Mela, sost. f.
Mèlon in greco antico significa frutto e quindi i pomi d'oro del giardino delle Esperidi - che furono la causa scatenante della guerra di Troia - non è detto che fossero proprio mele e forse non era proprio una mela quella che il serpente offrì ad Eva, con le conseguenze che sappiamo. La mela, anche per questa antica ambiguità semantica, è il frutto per antonomasia, quello che Guglielmo Tell riesce a colpire sulla testa del figlio e quello che, cadendo sulla testa di Isaac Newton, è alla base della scienza moderna; per tacere della mela di Cupertino. Vedete che di mele potrei parlare per ore - anche perché una mela al giorno... - ma in questo momento mi interessa una mela un po' particolare, di cui si parla spesso: la mela marcia.
In questo paese siamo convinti che, individuata in una cassetta la mela marcia - che il fruttivendolo aveva furbescamente ruotato per non farci vedere questo piccolo difetto - e gettatala via, potremo tranquillamente mangiare il resto delle mele. La storia più recente del nostro paese è in fondo questo continuo scoprire delle mele marce. Anche a proposito dell'ultimo scandalo che occupa le cronache - ossia la scoperta della cosiddetta Mafia capitale - c'è qualcuno che ha parlato di mele marce, sperando così di salvarsi la coscienza. Ho l'impressione che stavolta sarebbe meglio gettare tutta la cassetta, e magari cambiare definitivamente fruttivendolo. Vediamo un po' perché.
Uno dei protagonisti di questa vicenda è un tal Massimo Carminati, un fascista, già noto alla giustizia. In questi giorni un po' tutti i mezzi di informazione hanno "scoperto" che Carminati era un fascista, un terrorista nero, chiamandolo proprio così. Mi fa piacere: io quelli della sua risma li ho sempre definiti fascisti, anche se spesso i benpensanti storcevano il naso quando usavo questa parola. Quante volte mi sono sentito ripetere: usi ancora quella parola? come sei antico, sei proprio legato a vecchi schemi del Novecento; il fascismo non esiste così, e caz..te del genere. E così, a forza di minimizzare, a forza di dire che i fascisti non c'erano più, abbiamo abbassato la guardia e adesso i fascisti ce li ritroviamo tra i piedi, con gli interessi.
A fianco di Carminati c'è un tal Salvatore Buzzi che viene invece dalla sinistra estrema, anche lui passato per la galera. Questo Buzzi è importante perché a capo delle attività "legali" del gruppo, come dirigente di una cooperativa di ex-detenuti. A me interessa relativamente sapere con chi questo Buzzi abbia pranzato e cenato, ma vorrei chiedere a qualche amico cooperatore se a loro sembrava normale che una cooperativa sociale di tipo B - e che impiega ex-detenuti - fosse arrivata a fatturare 60 milioni di euro. Per lo più le cooperative di questo tipo e con queste caratteristiche galleggiano, invece quella di Buzzi prosperava. Agli amici della Legacoop non è mai venuto un dubbio? O magari a loro bastavano quelle cifre, perché facevano aumentare le statistiche, dimostravano un fatturato florido, davano lustro al sistema cooperativo. Forse anche in questo caso abbiamo abbassato la guardia, perché abbiamo cominciato a considerare le cooperative non per gli scopi per cui sono nate, ossia uno strumento per chi lavora di avere in mano il proprio futuro e un modello per la società di un modo diverso di essere impresa, ma come aziende sostanzialmente uguali alle altre, magari meno controllate e certamente meno tassate. Non è per questo che la cooperazione è nata e per cui tanti si sono battuti. Se la forza di una cooperativa la si misura solo in base al fatturato che produce, allora ha ragione Buzzi, è meglio rimetterlo in libertà, con tante scuse.
Poi questa vicenda dovrebbe farci riflettere su alcuni altri punti. Tutti maleodoranti.
