Vino, sost. m.
I greci antichi hanno fatto molte concessioni ai loro dei, che potevano essere fedifraghi, invidiosi, vendicativi, irosi. I greci non pretendevano che i loro dei fossero migliori di loro, anzi a volte preferivano fossero peggiori di loro. Eppure quegli dei, a cui è consentito fare tante cose, che sono così umani, non mangiano e bevono le stesse cose che mangiano e bevono gli uomini. Gli dei e le dee quando sedevano nei loro banchetti mangiavano ambrosia e bevevano nettare. Non sappiamo ovviamente cosa fossero questi due prodotti, non lo sapevano neppure i greci, tanto che a volte il nettare è descritto come qualcosa che si mangia e l'ambrosia come qualcosa che si beve. Naturalmente anche gli dei possono mangiare il pane e bere il vino, ma per farlo devono diventare uomini.
Bere vino è evidentemente un privilegio che non è concesso agli dei. Odisseo nei sette anni in cui rimase nell'isola di Ogigia, "prigioniero" di Calipso, poté fare l'amore con la dea, ma volle sempre mangiare e bere solo cibi "umani" - e ovviamente il vino di quell'isola del Mediterraneo, che doveva essere buonissimo - perché se avesse toccato l'ambrosia e il nettare che Calipso tentava di offrirgli non sarebbe più potuto tornare a Itaca.
E così quando i greci dovettero creare un dio per il vino ne crearono uno strano, irregolare, dalla sessualità e dalla natura estremamente incerte. Dioniso non era affatto la paciosa divinità che vediamo in tanti quadri, un uomo maturo, alticcio, seduto su una botte, con in testa una corona di foglie di vite. Era un dio lunare e misterioso, nato con le corna e le chiome fatte di serpenti, capace di trasformarsi in serpente, leone e toro. Era il dio capra: quando i cristiani vollero dare un'immagine al diavolo pensarono a Dioniso. Era un dio molto giovane, dai tratti efebici, cresciuto in mezzo alle donne e che per questo sembrava una ragazza. Ma soprattutto è un dio guerriero, capace di essere crudele, che impone il suo culto e la coltivazione della vite con la forza delle armi; Dioniso è un dio viaggiatore, raggiunge l'Africa, l'Asia, arriva fino in India, percorre tutta la Grecia, lasciandosi dietro una scia di vittime, ma donando anche la vite. Fu l'unico che si conquistò il suo posto nel concilio degli dei, un posto che gli venne ceduto dalla mite Estia, ma che il dio aveva ottenuto viaggiando per il mondo allora conosciuto e combattendo.
Dioniso aveva un seguito di donne, di sacerdotesse, le Menadi, che gli uomini temevano forse più dello stesso dio. Le accusavano di essere invasate, pazze, le consideravano streghe: quello che fanno sempre i maschi, in ogni latitudine e in ogni epoca, quando temono la forza delle donne, specialmente delle donne che sanno dimostrare la loro indipendenza. Dioniso era il dio della luna e quindi delle donne, destinato a essere sconfitto da Apollo, il dio del sole e dei maschi.
Ma Dioniso riuscì a sopravvivere, perché dai canti in suo onore nacque la tragedia - etimologicamente il canto del capro - e quindi divenne anche il dio del teatro, della finzione, della rappresentazione, un'altra cosa in qualche modo "irregolare" nella società in cui comandano i maschi. E naturalmente sopravvive nel vino, che evidentemente è donna, qualcosa che i maschi non riescono del tutto a capire e a controllare. Qualcosa da cui siamo continuamente inebriati.
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