mercoledì 12 giugno 2019

Verba volant (672): tessere...

Tessere, v. tr. 

Diego Velázquez è certamente un genio per come dipinge, ma su questo io davvero non so dirvi nulla. E' qualcosa di cui capisco molto poco: posso solo dirvi se un quadro mi piace o non mi piace. Ma è anche un genio - e dei più grandi - per cosa dipinge. E su questo credo invece di potervi raccontare qualcosa.
Osservate il quadro intitolato Le filatrici. In primo piano ci sono cinque donne, variamente intente al loro lavoro. Si trovano in una bottega: c'è una scala, una tenda nasconde un piccolo deposito di pezzi di tela, alcune matasse sono appese alla parete. Chi sono queste donne? Una è più matura - anche se il pittore non rinuncia a ritrarre una gamba che esce in maniera sensuale dalle sue vesti - e aziona la ruota della spolatrice, le altre sono più giovani. Sono tutte e cinque lavoratrici, una più esperta e le altre quattro che stanno imparando? O forse lei è la padrona e le altre sono sue dipendenti? O magari ha già venduto il laboratorio a una di loro e la sta aiutando, nella difficile fase di avvio dell'attività? E in questo caso chi sarà la nuova padrona? Quella con l'aspo o quella che è seminascosta dalla tenda con cui la donna alla spola sta parlando? E se fosse la madre di una di loro? E il gatto? E' lì per caso? Non credo, evidentemente è da molto tempo che sta lì in bottega, tanto da non aver neppure più voglia di giocare con i gomitoli caduti a terra.
Velázquez ci mostra anche un'altra stanza, collegata alla prima, in cui è appeso un arazzo che alcune donne stanno osservando. Siamo in una bottega di tessitura, è naturale che alle pareti sia appesa una tela realizzata da quelle donne: fanno vedere quanto sono brave. Forse tra qualche giorno la persona che ha fatto quell'ordine lo manderà a prendere dai propri servitori per appenderlo nel salone, ma intanto lo fanno vedere anche ad altre possibili clienti. O forse chi l'ha ordinato non l'ha pagato e adesso sperano comunque di venderlo, perché quell'arazzo per loro è un costo, visto le ore di lavoro che hanno impiegato per farlo. E devono venderlo, anche a meno del suo valore. 
Già così il quadro sarebbe bellissimo, ma Velázquez è appunto un genio e cosa rappresenta quella tela? La storia di Aracne, la più grande delle tessitrici. Se quelle donne hanno deciso di realizzare un arazzo unicamente per metterlo in mostra, per una pura azione di marketing, dovendo scegliere un soggetto, hanno pensato di celebrare una di loro. Ma forse è stato Velázquez a scegliere quel soggetto. E come l'ha realizzato, cosa ha voluto raccontare, conta molto, visto che il pittore ha deciso di tradire Ovidio.
E quindi adesso bisogna raccontare quello che racconta il poeta nelle sue Metamorfosi, che naturalmente Velázquez conosceva e che al suo tempo era la versione "ufficiale" della storia. 
Aracne è una giovane donna che vive in una piccola città della Lidia, figlia del tintore Idmone, abilissima nell'arte della tessitura, tanto che dicevano avesse imparato direttamente da Atena. Ma Aracne non è il tipo da accettare queste voci e dice che semmai è la dea a dover prendere lezioni da lei e che è pronta a sfidarla in una contesa. Dopo qualche giorno una vecchia bussa alla porta di Aracne e le consiglia di rinunciare a quella sfida, pronunciata incautamente in un momento di rabbia. Ma Aracne non ha agito d'impulso, è convinta di essere la più brava e sta per cacciare la vecchia, che però lascia le sue misere spoglie e si rivela essere la dea. La contesa può finalmente cominciare: le due tessitrici si mettono all'opera e Ovidio le descrive nella loro fatica, mentre raccolgono la veste, per avere le braccia libere per lavorare più velocemente. 
Atena sceglie di rappresentare un'immagine classica: i dodici dei e la contesa per il controllo della città dell'Attica tra Poseidone e la stessa Atena; una rappresentazione in cui regna l'ordine. Aracne sceglie di rappresentare il disordine, ossia alcune storie in cui gli dei hanno approfittato della loro forza per fare violenza alle donne o alle altre dee. Atena rimane incantata dalla perfezione tecnica del lavoro della sua rivale, che avrebbe meritato la vittoria, ma quel soggetto è inaccettabile, perché mostra le colpe degli dei, e così distrugge la tela. Aracne è disperata e si impicca, ma Atena vuole che la punizione sia più crudele: trasforma la giovane in un ragno, condannandola a filare e tessere per tutta la vita dalla bocca.
Velázquez sceglie il momento in cui la dea si rivela ad Aracne, a differenza di Tintoretto che sceglie di raccontare la sfida o di Rubens che preferisce la punizione. Ma nell'arazzo appeso Aracne ha già realizzato la tela che rappresenta Europa rapita da Zeus sotto forma di toro. Al di là del gioco di rappresentare un arazzo in un arazzo, Atena non è giunta per punire Aracne per la sua hybris, per la sua tracotanza, ma proprio perché ha rappresentato quello che non avrebbe dovuto rappresentare. Naturalmente anche in Ovidio c'è questo tema, perché il poeta sa che in fondo tessere è una forma di comporre e il poeta, come Aracne, deve sempre stare attento a non sfidare le ire del dio. Ma in Velázquez il riferimento è molto più esplicito e non c'è più la colpa di Aracne. Questo quadro è qualcosa di più di un gioco intellettuale, di un quadro in un quadro in un quadro, ma una riflessione sul complesso rapporto tra il potere e l'arte. Aracne viene punita perché ha raccontato la verità, una verità che evidentemente il potere avrebbe preferito tenere nascosta. Ma l'arte - ci dice Velázquez - è rivoluzionaria per natura.
Ma c'è un altro aspetto che mi piace sottolineare e che sono convinto che Velázquez abbia preso da Ovidio. Il poeta dice che i mortali, ma anche le ninfe, andavano nella bottega di Aracne non solo per vedere le sue tele, ma anche per osservarla mentre lavorava, e dedica alcuni versi alla descrizione dei suoi gesti, che racconta con precisione: Ovidio descrive una donna che con tutta evidenza anche lui ha visto lavorare. E così siamo tornati al soggetto del quadro, alle donne che Velázquez mette in primo piano, alle donne che lavorano e il cui lavoro è così bello da meritare dei versi o un quadro. Le filatrici è un quadro sul lavoro - anche quello dell'artista, sempre così a rischio - ma soprattutto su quello delle donne. Il loro saper fare ci salverà: sarà per questo che non glielo permettiamo.

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