venerdì 15 gennaio 2010

Considerazioni libere (60): a proposito di classi sociali...

In questi giorni l'ex ministro laburista Alan Milburn ha presentato i risultati di un'indagine condotta da una commissione della Camera dei comuni sulla mobilità sociale nel Regno Unito. I dati si commentano da soli: benché solo il 7% dei bambini inglesi frequenti le scuole private e quindi provenga da famiglie ricche che si possono permettere tali costi, il 75% dei giudici, il 70% dei finanzieri della City, il 45% degli alti funzionari dello stato e il 32% dei parlamentari hanno frequentato queste scuole. In sostanza in Gran Bretagna le carriere migliori sono ad appannaggio di chi ha avuto - e di chi ha - un'educazione migliore, ma chi ha un'educazione migliore è in grandissima maggioranza figlio e nipote di persone già facenti parte della classe dirigente britannica; c'è una scarsissima mobilità sociale e per citare lo stesso Milburn "abbiamo un sacco di ragazzi brillanti che non riescono a farsi strada perché non hanno gli agganci e non possono frequentare le scuole che contano".
Non ho trovato dati aggiornati sulla situazione nel nostro paese, ma l'esperienza mi porta a credere che la situazione sia ben peggiore, aggravata dal fatto che qui non esiste un sistema di scuole private di eccellenza (e anche le scuole pubbliche non sono messe bene) e le carriere si trasmettono semplicemente per via ereditaria, con la conseguenza che nella nostra classe dirigente e nel mondo delle professioni - dove peraltro c'è uno scarso ricambio generazionale - ci sono tantissimi "figli di".
Per tornare in Gran Bretagna, i bambini - per non parlare delle bambine - che nascono in famiglie povere sono decisamente svantaggiati: hanno meno opportunità di apprendere, di leggere, di viaggiare rispetto ai loro coetanei che hanno la fortuna di nascere in famiglie ricche. I ricercatori statunitensi Betty Hart e Todd Risley hanno dimostrato che i figli dei professionisti sentono in media 2.153 parole all'ora rispetto alle 616 dei figli di famiglie povere e che questo influisce in maniera diretta sullo sviluppo cognitivo dei bambini, fin dai primi anni di vita. Questo è naturalmente un limite grave per la società, che si priva di intelligenze e risorse potenziali solo per il fatto che hanno la sfortuna di nascere in famiglie "sbagliate", ma soprattutto è una grande ingiustizia sociale per quelle bambine e quei bambini.
Dal nostro vocabolario sono ormai sparite le espressioni "lotta di classe" e "nemico di classe": questo probabilmente è un bene. Ma è anche sparita la parola "classe". E questo credo sia un male, anche perché ci manca una categoria importante per interpretare quello che avviene intorno a noi. Ad esempio - scusate se riprendo un tema che ho appena affrontato, nella "considerazione" nr. 56 - per spiegare i fatti di Rosarno si è preferito utilizzare le categorie etniche piuttosto che quelle sociali: a mio avviso, non si è trattato di uno scontro tra bianchi e neri, tra italiani e stranieri, ma di uno scontro tra quelli che un tempo avremmo chiamato proletari e sottoproletari, oppure - per usare espressioni che Adriano Sofri utilizza nel saggio contenuto nel volume Sinistra senza sinistra, edito da Feltrinelli nell'ottobre 2008 - tra i "penultimi" e gli "ultimi". Può sembrare un paradosso, ma proprio quando l'economia è diventata l'elemento centrale delle nostre vite - molto più della politica - è venuta a mancare quell'idea di divisione in classi della società che serve a spiegarne le dinamiche.
Personalmente credo la sinistra europea dovrebbe ripartire da qui: dallo studio delle classi e dall'evidenza che queste tendono sempre più a chiudersi, con l'obiettivo di dare a tutti i bambini - e a tutte le bambine - le stesse opportunità.

p.s. ho preso spunto per questa "considerazione" dall'editoriale che l'ex direttore della rivista The Observer Will Hutton ha scritto per il nr. 829 di Internazionale; ve ne consiglio la lettura

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