Costringere, v. tr.
In questi giorni - vi dirò poi perché - mi è tornata improvvisamente in mente un'espressione che sono sicuro di aver sentito diverse volte quando ero molto più giovane. Allora - sto parlando dell'Emilia-Romagna nella seconda metà del Novecento - se qualcuno veniva licenziato, perché era un lavativo o perché era palesemente inadeguato per il lavoro per cui era stato assunto, si diceva che il suo padrone era stato costretto a licenziarlo. Ecco vorrei soffermarmi su quel verbo - costringere - usato significativamente nella forma passiva.
Chi costringeva quel padrone a licenziare quel suo operaio incapace? Ovviamente nessuno, licenziare era un suo diritto - ora come allora - ma evidentemente quel licenziamento veniva sentito da quel padrone, in quel tempo, in quella particolare condizione sociale, come una ferita, come qualcosa che in qualche modo lo danneggiava. Da qui l'uso del verbo costringere, che costituisce davvero una strana coppia con il verbo licenziare, che ha in sé l'idea etimologica di libertà, di arbitrio.
Quel licenziamento era una ferita anche per il padrone, perché quel lavoratore - come tutti i lavoratori - della sua azienda, piccola o grande che fosse, era una sua risorsa, anzi la sua risorsa più preziosa, perché dalla capacità di lavorare di quell'operaio dipendeva la fortuna della sua azienda e quindi anche sua. E ovviamente un lavoratore bravo era un lavoratore che era stato formato, e quindi erano servite risorse per quella formazione e, se poi veniva licenziato, quella formazione era stata inutile, erano soldi gettati al vento. Un padrone allora non era soddisfatto di licenziare un suo dipendente, magari era contento di togliersi di dosso un rompicoglioni, ma un licenziamento era una misura che in qualche modo rappresentava una sconfitta anche per quell'impresa. Per ovvie ragioni io mi riferisco a una realtà di aziende piccole e piccolissime, di realtà artigiane, così diffuse nella nostra terra e anzi - come è stato ampiamente mitizzato negli anni successivi - vero motore della ricchezza di questo territorio. C'era un riconoscimento del valore del lavoro che in qualche modo univa le classi, pur sapendo che ciascuno aveva un proprio ruolo nel conflitto di classe, che c'era allora, come c'è oggi.
E quell'idea teneva in piedi un sistema di produzione antica, assolutamente old economy, secondo gli attuali parametri. Curiosamente lo stesso avviene ora nella new economy. Ho un amico che è il padrone di un'azienda di questo settore, un'azienda che non produce niente, che non fa delle cose, ma sviluppa idee. Ora questo mio amico un po' si incazza se viene definito padrone ed effettivamente credo che riesca a sopportare questo mio testardo uso di un lessico novecentesco solo perché è mio amico. Lui mi spiegava che nella sua azienda il saper fare è l'elemento chiave e quindi assumere è più importante che licenziare, perché un'assunzione è un investimento, mentre un licenziamento è una perdita. Ho fatto questo riferimento perché, ad ascoltare qualche narrazione - come si chiamano adesso le ideologie - sembra che sia moderno poter licenziare, mentre moderno è avere la capacità di assumere, è saper assumere e soprattutto saper spendere risorse per formare chi è stato assunto, sperando che quella persona reimpieghi quelle risorse, quelle sue capacità, quei suoi talenti, dentro l'azienda e non da un'altra parte.
Adesso vi spiego perché mi è venuta in mente questa definizione. Una di queste mattine, mentre mi preparavo per andare al lavoro, è passato in radio uno spot per magnificare gli effetti del jobs act. Sorvolo sul fatto che questo spot istituzionale sia passato immediatamente prima di quello di un noto lassativo che, per quanto dolcissimo - come recita un fortunato e storico slogan - quello deve fare. Comunque non mi scandalizza tanto la propaganda - la fa ogni governo, l'ho fatta anch'io, quando facevo un altro mestiere - quanto mi ha colpito lo slogan dedicato alle dimissioni telematiche: "rapide, semplici, sicure". Proprio come l'Euchessina. Tutto il jobs act, ossia uno dei punti più qualificanti - a sentir loro - dell'azione del governo, era ridotto a questa facilità di licenziare.
Questa enfasi sulla possibilità di licenziare, quello spot da ascoltare in maniera distratta, mi sembra che racconti meglio di qualsiasi testo sociologico cosa è diventato il lavoro in Italia, quanto sia stato svilito il saper fare bene qualcosa - che sia un carburatore o un sito web poco importa - così come quella frase - è stato costretto a licenziare - riesca a descrivere un'altra Italia, l'Italia che - pur con grandissimi limiti - ha saputo inventarsi un futuro dopo un lungo periodo di miseria terribile. Non ho fiducia che torneremo a quel lessico lì, ma francamente mi pare l'unica strada possibile.
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