mercoledì 19 agosto 2020

Verba volant (782): nudo...

Nudo, agg. m.

Mercoledì 10 gennaio 1912, su Milano cade un freddo nevischio. Saliti i pochi viaggiatori diretti a Roma, alle 16.30 il treno parte puntualmente dalla grande stazione centrale.

Ci sono solo cinque persone nell'elegante carrozza ristorante. Un uomo beve il caffè, annotando i suoi pensieri su un quaderno, mentre nel tavolino di fronte - il capotreno ha indicato loro quei posti vicini - una donna dai penetranti occhi neri sorseggia un tè, leggendo un libro. Entrambi sono soli e non sembrano essersi accorti l'uno dell'altra. L'uomo ha letto di sfuggita il titolo del libro che la donna ha in mano: L'Otage. Non conosce l'autore. Nota quella copertina chiara con il titolo in rosso: sono i volumi di una casa editrice che ha aperto da pochi mesi a Parigi. Evidentemente la donna viene da quella città ed è curiosa delle ultime novità letterarie. La donna vede che quel piccolo quaderno è sdrucito e la matita quasi consumata. Immagina che quell'uomo scriva molto.
Passano pochi minuti di quel silenzio amplificato dal rumore del treno. L'uomo si stupisce quando la donna si alza, si avvicina al suo tavolo e in un italiano piuttosto corretto, per quanto riconosca un lieve accento tedesco, chiede se può sedersi insieme a lui. Mi scusi, ma odio prendere il tè da sola.
L'uomo si alza, aggiustandosi la giacca. La prego. Buon pomeriggio. Sono il professor Bernardino Lamis.
La donna gli porge la mano. Grazie. Margaretha van der Meulen. Spero di non averla distolta da qualcosa di importante.
Non si preoccupi. L'uomo chiude il quaderno, tenendo in mano goffamente la matita quasi spuntata. Un'idea che può aspettare. Se sarà buona, tornerà. Altrimenti, meglio che si sia persa. L'uomo ha cominciato a parlare tedesco e pare che la cosa non stupisca la donna. E comunque anch'io penso che il caffè debba essere bevuto insieme a qualcun'altro. 
La ringrazio. Adesso anche la donna parla in tedesco e sembra all'uomo più a suo agio.
Lei è tedesca? 
No, sono olandese. Professore di cosa?
Insegno storia delle religioni all'Università di Roma.
Torna a casa quindi? La signora Lamis viaggia con lei o l'aspetta a Roma? 
Nessuna delle due cose, a dire il vero. Mia moglie non è venuta con me. Non ama il freddo milanese. Sono venuto su al nord per degli affari di famiglia e per incontrare alcuni amici e colleghi. Mia moglie ha colto l'occasione per scendere con i bambini dai suoi genitori in Sicilia. Credo ci rivedremo tra un paio di settimane. Lei viaggia per piacere?
Sì, in queste settimane sto scoprendo l'Italia. Non sono ancora stata a Roma e sono impaziente di vederla. Ma mi fermerò prima a Firenze.
Conosce bene la nostra lingua. Inconsueto per un viaggiatore.
L'ho studiata un po' ed ho amici italiani con cui ho potuto fare pratica. E poi amo la musica, mi sono esercitata sui libretti. Il suo è davvero un ottimo tedesco.
Ho studiato in Germania e la mia materia richiede di esercitarlo di continuo. Nei mesi scorsi mi sono dovuto cimentare con un lavoro di Hans von Grobler, tanto ponderoso quanto tedioso. Faccia attenzione: la lingua delle opere è strana. Non ascolterà mai nessuno parlare così, girando per il nostro paese.
E soprattutto non incontrerò persone come quelle raccontate in quei drammi, donne così eroiche, così capaci di amare, fino al sacrificio.
Viviamo altri tempi, gentilissima signora, in cui la cronaca spesso si incarica di togliere poesia alle storie.
Cosa intende, professore?
Vede, mi capita a volte di appuntare sul mio quaderno piccoli fatti di cronaca, di quelli che accendono per un giorno o due l'attenzione morbosa dei lettori e poi vengono dimenticati. Quelle storie che quando le leggiamo sul giornale ci sembrano degne di un romanzo, ma se le leggiamo in un romanzo diciamo che l'autore si è fatto troppo prendere dalla fantasia. Alcuni giorni fa ne ho annotato uno. Ma forse questo racconto non può interessarla.
Invece mi interessa molto.
