mercoledì 18 dicembre 2013

Verba volant (32): penultimo...

Penultimo, agg.

Probabilmente qualcuno di voi ricorda una vecchia barzelletta, che risale addirittura ai tempi della Guerra fredda. Kennedy e Krusciov decidono di incontrarsi per avviare il dialogo tra le due superpotenze; il summit va bene, i due si prendono in simpatia, si mettono a scherzare e il segretario del Pcus sfida il presidente americano a una gara di corsa. Kennedy non vorrebbe accettare, perché - data la differenza d'età - l'esito è scontato, ma Krusciov insiste. Come previsto, vince Kennedy e l'indomani la Pravda titola: "Krusciov secondo, Kennedy penultimo".
Il concetto di penultimo può essere relativo, sarà per questo che dei penultimi ci siamo sempre poco occupati. La sinistra ha cercato di difendere gli ultimi, a volte riuscendoci, a volte no - adesso ha smesso del tutto, per evitare brutte figure e preferisce occuparsi dei primi, al massimo dei secondi. Anche la chiesa cattolica predica di occuparsi degli ultimi, anche se - come noto - c'è chi predica bene e razzola male. Raramente l'attenzione cade sui penultimi, eppure sono moltissimi, anzi sono la maggioranza.
Io ho una pessima opinione dei capi del cosiddetto movimento dei forconi: nel migliore dei casi si tratta di personaggi in cerca di notorietà (con questi è facile trattare, basta garantire loro una certa quantità di ospitate televisive), ma nella maggioranza dei casi ho l’impressione si tratti di venduti a chi vuol far crescere in Italia l’allarme sociale. E infatti, non a caso, nelle file di questo pseudo movimento spontaneo ci sono molti ultras - ossia persone normalmente abituate a menar le mani al soldo dei presidenti delle squadre di calcio - che hanno messo la loro “professionalità” a disposizione di interessi ancora più torbidi. Ci sono quelli di Casa Pound e compagnia cantante, altra gente che da sempre pare essere sul mercato per le cose peggiori ed è disposta a tutto; come ben sappiamo, in questo paese, da piazza Fontana in poi, qualcuno che paga per certi servizi c’è sempre. Ci sono però in mezzo a loro - sono minoranza, sono loro i veri infiltrati - anche delle persone oneste, che non ce la fanno più. Questi non sono gli ultimi, ma sono appunto i penultimi, quelli di cui non si occupa nessuno.
Ricorderete certamente cosa è successo un paio di estati fa a Rosarno: i raid contro gli immigrati, le violenze di strada, i ferimenti che solo la buona sorte non ha trasformato in omicidi. Al di là delle infiltrazioni mafiose, che ci furono e in maniera pervasiva, lì si era combattuta una guerra non tra bianchi e neri, non tra italiani e africani, ma tra ultimi e penultimi. In quei giorni gli organi di informazione parlarono a lungo - anche perché d’estate non sanno mai cosa scrivere - delle drammatiche condizioni di vita degli stranieri, costretti a vivere in case fatiscenti, senza acqua ed elettricità, sfruttati dai caporali, sottopagati dai proprietari degli agrumeti, guardati con sospetto dagli altri cittadini: ecco questi immigrati sono un esempio molto chiaro di chi siano gli ultimi, a loro deve andare tutta la nostra solidarietà, ma vera, fatta di gesti concreti e non solo di parole. In quei giorni però non si è parlato abbastanza dell’altra Rosarno, la Rosarno dei penultimi, che registra alti livelli di disoccupazione e alti tassi di abbandono scolastico, che condivide con altre realtà della Calabria - e purtroppo di tutto il Mezzogiorno - un livello di crescita molto inferiore a quello delle regioni settentrionali; la Rosarno il cui Consiglio comunale è regolarmente sciolto per infiltrazioni della malavita organizzata, dove il potere reale è nella mani delle famiglie della ‘ndrangheta e dove lo stato è assente o è percepito come un nemico; la Rosarno che abbiamo visto nelle immagini dei telegiornali, fatta di brutte case, probabilmente abusive, dove l’agricoltura vive solo grazie ai sussidi dell’Unione europea. Senza risolvere i problemi della Rosarno dei penultimi, è impossibile neppure cominciare ad affrontare quelli della Rosarno degli ultimi.
E un discorso analogo si potrebbe fare per Prato, dove ci sono due città che non si parlano: la città degli ultimi, nascosta, che lavora giorno e notte, e vive notte e giorno in quegli stessi capannoni in cui lavora; e la città dei penultimi, degli artigiani che falliscono, perché non possono competere con i cinesi.
L’Italia è come Rosarno, è come Prato, e lo sarà sempre più - basta vedere cosa sta succedendo in Grecia - visto che a quella condizione ci vuole portare questo governo, per svendere ai loro ricchi amici quel poco di patrimonio che ancora ci rimane. Per essere come la Grecia abbiamo già un governo imbelle, di fatto commissariato dalle autorità finanziarie internazionali, un partito di centrosinistra corruttibile e piegato sui valori del liberismo, una privatizzazione strisciante dei beni pubblici; ci mancavano soltanto i fascisti nelle strade: adesso li abbiamo anche noi.
L’Italia è come Rosarno e come Prato e se ne vedono i segnali e le manifestazioni di queste giorni, con il loro carico di rabbia, di rancore, ci raccontano questo. Sono manifestazioni senza allegria e senza speranza, ed è la cosa che spaventa di più. Quando le risorse diminuiranno ancora - e sarà inevitabile - la lotta per accaparrarsi quel poco sarà ancora più violenta e non ci sarà solidarietà di classe, perché ultimi e penultimi continueranno a guardarsi con sospetto, anche perché non vengono più da diverse parti d’Italia, ma vengono da diverse parti del mondo e gli ultimi non parlano neppure italiano. Una volta avremmo usato le categorie di proletari e sottoproletari, ma pare non sia più di moda, anzi proprio quando l’economia è diventata l’elemento centrale delle nostre vite - molto più della politica - è venuta a mancare quell’idea di divisione in classi della società che serve a spiegarne le dinamiche. Allora usiamo altri aggettivi per provare a capire il mondo.
La sinistra ufficiale - quella che governa e quella che vuole governare, quella della coppia Letta-Renzi, per intenderci - ha deciso che non vuole occuparsi né di ultimi né di penultimi. Agli ultimi ci penserà la carità di papa Francesco, pensano questi due bravi scout cattolici; ai penultimi ci può pensare la polizia del servo sciocco Alfano, quando esagerano con le manifestazioni. Per il resto sono impegnati a garantire altri ceti e altri interessi. Devo dire che anche il sindacato - ovviamente quello ancora rimasto, e non i partitini di Bonanni e Angeletti - fa fatica a capire i penultimi e oscilla tra la difesa dei diritti degli ultimi e la tutela delle garanzie dei terzultimi - come siamo noi dipendenti pubblici.
Il problema è che queste distinzioni diventano sempre più sottili e, se non avremo la forza di cambiare, siamo destinati a raggiungere tutti l’ultima posizione.

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