martedì 26 giugno 2018

Verba volant (538): felicità...

Felicità, sost. f.

Erodoto racconta che il vecchio e saggio Solone, dopo aver cambiato in maniera profonda le leggi di Atene, partì per un lungo viaggio con l'obiettivo di conoscere il mondo. A dire il vero Solone voleva soprattutto allontanarsi dalla sua città, perché aveva imposto agli ateniesi di non cambiare quelle nuove leggi per almeno dieci anni e questo sarebbe stato più semplice se egli non fosse rimasto.
Visitò molte terre, conobbe molte persone, filosofi e sovrani, uomini del popolo e sacerdoti. Giunto in Lidia, un grande regno che occupava le terre della parte occidentale dell'attuale Turchia, il re Creso volle incontrarlo. Era uno degli uomini più ricchi del suo tempo, era un re molto potente, ma voleva che Solone riconoscesse non queste cose, che erano scontate e banali, voleva che lo considerasse felice, anzi voleva essere considerato l'uomo più felice della terra. Per questo fece condurre Solone nei suoi vasti palazzi, gli fece vedere tutti i suoi tesori, e quando finalmente chiese al saggio venuto da Atene chi fosse l'uomo più felice del mondo, rimase sorpreso quando si sentì rispondere: "Tello, cittadino ateniese". Chiese chi fosse questo Tello, che non aveva mai sentito nominare. E Solone gli rispose che si trattava di un ateniese che aveva vissuto onestamente, che aveva avuto dei figli e che li aveva tutti visti crescere e che infine era morto combattendo per la sua città. Un uomo assolutamente comune. Creso rimase deluso dalla risposta di Solone e lo congedò senza tante cerimonie.
Il re della Lidia pensò che Solone volesse semplicemente contrapporre un uomo comune a uno potente. E non ci pensò più fino a quando non fu sconfitto da un re più potente di lui, a cui aveva incautamente dichiarato guerra. Ciro, il re della Persia, catturò il suo nemico e lo condannò a morte, ma quando il rogo cominciò ad ardere, Creso invocò il nome di Solone. Ciro, incuriosito, fece spegnere il fuoco e chiese a Creso la ragione di quella strana invocazione in punto di morte e questi gli raccontò l'episodio avvenuto tanti anni prima, dicendo che solo allora aveva capito cosa l'ateniese gli volesse dire. Ciro gli salvò la vita e tenne Creso come suo consigliere, ma l'uomo che un tempo era stato re non aveva capito davvero. Aveva capito, ancora una volta, quello che importava a lui.
Quello che Solone voleva dire è che la felicità è un paradosso, perché è un caratteristica della vita che richiede la scomparsa della vita per esistere. E infatti télos nella lingua dei greci significa a un tempo perfezione e morte. E quindi siccome la felicità è qualcosa che rende l'uomo perfetto, occorre aspettare la morte per raggiungerla.
In queste parole di Solone c'è tutto quello per cui molti di noi amano la Grecia antica, ossia l'amore per la logica, per il ragionamento razionale, e il rifiuto di una felicità effimera, materiale. Ma c'è anche in più un'incredibile eleganza stilistica, perché in questo modo Solone ci dice in maniera obliqua quello che ci farebbe troppo paura se espresso in maniera diretta: che la felicità non esiste.

1 commento:

  1. Caro Luca mi è piaciuto il tuo articolo. Ma devo chiederti Télos ha lo stesso significato di Telòs? Non sono un grecista ne un latinista. La mia cultura non è classica e nemmeno professionale. Sono un semplice cittadino comunista e antispecista che ritiene di trovare qua e la la felicità in singoli momenti della vita quotidiana su questo pianeta. E ritengo che possa essere così anche per altri. Pertanto non smetto di cercarla. Non voglio aspettare la morte per "non trovarla".

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