L'uomo sfoglia le pagine del quaderno, cerca l'appunto, lo legge velocemente e poi comincia a raccontare. La bambinaia che lavora per la famiglia di un diplomatico si innamora di un giovane uomo che frequenta per servizio quella stessa casa. I due si fidanzano, ma lui la lascia, forse spinto dalla famiglia, che spera per lui un matrimonio migliore. La bambinaia è disperata e il diplomatico, approfittando di quello stato d'animo, la possiede. Mi perdoni la crudezza. Purtroppo, proprio in quel momento, la bambina cade dalla terrazza e muore. La ragazza viene licenziata dalla padrona di casa, e si ritrova in una città straniera, senza un lavoro e senza un luogo in cui stare, oppressa da quel terribile senso di colpa. Disperata, si concede a un uomo che incontra per strada, ma, vergognandosi di quell'ulteriore caduta, decide di uccidersi. Fallisce e quando si risveglia all'ospedale, spiega ai dottori e alla polizia che ha voluto farlo perché è stata lasciata dal fidanzato. Quella storia romantica diffusa dai giornali fa sì che i lettori comincino a simpatizzare per la ragazza. Naturalmente anche il giovane legge la notizia e vuole tornare da lei. Il diplomatico mente ai giornali, per non dover raccontare una verità imbarazzante, e allo stesso tempo tenta anch'egli di tornare con lei. A questo punto però il giovane capisce cosa è successo e accusa la donna di essere una bugiarda e una prostituta. Il castello di carte è caduto e la giovane si uccide.
Che storia terribile.
Sì, e non credo che la poesia o la musica possano raccontarla togliendo queste asprezze.
Eppure lei, professore, raccontandola è riuscito a far vivere di nuovo quella giovane, mostrando la verità della sua storia.
Ma vede, signora, questa non è una mia invenzione. Questo personaggio mi è come apparso, è lei che vuole raccontare la sua verità. E il suo dramma: sente la necessità di rivestirsi di un abito di rispettabilità, di qualità apprezzate dagli altri, di essere quello che gli altri pensano debba essere. Sembra che solo questa possa dare un senso alla sua vita.
Tra l'uomo e la donna cala un lungo momento di silenzio, interrotto all'improvviso da lei.
Quella giovane è fuggita da una vita, se n'è inventata una nuova e di fronte alla necessità di crearne un'altra ancora è crollata. Forse meno drammaticamente di quello che è successo a quella poverina, ma immagino che molti debbano fare i conti con qualcosa del genere, con quella vita che qualcun altro costruisce per loro. 
Qualcuno può anche essere prigioniero della vita che lui stesso si è creato. Forse non è sempre necessario dare la colpa agli altri.
O forse non sappiamo cosa ha spinto quella persona a crearsi quella vita di cui ora è prigioniera. Questa sua storia mi ha fatto ricordare la vicenda di una persona che ho conosciuto, una mia connazionale. La sua famiglia viveva in un bel palazzo nel centro della nostra città, lei studiava in una scuola prestigiosa. Ed era molto bella. Noi compagne la invidiavamo e credo lei ne fosse contenta. Poi all'improvviso tutto è cambiato: falliti i commerci, venduto il palazzo. Il padre se n'è andato, la madre è morta poco dopo e lei è stata allevata dal padrino che l'ha iscritta a una scuola per maestre. Ma in quell'istituto la sua bellezza è stata la sua colpa: il direttore era un uomo terribile. Non credo sia necessario dirle cosa è successo. A questo punto la giovane ha capito che per lei l'unica possibilità era sposarsi: ha risposto all'inserzione di un ufficiale. Pochi mesi dopo le nozze si sono trasferiti dall'altra parte del mondo, in Indonesia, dove il marito ha ripreso servizio. Non è stato un matrimonio felice, nonostante la nascita di due bambini. La mia amica non si è mai abituata a quel paese. E a quel marito che si rifugiava sempre più spesso nell'alcol. Neppure la promozione a maggiore e il trasferimento in una piazza più grande hanno alleviato i loro problemi. Il loro figlio è morto avvelenato da una medicina sbagliata. Forse un errore della loro domestica o forse una vendetta: il marito della donna era agli ordini del maggiore e qualche giorno innanzi era stato punito con troppa severità. Quella tragedia ha distrutto la famiglia. Sono rimasti laggiù ancora un anno, per tornare infine in Olanda. Il matrimonio, com'era ormai evidente, è finito. Il marito se n'è andato con la bambina e così la donna ha dovuto inventarsi una nuova vita. L'ho rivista, a Parigi, qualche anno più tardi. Diceva di essere nata a Giava, che sua nonna era una principessa