Maga, sost. f.
Dolce Acacallide,
sento che ormai la mia vita sta per finire. Ho affidato questo messaggio a una donna che mi ha servito fedelmente in questi anni e che ti prego di accogliere al tuo servizio con lavori non troppo gravosi, in ragione della sua età e dell'affetto che hai sempre avuto per me, seppur dalla tua lontana città. Forse lo leggerai dopo che ti è giunta la notizia della mia morte. Certe voci viaggiano veloci e poi io sono ormai diventata, mio malgrado, una donna famosa.
So che tu conosci già, nonostante tuo padre, la verità e questo mi basta. Questo messaggio non è certo rivolto al mondo, so che non mi crederebbero e che sarebbe considerato, se diffuso, come il patetico tentativo di una donna colpevole di fuggire dalle proprie responsabilità. Scrivo affinché tu possa raccontare alle tue figlie - ed esse possano fare lo stesso con le loro - la storia di questa loro antenata che gode di una così cattiva reputazione.
Ho letto i versi che quel vecchio cieco ha scritto su di me. Certo c'è del genio nella sua poesia, ma non dimentico che è stato pagato da tuo padre per scrivere quello che ha scritto contro Pasifae e contro di me. Comunque ho visto che le donne che egli descrive o sono sottomesse al padre e allo sposo o sono pericolose megere, sovvertitrici dell'ordine.
Sì, lo confesso, essere sottomessa a un uomo non è una cosa che si adatta alla mia natura. Non lo è mai stato. Credo che la mia colpa sia stata quella di non voler lottare: avrei dovuto farlo, se non per me, almeno per te, per Arianna, per Fedra, per le vostre figlie. Ma non sono mai stata una guerriera, tua madre lo è sempre stata più di me. Credo che per questo abbia voluto sposarsi. Io ho scelto di vivere nella mia piccola isola, di ritirarmi dal mondo, per studiare, per leggere. Sognavo di creare una grande biblioteca nella mia isola che, una volta morta, sarebbe stata a disposizione delle donne che avessero voluto continuare i miei studi.
Ma evidentemente il mondo non voleva che succedesse e così Eea è diventata una meta per ogni nobile sfaccendato della Grecia: volevano vedere questa donna. Che si era rifugiata così lontano, che si era nascosta agli occhi del mondo, o perché era brutta - e comunque il viaggio avrebbe avuto comunque senso, avrebbero potuto raccontare di aver visto una donna mostruosa, nelle loro storie sulle sfingi e le sirene - o perché era disponibile. E quando gli uomini sbarcavano ad Eea e vedevano che non ero un mostro, credevano che li stessi aspettando e si stupivano quando non volevo giacere con loro: avevano navigato tanti giorni e io non ero disposta a offrire loro nulla.
Odisseo era uno di questi, uno dei tanti. Quando arrivò, mi disse che ero fortunata che lui fosse arrivato fin lì, poi aggiunse che l'isola gli sembrava accogliente e che lui e i suoi uomini si sarebbero fermati lì per un po'. Disse che da quel momento avrebbe pensato lui a me, che potevo anche chiudere la mia attività e farlo solo con lui e con gli uomini che lui mi avrebbe portato. Tutte uomini stimati e ricchi, aggiunse con compiacimento, come per farmi un favore. Quando gli dissi che non volevo farlo né con lui né con i suoi amici, mi guardò con un'aria sorpresa: non capiva sinceramente cosa stessi dicendo. Capì soltanto dopo che gli feci bere una tazza di vino in cui avevo versato un veleno che bloccava i muscoli per alcune ore, ma non impediva all'uomo di ascoltare quello che gli stavo spiegando. Avevo dovuto già farlo molte altre volte. Per lo più bastava, con Odisseo fu necessario sguainare un coltello, fargli vedere quale parte di lui avrei tagliato se non se ne fosse andato.
Vidi che nei suoi occhi c'era un'aria cattiva e che me l'avrebbe fatta pagare. E così raccontò quella storia che il vecchio cieco ha fatto conoscere in giro per il mondo. Certo da allora nessuno è più venuto sulla mia isola, ma non era questo che volevo. Non volevo che il mondo avesse paura di me. E di voi. Mi dispiace che di questo abbiate fatto le spese voi, mia care nipoti. So cosa è successo a Medea e cosa è successo a voi, che avete dovuto anche pagare per essere le figlie di Pasifae, contro cui si è scagliata la violenza crudele di vostro padre.
A dire il vero, adesso che sto per lasciarvi, credo ci sia perfino una sottile ironia nella storia inventata da Odisseo e diffusa ai quattro angoli del mondo da Omero. Gli uomini che ho visto arrivare ad Eea erano peggio di animali, violenti come leoni, rabbiosi come cani, laidi come porci. Io, soprattutto nei primi tempi, ho provato a trasformali, ho cercato di renderli diversi da quella loro natura ferina. In qualcuno di loro immaginavo ci fosse davvero una persona. Euriloco per esempio mi piaceva, avrei voluto si fermasse con me, perché io non ho mai odiato gli uomini. Anzi.
Non ci sono mai riuscita. Ecco il mio unico e vero rimpianto: non sono mai riuscita a trasformare nessuno.
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