mercoledì 4 maggio 2016
Verba volant (270): solidarietà...
Solidarietà, sost. f.
Forse la notizia in questi giorni vi è sfuggita. Una trentina di migranti accolti in una struttura a Reggio Emilia hanno protestato davanti alla questura della città emiliana per lamentarsi della scarsa qualità del cibo servito dagli operatori che gestiscono quella struttura. Un politico locale ha criticato questa protesta, dicendo che lamentarsi significa "sputare sulla nostra generosa ospitalità". Ha rincarato la dose, spiegando che "l'unica risposta che avrei dato a una protesta del genere è un sonoro calcio nel culo, altro che delegati e dialogo", criticando implicitamente il questore che aveva ricevuto alcuni rappresentanti dei rifugiati, impegnandosi a verificare la vicenda e la fondatezza delle loro rimostranze.
Quel politico è un esponente locale del pd, ma in fondo questo conta assai poco - il mio pessimo giudizio su quel partito non peggiorerà certo per questo episodio. Al di là di qualche reprimenda di maniera, più per l'opportunità che sul merito delle cose dette, immagino che quel tipo non pagherà dazio per queste sue affermazioni, perché ha espresso quello che hanno pensato in tanti leggendo quella notizia, anzi ha espresso un'opinione largamente diffusa nella nostra società, indipendentemente dalle opinioni politiche o dal credo religioso, l'idea di una maggioranza molto ampia, anche con una volgarità che è ormai dilagante e permeante. Quel tale è stato meno ipocrita di tanti altri che hanno fatto lo stesso commento, e nessuno di loro si è preso la briga di mettersi un momento a pensare a quello che diceva, a cosa rappresentano quelle parole, che idea del mondo rispecchiano. E infatti il nostro paese fa largamente schifo.
Non entro nel merito della vicenda, che non conosco. Ricordo soltanto che quella cooperativa ha già avuto problemi per un uso, diciamo, disinvolto dei fondi assegnati per la gestione dei centri per i rifugiati. Credo - per quel poco di esperienza di ristorazione collettiva che ho - che incassando dallo stato 33 euro a persona, a giorno, si possa gestire in maniera adeguata, oltre agli altri servizi, una cucina, garantendo proposte variate e di qualità. Mi pare che per troppi soggetti - mi vengono in mente anche alcuni albergatori della mia città, che magari dicono di votare Lega e che la domenica non si perdono una messa - questa presenza dei rifugiati sia un affare lucroso, che impegna poco le loro scarse qualità imprenditoriali.
Il tema però è quel "calcio in culo" che tanti - la maggioranza - vorrebbero sferrare a quei rifugiati "ingrati". Ci pensavo confrontando questa storia con le vicende raccontate dal film I compagni di Mario Monicelli. Di questo film ho già parlato - lo so - ma offre così tanti spunti che credo ci tornerò su altre volte. Tutta la storia, ambientata nella Torino operaia di fine Ottocento, è punteggiata dalle collette organizzate da quegli operai, per aiutare un loro compagno che ha perso una mano, per sostenere un altro che è stato sospeso, per mantenere la famiglia di un altro ancora che è stato messo in carcere e così via. Per quasi tutto il film vediamo Omero, il più giovane degli operai, girare con il cappello tra i colleghi per raccogliere i soldi delle collette. Non erano più buoni di quanto lo siamo noi - o forse lo erano, ma non è questo il tema - è che sapevano benissimo che in quel tempo quelle collette erano l'unico aiuto che potevano ricevere e quindi dare oggi un qualche soldo per un compagno in difficoltà, e quindi fare un sacrificio perché la miseria era nera per tutti, significava poter ricevere qualcosa domani, quando loro avessero avuto bisogno. La solidarietà è semplicemente questa cosa qui, non bisogna essere dei santi per aiutare gli altri, basta essere uomini, con tutti i nostri limiti, con tutti i nostri difetti. Quegli operai organizzano una colletta anche per la famiglia dell'operaio siciliano, così diverso da loro - anche fisiognomicamente - su cui pure le loro opinioni non sono affatto benevole, su cui hanno dei pregiudizi, che sfiorano il razzismo. Erano i siciliani allora quelli che vengono a rubarci il lavoro. Quelle donne e quegli uomini erano ignoranti, molti di loro non sapevano né leggere né scrivere, però intuivano un concetto che noi, con tutte le nostre filosofie, non riusciamo più a ricordare, ossia che i poveri si salvano solo se stanno insieme, solo se si aiutano, anche quando non si stanno reciprocamente simpatici.
Poi è vero che adesso c'è il welfare, ci sono i servizi - che noi finanziamo con le nostre tasse, quelli che le pagano - e non possiamo anche farci carico personalmente di aiutare tutti quelli che arrivano qui. Poi è vero che non possiamo aiutare tutti. Poi è vero che tra quelli che arrivano qui ci sono dei delinquenti, degli scansafatiche, dei perdigiorno. Ci sono molte ragioni per essere egoisti, ciascuno di noi è bravissimo a giustificare la propria grettezza. Però la vera questione è che noi non siamo poveri, non lo siamo più - o non lo siamo ancora - mentre quei "negri" che rifiutano la "nostra" pastasciutta, dicendo che è scotta, sono poveri, molto poveri. E questa non è una buona ragione per prenderli a calci in culo.
Naturalmente noi continueremo a fare schifo, a guadagnare su quei poveri che pure diciamo di non volere, e insegneremo loro a essere meschini come siamo noi, insegneremo loro a odiarci, e sarà giusto che ci odino. Quando ci prenderanno a calci in culo non dovremo protestare, perché glielo abbiamo insegnato noi.
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meno male che il questore ha dimostarto buon senso perchè scevro da pregiudizi in un senso o nell'altro.
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