Sinceramente non ricordo un altro periodo della storia italiana in cui la sinistra sia stata così irrilevante, dal punto di vista culturale prima ancora che da quello politico. Siamo pochi e siamo storditi, non sappiamo cosa dobbiamo fare, neppure da dove cominciare.
L'esperienza della Lista Tsipras ci ha dato un po' di fiato, ci ha permesso almeno di riconoscerci, di incontrarci di nuovo - spesso ci eravamo persi di vista - perfino di attirare qualche nuovo compagno; però ci siamo fermati lì. E comunque per fortuna che ci abbiamo provato, che siamo riusciti a raccogliere le firme e a raggiungere il quorum; se non l'avessimo fatto, sarebbe molto peggio. Come era abbastanza prevedibile, dal giorno dopo, smaltita la fatica, ci siamo nuovamente dispersi.
So ovviamente che c'è una discussione in atto per capire come continuare quell'esperienza, come collegare le energie faticosamente emerse in queste settimane con i nostri tre europarlamentari, con il lavoro dell'intero gruppo, con lo stesso Tsipras, ma ho l'impressione che questa discussione sia come travolta da quello che avviene nel paese e soprattutto che non riesca a superare uno scoglio fondamentale, ossia quello del rapporto con il Pd. Siamo quattro gatti e siamo divisi su questo punto - e questa non sarebbe neppure una novità per la sinistra italiana - ma francamente credo che questo sia davvero un punto dirimente, che deve essere affrontato una volta per tutte.
Per molti compagni è impossibile immaginare la sinistra italiana senza il Pd o almeno senza una parte di quel partito, perché il Pd si dichiara di centrosinistra, perché il Pd ha aderito al Pse, ma soprattutto perché nel Pd ci sono ancora tante persone con cui abbiamo condiviso periodi più o meno lunghi di lotta, con cui ci siamo confrontati, a volte scontrati, ma che abbiamo comunque sempre riconosciuto come del nostro campo. E poi perché nel Pd ci sono dei simboli - Renzi direbbe dei brand - che ci sono cari, ad esempio le Feste. Inoltre bisogna riconoscere che nel Pd esiste un dibattito, spesso dai toni accesi, e che ci sono persone che stanno male in quel partito, eppure stanno lì, in maniera quasi masochistica.
A volte, leggendo i commenti di alcuni amici che stanno in quel partito - non solo semplici iscritti, ma militanti, dirigenti locali, persone con incarichi nelle istituzioni - sembra quasi che Renzi abbia vinto contro il Pd. Che sia una sorta di corpo estraneo al partito che lo ha inspiegabilmente occupato e che è destinato ad esserne espulso, come in una crisi di rigetto. Molti compagni della cosiddetta sinistra radicale aspettano questo giorno e pensano che sia possibile lavorare ai fianchi quel partito per far sì che quella data si avvicini. Vista la mia storia personale, mi piacerebbe pensare che sia così facile, ma sinceramente non lo credo.
Certo in questa ultimissima fase abbiamo assistito a un processo di personalizzazione per noi della sinistra inedito, per cui Renzi e il partito si identificano e si sovrappongono, ma questo non basta a spiegare la trasformazione del Pd, di tutto il Pd, in un sistema di governo delle istituzioni e della società. E' qualcosa che è cominciato prima di Renzi, di cui abbiamo anche noi - ultimi dirigenti dei Ds - una parte di responsabilità e che coinvolge tutti, anche gli anti-renziani. In quel partito non solo non c'è più un riferimento ideale, ma ormai è prevalsa la totale identificazione tra partito e governo, il partito esiste in quanto governa. Se l'elemento fondante diventa quello che tutti chiamano ormai governance, è naturale che le posizioni interne siano piuttosto fluide e quindi che un presunto oppositore, come Orfini, diventi uno strenuo difensore del segretario e che i parlamentari e i dirigenti vengano valutati unicamente in base della fedeltà alla linea, quanto non alla presenza televisiva.
In questa trasformazione un elemento fondamentale è la crisi, perché è la crisi che giustifica l'urgenza di decidere, di governare per gestirla. L'unico vero valore che tiene unito il Pd è ormai l'urgenza e questo giustifica tutto, dalle scelte di politica economica alle proposte di revisione della Costituzione. Il patto del Nazzareno non è preoccupante per quello che c'è scritto o per quello che non c'è scritto, ma perché già il fatto di averlo stipulato indica che l'orizzonte politico del Pd è la pratica del potere in quanto tale. E basta.
