Anniversario, sost. m.
Ormai partecipo con sempre maggiore angoscia al ricordo di questi giorni di dicembre, degli anniversari della strage di piazza Fontana e dell'uccisione di Pinelli. Sarà che il tempo passa e quindi anch'io invecchio come quegli avvenimenti, che si perdono nella memoria delle persone. Ma soprattutto perché mi sembra, ogni anno di più, che "loro" abbiano vinto.
E' stato un colpo, ad esempio, la scoperta che uno come Carminati, un pezzo di quella feccia fascista che allora lo stato usava per mettere le bombe, sia diventato una delle persone più importanti di questo paese, capace di influenzare la politica nazionale, in grado di tenere rapporti con il mondo economico "rispettabile", da pari a pari. E' il segno che quella vigilanza democratica, che ci eravamo ripromessi di tenere dopo la stagione delle bombe neofasciste, si è via via allentata.
Riguardando alle vicende di questi anni poi non posso non notare, con imbarazzo, che alla fine nessuno ha pagato i conti con la giustizia, né per la strage né per l'omicidio di Pinelli. L'unica persona che ha scontato una pena molto dura per i fatti legati a quegli anni di sangue è stato uno che è stato giudicato ingiustamente colpevole del delitto di Luigi Calabresi. Tra molti anni credo che questo paese dovrà essere grato ad Adriano Sofri, non solo per le cose che ha scritto in tutto questo tempo, ma soprattutto per la sua decisione di accettare una pena ingiusta e di viverla fino in fondo, traendone anzi motivo per una rinnovata battaglia culturale e politica a favore dei poveri cristi che marciscono nelle galere italiane. Questa frattura così profonda tra quello che sappiamo - praticamente tutto - su ciò che è avvenuto in quegli anni e quello che la giustizia è riuscita effettivamente ad appurare, con il necessario seguito di condanne, diventa un elemento molto duro da accettare.
Forse riusciremmo ad accettare queste ingiustizie così palesi, se almeno la consapevolezza di quello che è successo ci fosse servita a cambiare la situazione. Invece sento che le cose che abbiamo detto in questi anni non sono servite a nulla, se oggi ci costringono a lottare per diritti che non erano riusciti a toglierci allora. Quest'anno il 12 dicembre molti di noi sono scesi in piazza per difendere non tanto l'art. 18, che comunque questo governo ha definitivamente abolito, dopo che quelli precedenti lo avevano via via svuotato, ma soprattutto il valore insito nel primo articolo della nostra Costituzione, che è qualcosa di progressista - se proprio vi fa schifo definirlo di sinistra - ossia che il lavoro è l'elemento fondante della democrazia, e quindi della libertà. La strage del 1969 e quelle che sono venute dopo - almeno fino alla strage della stazione di Bologna - hanno rappresentato il tentativo della reazione - poi provo a spiegare cosa intendo con questa parola - di impedire che la Costituzione entrasse finalmente nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro. E' del 1970 l'approvazione dello Statuto dei lavoratori, che è stata la risposta democratica alla strage di piazza Fontana. Adesso, dopo 44 anni quello Statuto ha perso molta della sua efficacia, non solo perché è stato abolito l'art. 18, ma perché si è intervenuti su due elementi essenziali, come il demansionamento e il controllo a distanza.
Al di là dei toni spesso molto aspri con cui mi rivolgo al presidente della Repubblica, al governo e al partito di maggioranza, non voglio fare caricature, come troppe volte sento fare e che alla fine servono solo a rinforzare il loro potere, non sempre legittimo. Però devo dire - con altrettanta fermezza - che tutti loro si sono fatti portavoce di quelle stesse forze reazionarie che in quegli anni hanno messo le bombe a Milano, a Brescia, a Bologna.
Come noto, nella spartizione delle sfere di influenza seguita alla fine della seconda guerra mondiale, l'Italia fu "assegnata" agli
Stati Uniti. La Democrazia cristiana era il partito che garantiva questo equilibrio
internazionale e in maniera naturale i conservatori italiani accettarono di
delegare la loro rappresentanza politica a questo partito, che pure
aveva caratteristiche anomale rispetto agli altri partiti del
popolarismo europeo. E' altrettanto noto che in Italia si organizzò, oltre a
questa destra "visibile" e istituzionale, una destra "invisibile", che in
diverse occasioni mise sotto tutela le istituzioni, specialmente quando
si registravano tentativi di riformare una società che si sarebbe
voluta sempre più statica: le stragi, così come l'omicidio di Pier Paolo Pasolini, la connivenza con le
Brigate rosse per favorire la morte di Aldo Moro, sono tra le pagine più
tristi di questa storia della peggiore destra italiana. In sostanza ogni
tentativo di cambiamento, sociale prima che politico, fu immediatamente
tarpato da questo potere oscuro. Negli anni Settanta la società italiana stava cambiando, stava diventando più matura, poteva diventare più democratica, ma sono arrivate le bombe.
Adesso quel percorso si è in qualche modo chiuso, perché le forze della reazione - ossia chi ha il potere economico e cerca di mantenere i propri privilegi, quella
classe fatta di industriali e di grandi burocrati, di banchieri, di agrari e di rentiers, insomma di conservatori e di ricchi di ogni sorta - hanno avuto la meglio, hanno vinto su tutta la linea. L'ideologia ultraliberista è ormai diventata il comune
sentire delle nostre opinioni pubbliche. Quante volte abbiamo sentito
dire che la crescita dei
mercati azionari è un dato positivo? Certamente è un dato positivo per chi
possiede delle azioni, per i padroni di quelle aziende, ma non lo è per chi lavora in quelle stesse
imprese. Il mondo si sta sempre più polarizzando tra i pochissimi che
hanno molto e i moltissimi che hanno poco e i primi, in Italia, in
Europa, negli Stati Uniti, controllano sempre più direttamente il
governo, cercando naturalmente di conservare, e possibilmente di
aumentare, le proprie ricchezze e i propri privilegi. Per essere più forti hanno bisogno che saltino alcune delle regole, ad esempio quelle dettate dallo Statuto dei lavoratori; per vincere definitivamente hanno bisogno che il lavoro sia espulso dalla Costituzione. Quando l'attuale presidente del consiglio si inchina di fronte agli imprenditori "eroi" e dice che devono avere il diritto di licenziare, ormai la partita sembra vinta, tanto più perché quel presidente del consiglio è anche il segretario del maggior partito di centrosinistra, ossia di quella forza politica che dovrebbe tutelare proprio i lavoratori. Per questo non hanno più bisogno di chiedere ai fascisti amici di Carminati di mettere le bombe e ai loro servi dei servizi segreti di coprire e di depistare.
Ovviamente non ci arrendiamo - anzi il successo dello sciopero gnerale come quello della manifestazione della Cgil del 25 ottobre scorso ci infondono una qualche rinnovata speranza - però ogni anno, ad ogni anniversario diventa sempre più difficile, non solo perché noi siamo più vecchi, ma perché la memoria pare affievolirsi. Non glielo possiamo permettere.
un triste ricordo!
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