Da anni quelli che capiscono ci stanno spiegando, fino allo sfinimento, che lo Stato non è in grado
di gestire i servizi, che la gestione pubblica è foriera di sprechi e di
ruberie, e quindi che il privato è la soluzione salvifica di tutti i
mali. Evidentemente non è così, anzi proprio nel sistema, sempre più ramificato, della gestione
degli appalti e dei subappalti dei servizi si è annidata
una fauna di grassatori che ha lucrato, a spese della
colletività. In questi anni la spesa pubblica è
aumentata, mentre sono diminuiti sia la spesa per il personale - noi dipendenti pubblici siamo sempre meno e sempre meno pagati - sia i servizi
offerti ai cittadini: qualcosa non torna. Questo sistema ha creato un plusvalore notevole, ed è abbastanza chiaro
dove siano andati a finire tutti quei soldi: non certo ai
lavoratori delle imprese e delle cooperative - anche quelle oneste -
spesso sfruttati e con paghe risibili; gli utili sono finiti tutti nelle tasche di chi ha gestito
quei servizi, anche quando non si tratta di delinquenti, come nel caso
romano. E' tutto questo sistema che è stato costruito solo per arricchire
alcuni, a discapito dei cittadini e dei lavoratori.
Alcuni, anche piuttosto rumorosamente, chiedono le dimissioni del sindaco Marino. Per anni abbiamo discusso sulla necessità di separare il ruolo dei politici da quello dei tecnici. E così ad esempio in tutti i Comuni italiani - compreso quello di Roma - è il Segretario generale responsabile di redigere il Piano triennale di prevenzione della corruzione e di verificarne la piena attuazione - me l'ha ricordato la mia amica Lea, che fa il Segretario generale. Si tratta naturalmente di una norma barocca ed inutile, che infatti non ha bloccato nessuna attività illecita, ma ha soltanto reso più complicato portare avanti l'ordinaria amministrazione di un ente locale. Oggi però nessuno chiede le dimissioni del Segretario generale del Comune di Roma, che evidentemente non è stato proprio così vigile. La risposta per combattere il verminaio deve venire dalla politica, anche se questa risposta deve essere qualcosa di più radicale rispetto a un rimpasto di giunta o alla nomina di un assessore alla trasparenza, uno in più da mettere a libro-paga per gli amici degli amici.
Personalmente non ho particolare simpatia per Marino - è uno del Pd e a me quelli del Pd non stanno particolarmente simpatici, a prescindere - però Marino è uno dei pochi che le elezioni le ha vinte e quindi governa in maniera legittima. Io credo che dalla crisi in cui si è infilato il nostro paese si debba uscire attraverso una riaffermazione della democrazia - che invece Napolitano e Renzi stanno sistematicamente riducendo - e quindi credo che costringere alle dimissioni Marino sia un atto che comprime ulteriormente la democrazia e per questo sono contrario. Non è un caso che prima che scoppiasse questo caso, fosse proprio Renzi - attraverso i suoi guardiaspalle e i suoi tirapiedi - a chiedere le dimissioni del sindaco di Roma, perché il suo obiettivo - o meglio l'obiettivo di quelli che lo usano come un fantoccio - è quello di accentrare il potere sull'esecutivo, a scapito del parlamento e delle autonomie locali. Adesso evidentemente Marino serve a prendersi gli strali dell'opinione pubblica, e quindi viva Marino.
Però il problema è capire chi sceglie chi. Marino è un'invenzione che si è imposta grazie alla sua notorietà, peraltro acquisita in un campo molto diverso dalla politica. Gli altri chi li sceglie? In un partito vero - quelli che c'erano una volta - non si arrivava improvisamente in segreteria nazionale, era un percorso lungo - spesso troppo lungo e logorante - ma che aveva una sua logica. Il problema è che una come Micaela Campana sia in parlamento e nella segreteria nazionale del partito di maggioranza, senza aver fatto un minimo di gavetta, senza che nessuno la conosca; e quindi è naturale che mandi sms più o meno affettuosi a quelli che l'hanno sostenuta, che in questo caso purtroppo sono delinquenti. In altri casi possono non essere delinquenti, ma rappresentare interessi particolari, che poco o nulla hanno a che fare con il partito. Il problema è capire, dopo aver distrutto il partito, attraverso quali meccanismi si seleziona un gruppo dirigente: in alcuni casi è mera fortuna, l'essere al posto giusto al momento giusto o magari avere gli occhi blu, in altri casi il percorso è più opaco. Adesso Renzi e i renziadi scoprono che a Roma non c'è più un partito e si lamentano; e mandano il prode commissario. Signori, siete voi - compreso il commissario - che l'avete smantellato, adesso è un po' tardi per lamentarsi.
Proviamo a non far finta, anche stavolta, che sia sola una mela marcia.
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