domenica 29 giugno 2014

Verba volant (101): esame...

Esame, sost. m.

Exagmen in latino indica propriamente l'ago - o la lingua - della bilancia e quindi l'atto del pesare, ossia la verifica dell'equilibrio o della differenza dei pesi.
Da qui, per arrivare all'italiano, questa parola è passata a significare l'attenta osservazione e la ponderata considerazione di qualcosa o di qualcuno, al fine di conoscerne le qualità e di darne un giudizio.
Come noto, proprio in questi giorni, i giovani italiani sono sottoposti all'esame di maturità, prova dallo struggente valore simbolico.
Io ho fatto l’esame nel 1989: c'erano ancora l'Unione sovietica e il Muro di Berlino, e Achille Occhetto era segretario del Pci; nel giro di pochi anni tutte queste cose sparirono e finì il Novecento. Sono anche uno di quelli che fece l'esame "sperimentale". Infatti, fino al 1969, l'esame di maturità rimase sostanzialmente quello previsto dalla riforma Gentile del '23; subito dopo il Sessantotto, il democristianissimo ministro della Pubblica istruzione Fiorentino Sullo propose una riforma sperimentale dell'esame di maturità, che il legislatore avrebbe dovuto verificare e modificare nei due anni successivi, ma che è rimasta attiva fino alla riforma Berlinguer del '97, quasi trent'anni dopo.
C’erano due prove scritte: il tema per tutti e la seconda prova diversa per ogni indirizzo (al classico si alternavano con una certa regolarità le versioni di greco e di latino) e si portavano due materie all’orale, di cui una scelta dal candidato, tra le quattro indicate dal Ministero nel mese di aprile. Di fatto quella scelta dalla Commissione era indicata dal cosiddetto membro interno e quindi negli ultimi due mesi di scuola potevi concentrarti su due sole materie. Io feci il tema storico su luci ed ombre dell’età giolittiana. La versione di latino non andò molto bene: era un brano del Dialogus de oratoribus attribuito a Tacito. All’orale portai storia e greco. Andò molto bene: 58/60, allora si calcolavano i voti così, e non in centesimi, come adesso.
L’esame certifica davvero la maturità di un ragazzo? Non so, ma ho qualche dubbio.
Sono maturi i ragazzotti che in questi giorni stanno affrontando l’esame? Quelli che incontro in treno o in autobus direi proprio di no, ma probabilmente Zaira direbbe che sono soltanto un “vecchio barbogio”, che brontolo sempre e non mi va mai bene nulla; e credo lo direbbe con una qualche ragione.
A essere onesti, non lo eravamo neppure noi, alla loro età. Le femmine erano un po’ più mature di noi maschi, e immagino sia ancora oggi così: si tratta di un dato di evidenza scientifica, di mero darwinismo. Poi, più o meno, tutti siamo diventati maturi, la vita ci ha costretto a diventarlo, anche quelli che a scuola sembravano con la testa tra le nuvole. O quelli a cui gli insegnanti profetizzavano un futuro incerto e tribolato.
Ovviamente non c’è nulla di mitico nell’esame di maturità, è un ricordo bello perché avevamo poco meno di vent’anni e perché ha segnato, in qualche modo, un passaggio della nostra vita. Tra trent’anni chi ha fatto oggi l’esame avrà le nostre stesse nostalgie.
Credo che nessun giovane maturando leggerà questa voce del mio vocabolario e quindi mi posso lasciar andare a qualche riflessione pessimista e amara. Temo che questo esame sarà una delle ultimissime volte in cui i nostri ragazzi e le nostre ragazze saranno valutati davvero per quello che valgono.
In fondo l’esame è, a suo modo, democratico. Presto, quando cominceranno a cercare un lavoro, si accorgeranno, a loro spese, che il mondo reale non funziona esattamente così. Difficilmente qualcuno li esaminerà, valuterà quello che sanno fare o quello che potrebbero imparare. Le ragazze saranno valutate molto più per la loro bellezza che per la loro intelligenza: avere le gambe lunghe o un bel seno non è esattamente un segno di maturità. Molti dei maturandi di oggi troveranno un lavoro - quelli che lo troveranno - perché avranno conosciuto la persona “giusta” o perché un qualche “amico” - o peggio, un “amico degli amici” - si interesserà a loro.
Qualche fortunato se ne andrà da questo paese. So bene che non è tutto oro quello che luccica e che spesso all’estero non staranno meglio che qui, ma credo proprio facciano bene. Se avessi un figlio o una figlia, sarei contento facesse questa scelta.
Come noto, l‘ultima commedia di Eduardo De Filippo si intitola Gli esami non finiscono mai; è un titolo spesso citato, una frase diventata quasi proverbiale, ma si tratta di un testo poco letto e meno rappresentato, perché è un’opera dura, amara, cattiva a suo modo. Dice a un certo punto il protagonista Guglielmo Speranza:
Mi sono scocciato di sottostare alla legge del vivere civile che ti assoggetta a dire sì senza convinzione, quando i no, convintissimi, ti saltano alla gola come tante bolle d’aria.
Ecco: ai giovani che stanno facendo in questi giorni la maturità, auguro - di cuore - che vengano fuori questi no.

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