporto diretto e reciproco tra Nord e Sud, è una strada che vale la pena esplorare e praticare di più. E perchè non praticarla a tre, tra interlocutori rispettivamente del Nord, del Sud e dell'Est?
d) gli immigrati che rappresentano la diretta sporgenza ed ingerenza del Sud (e dell'Est) nel nostro mondo, sono oggi anche il primo banco di prova di tutti i nostri discorsi sulla cooperazione equa e solidale e sul risarcimento, e possono diventare un importante "ponte" tra le nostre società e le loro comunità di provenienza. Perchè non spingerci coraggiosamente avanti in quella direzione? Sarebbe un contributo assai concreto ad un "altro 1992".
In chiusura: da 500 anni conduciamo, con intensità via via crescente, una "scoperta" che poi si trasforma in conquista e addirittura in sterminio verso i popoli indigeni del Sud. Da 200 anni circa conduciamo, con intensità via via crescente, un'analoga campagna di scoperta, di conquista e di sterminio verso la natura di cui siamo parte.
Per poter avere un futuro vivibile, è essenziale che noi diciamo "basta" - o che perdiamo queste nostre guerre: vincerle sarebbe esiziale anche per noi del Nord.
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