Breccia, sost. f.
Fu ben chiaro, abbastanza presto, che si trattava di un contrasto di facciata. La chiesa mantenne, accanto al suo piccolo stato all'interno delle mura leonine, i suoi privilegi in Italia e soprattutto continuò a essere un potente attore politico, della reazione, a fianco dell'esercito, dei grandi latifondisti, degli industriali e dei banchieri, perfino dei palazzinari che stavano costruendo la "nuova" Roma umbertina. I preti benedissero prima i cannoni di Bava Beccaris e poi quelli diretti sulle trincee della prima guerra mondiale, perché quei cannoni garantivano i loro privilegi e il loro potere. E naturalmente benedissero le colonne fasciste che marciavano verso Roma, come avevano benedetto le squadracce che picchiavano i comunisti, che bruciavano le camere del lavoro e le sedi dei giornali della sinistra. E il fascismo ripagò questa benevolenza chiudendo formalmente la breccia aperta il 20 settembre 1870, ma che era ormai chiusa da tempo, se mai era stata aperta, al di là della retorica del vecchio Pio IX. I patti lateranensi rappresentavano, se ce ne fosse ulteriore bisogno, che il fascismo non era un movimento eversivo, ma uno strumento, a volte indocile, ma per lo più assolutamente remissivo, nelle mani dei padroni, che non avevano certo voglia di continuare a far finta di tenere il broncio alla chiesa, quando questa era anch'essa uno strumento utilissimo nella guerra di classe.
"Roma è italiana" titolavano con enfasi patriottarda i giornali italiani dei giorni successivi. Lo era sempre stata, o forse sarebbe stato meglio dire che era l'Italia a essere diventata romana, anche se i "nuovi" governanti sabaudi non avevano bisogno di respirare l'aria dei sette colli per assumerne i vizi peggiori: erano tutti andati nelle scuole dei preti.
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