Questo spiega - anche al netto degli opportunismi - le tante conversioni, per cui ad esempio qui in Emilia i dirigenti che si dicevano dalemiani sono passati, armi e bagagli, con il rottamatore, che effettivamente l'unica cosa che ha davvero rottomato è stato il suo partito. Ma anche Civati nasce come democratico ed è figlio dello spirito da cui è nato Renzi: inutile sperare che da una persona con quella storia possa rinascere la sinistra. Civati è soltanto un Renzi che ha perso. Quindi, compagni, non illudetevi, non ripartiremo né da lui né da Cuperlo.
Come credo sia evidente io sono uno di quelli che pensa che la sinistra possa crescere in Italia solo fuori e contro il Pd. Magari con il Pd sarà più semplice trovare punti d'intesa su alcune questioni rispetto di quanto lo sia con gli altri partiti del centrodestra, ma in Italia la sinistra può essere solo alternativa al Pd.
Il tema non è secondario anche perché nella prossima primavera ci sarà una tornata importante di elezioni regionali e in particolare perché qui in Emilia-Romagna voteremo già nel mese di novembre, dal momento che Vasco Errani si è dimesso. Concedo che queste dimissioni siano arrivate in maniera inattesa, come un fulmine a ciel sereno, ma ho come l'impressione che qualcuno non se ne sia ancora reso pienamente conto. Ormai siamo in agosto, forse ce ne occuperemo dopo le meritate vacanze; va bene, non c'è fretta, probabilmente non avremmo comunque fatto in tempo ad organizzarci, anche se ricordo che sapevamo già che si sarebbe votato in primavera.
Anche se mi sembra che qualcuno - penso in particolare agli amici di Sel - abbiano già deciso, ci sono soltanto due possibilità: o si fa una lista di sinistra a sostegno del candidato renziano, per cercare di condizionarne l'azione di governo o proviamo a presentare un nostro candidato - o una candidata - partendo dal 4,07% che abbiamo preso alle europee. Naturalmente in questo secondo caso saremmo destinati alla sconfitta - eventualità a cui, come noto io non aspiro, perché mi piace vincere - ma continueremo quella lunga fase di costruzione che ci aspetta, se non vogliamo lasciare questo paese in mano ai rappresentanti del pensiero unico. Ovviamente io spero che sceglieremo questa seconda strda, anche se ho il sospetto che una parte considerevole di noi opterà per la prima. E quindi ci divideremo, rendendo le nostre forze ancora meno determinanti.
In Grecia, in Spagna, in Irlanda, ossia negli altri paesi europei in cui i rappresentanti del pensiero unico hanno governato con maggior violenza - e in cui quindi la crisi ha fatto maggiori vittime - una sinistra è tornata ad essere presente, dopo che il Pasok, il Psoe, i laburisti irlandesi hanno rinunciato di fatto a rappresentare questa parte dello schieramento, spesso dando vita a governi di coalizione con il centrodestra. Soprattutto, al di là dei risultati elettorali, in questi paesi la sinistra è un'opzione possibile, diversamente da quello che succede in Italia.
In questi paesi però il cammino è stato lungo, faticoso: a Syriza ci sono voluti più di sette anni per arrivare al risultato delle europee e la stessa Podemos ha cominciato da poco un cammino simile in Spagna, ma mettendo a frutto una parte del lavoro del movimento degli indignados, cominciato diversi anni fa. Un partito che nasce spontaneamente, già formato, come Atena dalla testa di Zeus, non esiste in natura, quindi non illudamioci qui in Italia, dove - facendo di necessità virtù - abbiamo messo i carri davanti ai buoi ed eletto dei parlamentari prima di avere un minimo radicamento sociale sul territorio. Il carro però adesso rischia di stare fermo, e i buoi con lui.
Al di là di quello che faremo alle prossime elezioni regionali, sia che decideremo di correre da soli sia che decideremo di stare fermi un giro - per me l'opzione di allearsi con il Pd non esiste e, nel caso, sarei fuori, tornando nell'oblio dell'astensione - credo occorra ricominciare, in ogni sede - qui in rete, come nelle piazze - a essere presenti, provando anche a collegarci ad altri movimenti, partendo sui due punti su cui credo la nostra azione possa avere più possibilità di parlare ad altri: la difesa della democrazia rappresentativa, oggi messa sotto scacco dalle riforme proposte dalla "larghissime intese" e difese - in maniera strenua quanto anticostituzionale - dal Quirinale; il considerare il lavoro come l'elemento fondante dell'economia.
Bisogna tornare ai fondamentali, anche perché ci stanno togliendo proprio questo.
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