indonesiana. Mi ha chiesto di non dire quello che sapevo. Giorni dopo ci siamo riviste, nell'albergo dove soggiornavo. E mi ha raccontato la sua storia, una di quelle storie che in un romanzo considereremmo inverosimili. E cosa le è successo nei primi anni a Parigi. Credo abbia omesso alcuni particolari. E io farò lo stesso. La mia amica sapeva ballare, aveva imparato in Indonesia quelle danze orientali, e così ha raccontato di aver assistito a riti segreti nelle stanze più recondite dei templi indù. Non era vero. Ho visto uno dei suoi spettacoli. Non è molto brava, per quanto riesca a muoversi con una qualche grazia, ma è bella e questo basta al pubblico maschile, che la adora. Si esibisce nella case degli uomini più ricchi d'Europa, rimanendo completamente nuda. Non l'ho più rivista da quella volta. E su di lei ho udito innumerevoli dicerie, di cui nessuna vera; o forse tutte. Nei giorni scorsi si è esibita alla Scala. Sono state solo cinque repliche: non deve essere stato un gran successo. Credo vorrebbe lavorare con Djaghilev, ma sarà sempre e solo un'attrazione da varietà. Un amico mi ha detto di aver sentito raccontare da lei di essersi sposata giovanissima con un nobile scozzese e poi di essere stata in Spagna, dove un torero, innamorato di lei, si è fatto uccidere nell'arena, perché non corrisposto. Credo ormai abbia finito per credere alle bugie che si è inventata. Ma forse un giorno dovrà pagarne il conto. 
Forse quelle che lei ora chiama bugie sono davvero la vita di quella sua amica.
Ho letto a Parigi il romanzo di un vostro connazionale. Mi ha molto colpito. Il protagonista, quando tutti lo credono morto, si trasferisce in una nuova città e si inventa una nuova vita. Ma finisce per inscenare la sua seconda morte e ritorna al suo paese. Ho immaginato che alla mia amica possa succedere una cosa del genere. 
Ubbie di scrittori. Ho letto anch'io quel romanzo. So che ha avuto un insperato successo. Ma personalmente non mi ha molto colpito. Credo che non sarebbe dovuto tornare. Forse avrebbe fatto meglio a sparire un'altra volta.      
Lei sogna mai di vivere una vita diversa?
Immagino sia capitato a tutti. Sarà per questo che mi capita di annotare sul mio quaderno queste storie curiose. Per cercare di capire. Non sono uno scrittore, per fortuna. Non sono costretto a inventare le vite degli altri.  
Prenderà nota anche della storia della mia amica?
Credo di sì. 
E se potesse incontrarla, cosa le direbbe? Di inventarsi una nuova vita? Di costruire un nuovo castello di bugie?
Vede, c'è un curioso paradosso nella vita di questa donna, che per lavoro si spoglia davanti agli altri, eppure non rimane mai davvero nuda. Anche la sua nudità è un vestito che gli altri vogliono che indossi. Quelle bugie che crede di inventare, sono le storie che gli uomini vogliono sentire da lei. Forse le direi di gettare la maschera che il mondo le ha cucito addosso, di rimanere nuda, ma davvero.
La donna rimane in silenzio per qualche momento. Non so se ne avrà la forza.
Lo so. Mentire è sempre più facile. E il volto fa più paura della maschera.
Cala di nuovo il silenzio.
L'uomo si alza. Credo sia ora di ritirarmi. Spero, signora van der Meulen, di non averla tediata con le mie storie.  
Non l'ha fatto, professor Lamis. È stato un fortunato piacere incontrarla. 

Adriano sale veloce le scale per raggiungere il piccolo appartamento dove lo aspetta Ersilia. Domani non lavora.
Come è andato il viaggio?
Bene, ma a Milano fa un freddo terribile: non mi ci abituerò mai. Guarda qui. E tira fuori dalle tasche alcune banconote. Domani possiamo festeggiare. 
Tutte mance?
Sì. E mi è successa una storia davvero curiosa. Un uomo mi ha dato dei soldi perché nel vagone ristorante lo facessi sedere vicino a una certa signora.
E com'era questa signora? Bella?
Certo, molto bella. Due grandi occhi neri.
Più bella di me?
E smettila. Ma adesso viene la cosa strana. Perché prima quella signora mi aveva dato una mancia, peraltro più ricca, per fare in modo di stare seduta vicino a quell'uomo. Ha detto che è uno scrittore che voleva conoscere.
E tu?
Li ho fatti sedere vicini. Come volevano.
E come è andata? Cosa hanno fatto?
Hanno parlato.

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